Temono di essere messi all’angolo dal nuovo che avanza e con lo spauracchio delle fake news cercano di spaventare il pubblico per riprendersi il quinto potere

L’estate è cominciata, nei palinsesti tv arrivano le repliche e La7 propone la replica di una puntata de La Torre di Babele del 5 febbraio 2024, il programma condotto da Corrado Augias, lo Yoda della televisione italiana con i suoi quasi novant’anni, con ospite la giornalista e scrittrice Milena Gabanelli, nota conduttrice e autrice della rubrica Data Room del Corriere della Sera. Tema della puntata “la Democrazia non è gratis”, copiato pari pari dal titolo di un libro di Luciano Violante e mai nemmeno citato. Ma questo sarebbe il meno.

Ricchi e poveri

Il problema, secondo loro, è che oggi chiunque può diffondere una notizia in tempo reale sui social e che quindi la manipolazione dell’informazione non verificata fatta dall’uomo della strada e buttata come un vomito nell’etere può ingenerare meccanismi di moltiplicazione esponenziale di notizie false. Vero.

Si sciorinano poi tutta una serie di speculazioni sul rapporto tra cultura e informazione partendo dall’ormai trita teoria di Umberto Eco che internet fa male ai poveri e fa bene ai ricchi, “perché noi che siamo ricchi possiamo selezionare l’informazione e i poveri, i ragazzi, i grillini, non sono in grado”, le persone povere non sono in grado di discernere e selezionare cosa è valido dal punto di vista informativo, cosa è vero e cosa no. Se ne deve dedurre che i nuovi poveri sono quelli che non sono in grado di orientarsi nel mare delle informazioni”. Ni.

Temi alti, da cui, si suppone, il titolo della trasmissione, ripreso da un episodio biblico. Il tono in effetti è ecumenico, il target pochissimi eletti, gli elevati culturalmente, quei “ricchi” che hanno gli strumenti per selezionare l’informazione. Automaticamente i due assurgono al rango di élite , meccanismo tanto caro agli intellò e ai baroni.

Poi i due – gradevolissimi – professori si preoccupano di dover insegnare al pubblico come informarsi. Sacrosanto. Proclamano: guardate chi è che condivide una notizia sui social, diffidate all’anonimato, googlate che non sia una bufala, non date per scontato il fatto che se in molti seguono un creatore di contenuti digitali ciò lo renda automaticamente affidabile e autorevole perché i follower si comprano in agenzia, in altre nazioni dove ci sono fabbriche di follower che vivono di questo.

Tutto giusto, tutto encomiabile, nobilissima la preoccupazione, oltremodo condivisibile, che si debba aiutare chi non sa a selezionare, scremare, capire i meccanismi delle notizie e in particolare i meccanismi della produzione di contenuti informativi di massa, cioè chi non sa interpretare i mass media, ovvero nella loro narrazione, il loro linguaggio.

Quindi, la casalinga ultrasessantenne della bassa padana o della periferia casertana che si informa solo col telefono sui social perché gratis e perché i giornali tradizionali sono in crisi di vendite, tra un balletto su Tik Tok e un pandoro rosa sponsorizzato da una biondina frettolosa, anche se magari miliardaria è povera. Caspita, questo snobismo di casta fa effetto assorbirlo subliminalmente tra una pantofolata a una zanzara e l’altra.

Progetto paura

E qui comincia il lamento di Geremia quando morì la zia sul pericolo degli account fake, sull’onta di sfruttare i molti follower per fare soldi, il rischio del falso che diventa vero, i giornalisti che sono pagati per fare un lavoro, sono strutturati ma il loro lavoro viene usato da altri per arricchirsi in solo due ore alla scrivania, e come mai la Rai con 1.700 giornalisti non ha un unico canale di informazione come la BBC mentre le varie testate delle varie reti si fanno concorrenza con Rainews, i dati che gli utenti cedono alle piattaforme social che li rendono schedati e profilati da spregiudicati accumulatori di informazioni per fini commerciali o anche per fini illeciti di cui non sapremo mai.

La solfa continua con la mesta rappresentazione del “povero” che pur di intrattenersi dà via informazioni su di sé e la pericolosità del fatto che i nostri dati finiscano “in mani sbagliate”, i ragazzini con la cervicale a 15 anni e quando il prodotto è gratis il prodotto sei tu, il demone della pubblicità che segue i numeri delle visualizzazioni. Insomma: spaventiamoli così magari ci riprendiamo il quinto potere.

In realtà, ciò che si è visto è la miglior rappresentazione possibile di quel gap generazionale di due anziani professionisti della comunicazione che non mollano le poltrone e che temono di essere messi all’angolo dal nuovo che avanza. La paura, seppur saggia e a fin di bene, è di per se stessa indice senile di dinosauri che sono vissuti in un mondo lento e colto che non esiste più.

I guardiani

Seneca – non Checco Zalone– avrebbe detto “non puoi fermare il vento con le mani”, le decine di telefonini che riprendono i fatti sono un pericolo per l’elite, non per i “poveri”, le notizie non sono più loro, lo è solo la tecnica di selezione e confezione del messaggio. Fino al punto di arrivare a dire che alcuni giornali vanno chiusi perché sono troppi. Molto democratico.

Le nuove generazioni non sanno nemmeno chi era Seneca e non si preoccupano di farsi profilare, ma non è il prezzo della democrazia, è il mondo che è cambiato e se l’avete capito non l’avete accettato: chi non discerne cosa condividere o meno, quali informazioni dare e perché, non è povero è solo ignorante. Questi guardiani delle soglie che vogliono proteggere lo fanno davvero a fini di bene collettivo o solo per far finta di essere ancora loro i “ricchi” che governano il mondo delle opinioni? Dopo questo Ragnarock impietoso entra il banchiere Bini Smaghi. Più ricchi di così.

Romana Mercadante di Altamura – Atlantico