Questa classe politica, che ci sommerge con mille chiacchere, elude sistematicamente e con pervicacia la questione giustizia
Il cosiddetto dibattito politico: in attesa che sia formalizzato a Giorgia Melonil’incarico di presidente del Consiglio, di tutto e di più. Il toto ministri, e le spartizioni delle tante postazioni di potere e sottopotere. Dibattito non esattamente appassionante, quello se il nuovo presidente del Senato debba essere Ignazio La Russa o Roberto Calderoli; Se Licia Ronzulli debba essere ministro della Salute, le pretese di Matteo Salvini e Silvio Berlusconi. Per non parlare dell’avvilente dibattito in corso nel Partito Democratico, che privo di strategie e di tattica, si illude di risolvere lacune e miopie decennali cambiando nome e segretario.
Si prenda comunque atto che questa classe politica, che ci sommerge con mille chiacchere, elude sistematicamente e con pervicacia la questione giustizia. Il dibattito si limita al possibile nuovo ministro, se Carlo Nordio, o Giulia Bongiorno, o chi… Di riforme, per completare quel cammino intrapreso da Marta Cartabia, neppure a parlarne.
Nel frattempo, notizia praticamente ignorata da TV e giornali, una donna di 51 anni, detenuta nel carcere bresciano di Verziano, si è uccisa impiccandosi con un lenzuolo legato al collo. Secondo il dossier “Morire di carcere” di “Ristretti Orizzonti”, dal 1° gennaio di quest’anno sono almeno 67 i suicidi, mentre il totale dei decessi dietro le sbarre è di 127. Dal 2000 a oggi le persone che si sono tolte la vita in cella sono almeno 1.291 e i morti totali in carcere 3.456.Inoltre circa mille atti di autolesionismo all’anno. Sono numeri che dovrebbero far riflettere. Invece si è fatta una campagna elettorale nel silenzio perché nessuno dei leader nazionali ha toccato questo argomento, nonostante fosse un periodo molto caldo per i suicidi in carcere.
Secondo un rapporto di Antigone, l’età media delle persone che si sono suicidate è di soli 37 anni. La maggior parte dei suicidi si consuma nella fascia d’età tra i 30 e i 39 anni, seguita da quella tra i 20 e i 29 anni.“Ci sono stati casi di suicidio pochi mesi prima dell’uscita dal carcere”, spiegaMichele Miravalle, componente dell’osservatorio nazionale di Antigone. Stando al report dell’associazione, molte persone che si sono tolte la vita erano ancora in attesa di giudizio. Dodici suicidi avvenuti quest’anno, poi, sono avvenuti dopo brevi permanenze in carcere e “nella maggior parte di questi casi le persone erano affette da patologie psichiatriche”.
Quella della salute mentale in carcere è un’emergenza. “Il problema della salute mentale forse è la grande emergenza del carcere di oggi in Italia”, dice Miravalle. Spiega che “il 40% delle persone detenute fanno uso sistematico di psicofarmaci. Im carcere non ha strumenti per affrontare molte di queste situazioni perché c’è un’emorragia di personale professionale sanitario e di operatori di salute mentale che sistematicamente mancano e quindi, spesso, si ricorre allo psicofarmaco senza poter fare null’altro”.
Per tornare all’emergenza suicidi: ognuno cela una storia che andrebbe analizzatasingolarmente, al di là dei numeri, che comunque vanno interpretati. Secondo Antigone “un importante indicatore del fenomeno, oltre ai numeri assoluti, è il tasso di suicidi, ossia la relazione tra il numero di decessi e le persone detenute”. L’anno non si è ancora concluso, e il tasso di suicidi nel 2022 “sembra destinato a crescere rispetto al biennio precedente”: nel 2020 il tasso di suicidi era pari a 11 casi ogni 10mila persone detenute; nel 2021 il valore è stato di 10,6 suicidi ogni 10mila persone detenute. Antigone confronta il fenomeno suicidario all’interno del carcere con quello fuori dove si registrano 0,67 suicidi ogni 10mila persone. Negli istituti penitenziari, invece, “ci si leva la vita ben 16 volte in più rispetto alla società esterna”.
“La detenzione è il problema più doloroso del Paese. Sono convinto che se la gente avesse uno straccio di lavoro, un lavoro qualsiasi, la popolazione carceraria si ridurrebbe”. Lo sostiene Sandro Bonvissuto, autore di “Dentro” (Einaudi), racconto del disagio di chi vive nei penitenziari. Aggiunge: “Il male delle carceri è l’inversione dei quozienti di spazio e tempo: in genere le persone hanno pochissimo tempo e tantissimo spazio. Un detenuto si ritrova all’improvviso con tantissimo tempo e pochissimo spazio”.
Il libro di Bonvissuto è duro, straziante; racconta l’inferno delle prigioni attraverso la voce di un detenuto senza nome e storia: “Credo che la detenzione sia il problema più doloroso del Paese. Sono cresciuto a ridosso di un quartiere dove per ogni famiglia era normale che si entrasse e uscisse di galera. A Roma esistono due mondi e io ero finito in quello sbagliato. Ho usato la scrittura per illuminare un mio incubo, una mia ossessione. È notte, finisci in una gabbia con altri che stanno dormendo, senti i passi del secondino che si allontanano. Resti immobile, paralizzato, finché qualcuno non ti dice “ma perché non ti metti a dormire?”.
Capitolo suicidi in carcere: “Mi stupisco di chi si stupisce: perché stare in una cella in quattro o sei persone, essere costretti a “cagare” mentre uno ti guarda, dormire in materassi bucati, in mezzo ai vermi, perché dovrebbe rendere le persone migliori?. Le carceri sono discariche sociali dove tossici, matti stanno insieme agli altri anche se avrebbero bisogno di cure e strutture adeguate. Le celle sono piene di immigrati, che hanno avuto la sfortuna di nascere dall’altra parte del mare e che sono già nel penale perché “clandestini”. Per tutti c’è un medico che passa e prescrive “le goccette”: del resto che altro ti resta se non buttarti nel letto sfondato? La vita è una punizione”.
Valter Vecellio – L’Indro