Oramai li conosciamo bene. La maschera è caduta da tempo. Sono diventati tutto e il contrario di tutto al punto di meritarsi il titolo dei migliori voltagabbana della storia della Repubblica. Che miseria, che delusione per chi credeva in questi parvenu della politica intenzionati, così si erano presentati agli italiani, a rivoluzionare gli equilibri del palazzo. Certo non è un grande spettacolo per chi si attendeva di vivere una rivoluzione, un cambiamento vero del modo di fare politica.

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Nel Movimento la tensione è alta e tutto fa presagire che si stia preparando una scissione in stile con quanto ha fatto nelle ore scorse Matteo Renzi mandando in frantumi quel poco che rimane del Pd.

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I malpancisti stellati sono venuti allo scoperto già nel momento in cui il governo Conte bis si è ufficialmente insediato. Non è un mistero infatti che una parte del Movimento si fosse apertamente dichiarata contraria all’accordo con il Pd ritenendo tale alleanza un totale tradimento ai valori originari del partito. E traditi si sono sentiti soprattutto gli elettori rimasti sconcertati dopo la  scelta dei vertici della Casaleggio e company, ossia rimanere al governo con un nuovo alleato. Un alleato, il Pd, da sempre preso di mira da tutta la corte di Beppe Grillo. Di Maio in testa che proprio contro i dem aveva concentrato i suoi anatemi: si pensi solo agli attacchi che il neo titolare della Farnesina ha concentrato sul Pd dopo lo scandalo di Bibbiano.

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Ma la situazione interna è peggiorata con estrema rapidità. Oltre all’inciucio del Conte bis ora l’aria dello scisma è diventata ancora più pesante con la questione Di Maio, il Giano Bifronte per eccellenza, la cui leadership è sempre più contestata dai grilluti che siedono in Parlamento. Le trame, le congiure, la voglia di pareggiare i conti sono all’ordine del giorno. Possiamo dire di tutto su questi ragazzotti a 5 stelle miracolati dalla politica ma un aspetto che li accomuna è incontestabile: tra riunioni segrete, telefonate, sms e conciliaboli nelle salette appartate di Montecitorio o di palazzo Madama dimostrano di avere imparato presto e molto bene come tessere intrighi di palazzo finalizzati solo ed esclusivamente a tutelare la propria poltrona super pagata. Altro che pensare al bene del Paese. Del resto molti di questa infornata elettorale se dovessero tornare a casa non saprebbero che fare. Un mestiere non l’hanno mai avuto. Capo cordata dei nullafacenti  Giggino Giano Bifronte, il fenomeno del Ministero degli Esteri.

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Tra malumori interni e critiche la congiura che si sta dunque organizzando è una operazione che avrà conseguenze pesanti. A questo clima di estrema incertezza si aggiungono le bordate dell’outsider Alessandro Di Battista contro il patto giallorosso. In sostanza “Dibba” sostiene di non avere fiducia in un partito come il Pd, partito di sistema che ha avuto negli anni rapporti discutibili con una certa imprenditoria.  Tantomeno il giovane romano crede all’intenzione dei dem di sfilare dalle mani dei Benetton le concessioni autostradali. Le raffiche in ordine sparso di Dibba non risparmiano neppure il campione del trasformismo Dario Franceschini – nuovamente ministro dei beni culturali – che dietro alle parole puntualmente concilianti di scuola democristiana trama questa volta per arrivare addirittura alla presidenza della Repubblica… che non avrà mai. Insomma una serie di esternazioni, quelle di Dibba, che saranno il detonatore per l’esplosione di una bomba in casa 5 Stelle in tempi brevi.

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La scissione potrebbe essere quindi alle porte e  proprio questo rafforzamento di potere da parte di Giggino Giano Bifrone, senza evidenti passi indietro nella nuova compagine governativa, ha innescato inevitabilmente la causa di tante, troppe insofferenze tra i parlamentari. In sostanza la strategia dei grillozzi è chiara: alzare la tensione nei confronti della leadership di Giano Bifronte, sempre meno digerita all’interno del Movimento, al punto che ai vertici dell’esecutivo già si sostiene che la situazione potrebbe esplodere da un momento all’altro e di conseguenza si sta ipotizzando la creazione di un nuovo gruppo parlamentare di fuoriusciti 5 stelle.

