Sta impedendo agli italiani di andare a votare, torna prepotentemente protagonista conquistandosi la scena politica e in un colpo solo si è ripreso il partito – forse non lo ha mai completamente perduto – mettendo in scacco il povero Zingaretti, un esponente di basso calibro senza alcun tipo di spessore politico che dimostra in ogni occasione incertezza e mancanza di carattere rimettendosi alle “sagge” decisioni del presidente della Repubblica.
All’arrogante fiorentino, invece, dobbiamo riconoscere, al di là di ogni appartenenza politica, un indubbio carisma, ha dimostrato di sapersi muovere e cambiare impostazione politica da vero camaleonte di palazzo. Non solo. E’ perfettamente in grado di dettare le opportune strategie tessendo oscure trame di palazzo, lanciando segnali via social, guadagnando così simpatie e un consenso non trascurabile. Elementi vincenti per un leader quale è Matteo Renzi. Piaccia o non piaccia così è.
Non a caso in queste febbrili giornate che infuocano il dibattito politico dopo la caduta del Governo Conte i mille volti di Renzi ce li ritroviamo in ogni dove a spingere per il ribaltone puntando a un esecutivo costituito di fatto dai perdenti: i rossi dem con i gialli del M5S. Indecente ammucchiata di ex nemici che per meri interessi di bottega dimenticano incredibilmente in un attimo anni di reciproci e pesanti insulti. Oscena accozzaglia che ha come unico obiettivo quello di impedire agli italiani di esprimere il proprio parere attraverso nuove elezioni, massima espressione della democrazia. Senza dimenticare, naturalmente, che molti peones, personaggi di seconda fila miracolati dalla politica, convivono con l’incubo di perdere la poltrona lautamente pagata. Un rischio che per molti di loro diverrebbe realtà qualora si decidesse di tornare a votare. E allora tutti al seguito dei capi-bastoni contrari al voto.
L’ex presidente del consiglio è disposto quindi a qualsiasi cosa, a impostare qualunque manovra pur di far nascere il famigerato, lo sciagurato governo pateracchio e con la ripresa del potere ci ritroveremo in un istante nei posti strategici tutti i suoi sodali, gli amici di sempre, quelli del giglio magico per intenderci. Astuti e giovani personaggi provenienti da famiglie di consolidato potere territoriale capaci di spostarsi agilmente tra aule parlamentari, ambienti bancari e salotti finanziari in cui si tessono da sempre spartizioni, mosse e contromosse, tradimenti e congiure.
Insomma, i demo-sinistri stanno facendo i salti mortali per liberarsi di Salvini e di non andare nuovamente alle urne. Sanno bene che la Lega, stando almeno ai sondaggi, ne uscirebbe vincitrice e questo non lo possono permettere. Tuttavia in questo passaggio va evidenziato un elemento, un singolare paradosso che sconcerta e dà l’idea degli interessi che agitano la politica nostrana dietro le quinte, proprio là dove si esercita il potere.
I contrari al voto, o meglio gli anti-Salvini, ripetono alla nausea che il capitano aprendo la crisi ha segnato la propria fine e il suo consenso comincia a scricchiolare. Forse possono avere ragioni valide per sostenere l’inizio del tracollo salviniano. Però sorprende la loro ostinazione: non vogliono che siano gli italiani a decretarne la sconfitta, la fine della leadership di Salvini. E le ragioni del loro mettersi di traverso, paradosso nel paradosso, i sinistri lo giustificano nel nome della democrazia. Bene, i democraticissimi cattocomunisti capitanati da Renzi in nome della democrazia si spacciano dunque per i paladini che difendono l’attività democratica del Paese impedendo però al contempo un diritto fondamentale, l’esercizio cardine della democrazia: il voto. Non è forse una presa per i fondelli?
La realtà è che esiste una enorme ipocrisia di fondo nelle accuse che vengono mosse a Salvini. In queste ultime ore grillozzi e dem – spaccati al loro interno tra renziani e il resto della segreteria – stanno sì tentando un reciproco approccio tra sospetti e vecchi rancori ma l’elemento sostanziale dell’inciucio che si profila all’orizzonte è la spartizione delle poltrone. Il resto è contorno, altro che il bene del Paese.
La posta in gioco è alta e Renzi lo sa bene. Chi avrà le redini del Paese dovrà decidere nomine di peso, ovvero quali persone di fiducia piazzare in aziende strategiche come Enel, Eni, Poste, Monte Paschi, Leonardo. Insomma, in ballo nel prossimo futuro ci sono oltre trenta consigli di amministrazione in scadenza senza dimenticare il cambio di diversi comandanti delle forze dell’ordine. Non ultimo nel 2022 il Parlamento dovrà eleggere il nuovo Capo dello Stato. In sostanza chi riuscirà a mettere in piedi un governo qualsiasi – sia che nasca in Parlamento o scaturisca dalle urne poco importa in termini pratici – avrà la possibilità di incidere in maniera decisiva sul destino della Nazione inserendo i propri fidati uomini alla guida di grandi aziende o nei posti cruciali delle istituzioni. E allora a questo punto sorge naturale una domanda: Renzi e compagnia cantante possono lasciare questo ricco piatto nelle mani di un centrodestra guidato da Salvini senza tentare l’impossibile?