Dal gasdotto Tap all’Ilva fino al bluff del secondo mandato (mandato zero) per arrivare infine alla buffonata della Tav. Queste tra le maggiori promesse disilluse dei grillozzi che hanno scatenato nelle ultime ore in rete una serie di improperi, insulti e sfottò proprio da parte del popolo pentastellato che aveva creduto alle promesse di questa armata Brancaleone capitanata da Beppe Grillo e la Casaleggio associati.
Da quando sono al governo non hanno fatto altro che tradire le attese del loro elettorato con una sequela di falsità e vergognose retromarce. I tabù sono caduti come birilli e il web non perdona. E ironia della sorte è proprio il web che si rivolta contro coloro che attraverso lo stesso strumento di comunicazione, appunto la rete, avevano incantato molti cittadini illudendoli a credere in una svolta epocale che avrebbe portato all’alba di una nuova democrazia. E invece tutto è crollato miseramente nel giro di qualche mese. Venditori di fumo, questo si sono invece rivelati in realtà i grillini interessati (come tutti gli altri che loro stessi avevano aspramente criticato), solo a una cosa: alla poltrona.
La retromarcia stellare più clamorosa in questo periodo di governo è stato il via libera alla famosa Tav a cui il presidente del consiglio Conte ha dato segnale verde l’altro giorno. Ricordiamo che la Torino Lione era un totem per i 5 Stelle, il simbolo per antonomasia di tutte le battaglie grillozze, per la quale lo stesso Grillo venne condannato a quattro mesi per aver sfondato una recinzione in Valsusa assieme ai movimenti No Tav. In realtà da quando si sono ritrovati in Parlamento e nei Ministeri quella purezza sbandierata all’inizio si è presto perduta lasciando posto alla farsa ma soprattutto ai meri interessi personali. Altro che pensare al bene della comunità. Un atteggiamento che finito con il mettere in luce la vera natura di questi parvenu della politica nazionale.
Troppi i tradimenti subiti soprattutto dai militanti, tradimenti che possono essere identificati in primis con quella faccia di tolla di Luigi Di Maio che subito dopo il sì di Conte alla tratta dell’alta velocità avrebbe dovuto dimettersi, se fosse stata una persona seria. Ma tale non è. Anzi, come se neppure facesse parte della squadra di governo – evidentemente per lui si tratta di un dettaglio insignificante sul quale può bellamente permettersi di sorvolare – su Facebook ha scritto senza vergogna: “Sarà il Parlamento nella sua centralità e sovranità a decidere e a prendersi la responsabilità del caso”. Di fatto come se non sapesse che la maggioranza dell’Aula è favorevole alla Tav. Ma c’è di più. Come era prevedibile la sparata di Di Maio ha avuto l’effetto boomerang, si è rivelata sostanzialmente una mossa infelice, indecente, puerile, imbarazzante che non ha minimamente convinto la base del movimento che rimane fermamente contraria alla tratta ferroviaria. E’ troppo lunga ormai la serie di balle raccontate dai poltronai catapultati a Roma, promesse che non incantano più i tanti iscritti traditi ormai intenzionati ad abbandonare il movimento. Del resto cosa potrebbero fare considerando la rappresentanza istituzionale che si ritrovano.
Altre questioni poi sono nella lista dei tradimenti come il gasdotto Tap, l’Ilva, l’Alitalia e la cancellazione di un altro principio sacro spacciato dalla casa grillina come il secondo mandato. Sulla bilancia c’è poi il decreto sicurezza deciso dall’alleato leghista particolarmente avversato dalla compagine sinistrorsa dei 5 Stelle. Ma a parte le chiacchiere il decreto tanto contestato dai compagni stellati è stato approvato: altro tabù a 5 Stelle caduto, altra promessa tradita.
Una curiosità di cronaca: nella giornata in cui si doveva approvare il provvedimento il presidente della Camera Roberto Fico, capobastone dei comunisti grillini che appena eletto raggiungeva Montecitorio con i mezzi pubblici per dimostrare la propria differenza dalla casta, non si è presentato in aula… ma non si è dimesso però. A parte la sceneggiata come gli altri burocrati di potere Fico si tiene ben stretta la poltrona sotto il sedere. Poltrona che vale dunque molto di più degli ideali anche per chi vuole ancora spacciarsi come contestatore del sistema, vedi il presidente della Camera.