Ora bisognerà capire quali saranno i prossimi passi. Certamente i malpancisti dovranno fare bene i conti, ovvero individuare almeno una ventina di deputati decisi a rompere con la “casa madre”. Sulla carta possono essere anche di più coloro che ritengono lo strapotere di Giano Bifronte, il doppio ruolo di capo politico e nuovamente nell’esecutivo come titolare degli Affari Esteri, esagerato. Tuttavia nel concreto serve prudenza.

In questo malessere diffuso non è azzardato immaginare che la rottura tra grilluti può trovare terreno fertile proprio dopo le ultime nomine avvenute con il cambio di governo che non hanno fatto altro che alimentare dissapori e mugugni interni.

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Lo scontento è dovuto al fatto che Giano Bifronte ha piazzato a palazzo Chigi solo i suoi fedelissimi e questo può costargli caro nel tempo. Anche perchè nella truppa dei tagliati fuori ci sono proprio i pentastellati  che fin dai tempi non sospetti auspicavano un governo assieme ai cattocomunisti- Mentre non vedevano invece di buon occhio l’asse con la Lega. L’esempio più eclatante lo individuiamo nel gruppo  vicino al presidente della Camera Roberto Fico – copocorrente dell’anima sinistrorsa del Movimento – che ben prima del voltafaccia di Giano Giggino auspicava al raggiungimento di un accordo giallorosso.

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In questo passaggio si evidenzia quindi che oltre al fronte contrario all’ammucchiata governativa con i dem vi è un altro fronte che accetta sì il nuovo alleato – indispensabile per salvarsi la poltrona che altrimenti sarebbe andata persa per molti grillozzi se si fosse andati a elezioni anticipate – ma la questione in ballo ruota attorno a quella famosa discontinuità tanto sbandierata dai vertici grilluti. Discontinuità, raccontavano gli adepti del comico genovese, che sarebbe alla base della svolta giallorossa ma che contestualmente, sostengono ora gli insofferenti stellati, doveva tradursi anche in un cambio della guardia. Vale a dire bisognava cambiare cavallo ponendo fine alla voglia di protagonismo di Giano Giggino divenuto ormai una figura ingombrante.

Certo è che la formazione di un manipolo di malpancisti filosinistri in perfetta sintonia con il Pd che sostenga senza se e senza ma l’azione di governo e che di conseguenza faccia da sponda a eventuali incursioni pericolose messe in atto da Renzi – del quale non bisogna mai fidarsi – sarebbe una garanzia per bisConte. In effetti il premier ha capito quanto poco siano affidabili alcuni personaggi che lo circondano – del resto lui stesso ha dimostrato di avere stoffa in quanto a camaleontismo di palazzo diventando da avvocato del popolo ad avvocato dei trasformisti poltronisti – e avverte perciò l’urgenza di avere in appoggio una compagine che gli garantisca la fiducia e rafforzi così la maggioranza.

Si guarda perciò a Roberto Fico e alle scelte che farà. Il numero uno di Montecitorio ha più volte rimarcato la propria distanza dall’azione stellata nel corso del governo precedente. Ricordiamo l’assenza in aula durante la votazione del decreto scurezza bis alla decisione di non votare su Rousseau la fiducia a Di Maio a maggio fino alla posizione favorevole all’apertura dei porti. Fico non ha quindi mai nascosto la sua vicinanza a una concezione politica di sinistra. Infatti è stato lui ad allacciare per primo un dialogo con Zingaretti con il quale aveva trovato una forte sintonia soprattutto sulla discontinuità che però non c’è stata. Ora se Fico troverà un seguito tra i grillini potrà esserci la condizione per rompere gli indugi e decidere per la scissione.