Italia, primato delle condanne a Strasburgo. E intanto, nella carceri, morte e disperazione
E’ passata un po’ in cavalleria la spietata radiografia della Ministra della giustizia, Marta Cartabia, nell’ambito del tradizionale e annuale incontro di Cernobbio. Si tratta invece di questioni urgenti, che vanno affrontate e risolte. “La malattia che affligge la giustizia italiana – dice Cartabia – è grave. Il paziente è grave. E mi riferisco solo ad uno dei problemi: quello dei tempi“.
Tra tutti i 47 Paesi su cui si estende la giurisdizione della Corte europea dei diritti dell’uomo, l’Italia ha il primato delle condanne per i processi troppo lunghi: 1.202 dal 1959 (data di avvio di attività della Corte di Strasburgo) ad oggi; al secondo posto la Turchia con 608; seguono la Francia (284);la Germania (102); la Gran Bretagna (30), la Spagna (16).
Tutto ciò comporta pesanti ripercussioni economiche: lo Stato italiano è tenuto a pagare un indennizzo ai cittadini che “patiscono una violazione del loro diritto alla ragionevole durata del processo“.
Secondo i dati riportati da Cartabia, negli ultimi cinque anni lo stato ha pagato 574 milioni di indennizzi. “Esorbitante” (così si è espressa la Ministra) il numero di casi coinvolti: “Sono stati emessi 95.412 decreti; 95mila 412 persone sono rimaste in attesa di giustizia oltre una ragionevole durata. Nel solo 2020 sono sopravvenuti 14.429 procedimenti di irragionevole durata; per un importo complessivo di 105.798.778 euro.”
Non mancano gli effetti ‘paradossali’: “La gestione di questa grande quantità di richieste di indennizzo genera a sua volta ritardi. Perciò siamo al paradosso che lo Stato paga anche indennizzi per il ritardo con cui paga gli indennizzi per i ritardi nell’amministrazione della giustizia. Ritardi al quadrato. Costi al quadrato”.
Un tempo, per interventi come questo della Ministra Cartabia, si sarebbe invocato: ‘Pubblicazione! Pubblicazione!’. Oggi le questioni sollevate dal ministro sono ignorate: non suscitano dibattito, confronto, riflessione.
Situazione disastrosa nelle aule di tribunale. Spesso drammatica nelle carceri. L’ultimo caso, in ordine di tempo, di Fedele Bizzocca, 41 anni, recluso per spaccio di stupefacenti nel carcere di Trani dal gennaio di quest’anno; soffre di una grave patologia psico-fisica; è in attesa di entrare nella Residenza socio-sanitaria. I medici lo dichiarano incompatibile con il carcere per motivi di grave salute. Niente: lui resta in cella. Alla fine muore. Il caso era stato segnalato anche al Garante nazionale delle persone private della libertà; prontamente intervenuto per verificare le sue condizioni di vita detentiva.
Il Garante denuncia che si è dovuta riscontrare l’assoluta inadeguatezza di tale collocazione, in una sezione a gestione esclusivamente penitenziaria in cui non era predisposta alcuna assistenza sanitaria adeguata alla cura e al trattamento delle particolari condizioni di sofferenza della persona. Tutto era soltanto rimesso al solo impegno degli agenti della Polizia penitenziaria. Le condizioni materiali e igieniche riscontrate dal Garante si sono presentate “molto oltre ogni parametro di minima decenza e salubrità“. La sezione di appartenenza, inoltre, era la nota ‘Sezione Blu’ di cui era stata definita la chiusura nel mese di novembre 2020.
Lo stillicidio delle morti in carcere continua nell’indifferenza totale. Un suicidio a Ferrara, un decesso misterioso a Trani, un soffocamento tra le sbarre a Sollicciano. Quante morti ancora, prima che Parlamento e forze politiche in esso rappresentate si decidano a intervenire?
Valter Vecellio – L’Indro