In merito poi al gasdotto salentino i pugliesi ricordano bene Grillo e Di Battista quando starnazzavano che avrebbero bloccato l’opera una volta andati al governo. Bene, come in quel momento il consenso andò alle stelle con la stessa velocità i militanti pugliesi fecero un falò delle bandiere pentastellate una volta scoperto l’inganno. Stessa musica con la faccenda Ilva. Dopo i problemi occupazionali e ambientali il prode Giggino – naturalmente prima del voto – promise la riconversione dell’acciaieria o la chiusura. Risultato? Altro pieno di voti nell’immediato (politiche 2018) ma nel tempo arrivò puntuale la delusione che rivelò un’altra balla colossale dato che lo stabilimento è ancora a pieno regime. Acquistato dalla società Arcelor Mittal la trattativa è stata gestita sapete da chi? Dallo stesso cantastorie partenopeo, il Gigino nazionale.
Vogliamo parlare inoltre di un’altra pagliacciata stellata per cui l’elettorato si è sentito preso per i fondelli da coloro che andavano dicendo che avrebbero rivoltato il palazzo come un calzino sbandierando il solito giustizialismo ipocrita? Risuonano ancora le invettive dell’inamidato “stira e ammira” Di Maio e di un altro miracolato dalla politica, il ministro delle infrastrutture Danilo Toninelli, dopo la tragedia del ponte Morandi. Giggino disse che le concessioni sarebbero state revocate ma dopo la solita propaganda di piazza la revoca è finita nel dimenticatoio. Non solo. La presa in giro è stata ancora maggiore quando sul tavolo è arrivato il dossier sul carrozzone Alitalia. Dopo il fuoco incrociato dei grillozzi contro i Benetton, proprietari del gruppo Atlantia la cui controllata Autostrade per l’Italia gestiva il ponte di Genova, la famiglia di imprenditori di Treviso rientra in gioco come se nulla fosse accaduto nel totale silenzio dei grillini di palazzo. I Benetton tornano dunque protagonisti nell’operazione di salvataggio della compagnia di bandiera. E il ministro che ha condotto la trattativa è sempre lui, Di Maio che i Benetton non li voleva neppure vedere in fotografia dopo il crollo del ponte. Vatti a fidare di uno così.
Non ultimo la buffonata del divieto di non andare oltre i due mandati. La genialata era stata inventata per non creare i famigerati professionisti della politica, così ce la raccontarono agli inizi le “anime pure” dei 5 Stelle. Bene, anche questo dogma è finito in soffitta perchè stare al potere piace. E dove lo trovano un altro posto da oltre 15mila euro al mese la pletora di stellati se dovesse tornare a casa? Anche perchè alcuni di loro un vero mestiere, tra l’altro, non l’hanno mai avuto. Come Giggino, ad esempio, tanto per cambiare. Però la sparizione improvvisa della “regola aurea” che rappresentava il principio immacolato del dna grillozzo era difficile da far digerire agli iscritti e al resto dei simpatizzanti. E allora l’astuto Gigi ha escogitato l’ennesima furbata: il mandato zero, ovvero il mandato che stanno ottemperando gli attuali eletti di fatto non vale. In sostanza chi si trova attualmente alla seconda elezione è come se non l’avesse fatta e perciò può aspirare alla terza e il gioco è fatto. E naturalmente il web è stato intasato di comprensibili improperi e sfottò del tipo: “Abbiate il coraggio di dimettervi tutti, in primis Conte. E poi al Giggino: stai distruggendo il movimento per mantenere la tua poltrona. Ripeto andate a casa tutti”. Il tono è chiaro no?
Insomma, a conti fatti il cambiamento a 5 Stelle c’è stato, eccome c’è stato: il cambiamento delle loro stesse opinioni. Quello di sicuro lo abbiamo capito. Il Movimento 5 Stelle che si era proposto agli elettori come anti-establishment una volta al potere ha fatto l’esatto contrario di quanto aveva promesso su tematiche di notevole portata. Un tradimento grave che segna la fine dei grillini. Ancora poco e del movimento non rimarrà che polvere… di stelle.