Giorno del ricordo: una giornata – istituita con la legge 92 del 30 marzo 2004 – per non dimenticare, perchè non cali mai più il sipario su quello che da più parti è stato definito l’olocausto italiano, il martirio delle foibe e il dramma dell’esodo degli istriani, dei fiumani e dei dalmati italiani dalle loro terre durante la seconda guerra mondiale e nell’immediato secondo dopoguerra.
Cinquemila, diecimila ma alcuni storici arrivano a considerare ventimila le vittime dell’odio. Una pagina di storia purtroppo taciuta e nascosta per decenni. Il genocidio di italiani da parte dei partigiani jugoslavi di Tito avvenuto tra l’autunno del 1943 e ben oltre la fine della guerra. Un’eliminazione scientifica anche questa come lo è stata quella messa in atto dai nazisti nei confronti di ebrei, diversi e oppositori. E non è un caso che essa sia avvenuta in quello squarcio di secolo buio che vide il compiersi delle nefandezze terribili che chiamiamo Seconda guerra mondiale. Ma che purtroppo si ripetono nella storia dell’uomo con scadenza ciclica. La pulizia etnica è uno strumento bellico al quale si fa ricorso senza remore. Non basta la violenza e l’orrore propri dei conflitti, l’uomo riesce a superarsi in malvagità. Ed ecco mettere in atto crimini terribili. La storia delle foibe è uno di questi.
Quando la particolare natura dell’altipiano carsico si trasformò in un grande cimitero.
Le foibe sono delle cavità naturali presenti sul Carso. Il nome deriva dal dialetto giuliano, che a sua volta deriva dal latino fovea, cioè fossa o cava. Storicamente, però, il nome foiba evoca ricordi terribili, riconducibili a due diversi momenti, uno durante la Seconda guerra mondiale e l’altro nell’immediato dopoguerra, quando divennero teatro di vere e proprie esecuzioni di massa: i partigiani comunisti del maresciallo Tito vi gettarono migliaia di persone, colpevoli di essere italiani. La crudeltà con la quale queste uccisioni avvenivano è paragonabile soltanto allo scempio perpetrato dai nazisti sugli ebrei e su tutte le vittime dei campi di sterminio.
La tecnica utilizzata per uccidere è terribile: i condannati a morte venivano legati l’uno all’altro con un lungo filo di ferro stretto intorno ai polsi; una volta schierati sugli argini delle foibe, veniva aperto il fuoco su di loro con i colpi dei mitra che li trapassavano da parte a parte. Non si sparava su tutto il gruppo, ma soltanto sui primi tre o quattro della catena; questi, precipitando ormai senza vita nelle foibe, trascinavano con sé gli altri condannati ai quali erano stati legati. Alcuni sopravvivevano per giorni, tra atroci sofferenze e con accanto gli altri cadaveri.
L’eccidio della foibe, come dicevamo, ebbe modo di ripetersi per due volte, con dinamiche e modalità differenti: dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, quando riguardò principalmente l’Istria, e con la presa di potere da parte dei partigiani e dell’Esercito Popolare Jugoslavo nel maggio del 1945. Nel ’43 in Istria e Dalmazia i partigiani jugoslavi di Tito si vendicarono dei fascisti che tra il primo e il secondo conflitto mondiale avevano dominato in questi territori con estrema durezza imponendo una italianizzazione forzata e sottomettendo le popolazioni slave locali.
Tutti gli italiani non comunisti vennero considerati nemici del popolo. In questa prima fase morirono circa mille persone. Verso la fine della Guerra l’esercito jugoslavo occupò Trieste, riconquistando i territori che dopo il primo conflitto mondiale erano stati negati alla Jugoslavia. Migliaia di italiani che risiedevano tra Istria, Fiume e Dalmazia furono costretti a lasciare la loro terra, altri vennero barbaramente uccisi dai partigiani di Tito, che li gettavano nelle foibe o li deportavano nei campi sloveni e croati. Carabinieri, poliziotti e militari della guardia di finanza furono tra i primi ad essere infoibati. E la stessa fine fecero anche normali cittadini (a volte scelti dagli assassini comunisti per motivi personali) o anche i partigiani che non accettavano l’invasione jugoslava.
Come detto il numero di morti nelle foibe non è certo: alcune fonti parlano di quattro o seimila mila morti, altre fanno ammontare il numero totale di vittime in 20mila persone. Sapere il numero preciso oggi è impossibile: la paura che il Fascismo potesse tornare fece sì che questi scempi perpetrati dalla parte politica opposta fossero insabbiati negli anni successivi e lasciati cadere nell’oblio. Si iniziò a riparlarne solo decenni dopo, quando ormai era troppo tardi per avere dati certi. La disumanità delle foibe finì con la firma del trattato di pace di Parigi il 10 febbraio 1947. Le foibe, come i campi di concentramento nazisti, sono la prova che la violenza e l’intolleranza non hanno colore politico e portano ad una sola conclusione: morti innocenti e ingiustizie.
L’intervento del Presidente della Repubblica
«Le foibe furono una sciagura nazionale alla quale i contemporanei non attribuirono — per superficialità o per calcolo — il dovuto rilievo. Questa penosa circostanza pesò ancor più sulle spalle dei profughi». Decise le parole di Sergio Mattarella alla vigilia del Giorno del Ricordo quando ha partecipato al Quirinale a un concerto in memoria degli italiani torturati uccisi nelle foibe, alla presenza di esponenti delle associazioni degli esuli istriani, fiumani e dalmati. Il capo dello Stato ha invitato a coltivare la memoria “per combattere piccole sacche di deprecabile negazionismo militante, nella consapevolezza che oggi il vero avversario da battere, più forte e più insidioso, è l’indifferenza che si nutre spesso della mancata conoscenza”.
Il presidente ha quindi ribadito in modo inequivocabile l’esigenza di non disperdere una verità storica dolosamente taciuta per decenni e che continua a trovare ignobili sacche di resistenza ideologica. Non solo. Il capo dello Stato ha rimarcato puntigliosamente la persecuzione contro gli italiani scatenata dai partigiani comunisti di Tito nelle regioni di confine, mascherata talvolta da rappresaglia per le angherie fasciste, ma che si risolse “in una vera e propria pulizia etnica, che colpì in modo feroce e generalizzato una popolazione inerme e incolpevole”.
Mattarella ha dunque messo il dito nella piaga rimarcando che le divisioni ideologiche hanno arrecato gravi danni alla convivenza civile nel nostro Paese e alla possibile definizione di una memoria finalmente condivisa. Traguardo questo purtroppo ancora lontano. E a tale riguardo possiamo affermare senza dubbio che in quelle che Mattarella definisce “sacche di deprecabile negazionismo militante” rimane una sorta di roccaforte politica inscalfibile che non sente ragioni rimanendo ferma nelle proprie convinzioni. Stiamo parlando dell’Anpi, l’Associazione dei partigiani che sulla cultura di sinistra esercita un fortissimo ascendente, comprese sulle giovani generazioni. Basti pensare la sudditanza ideologica che hanno dimostrato le Sardine.
Tuttavia va ricordato che addirittura un presidente comunista come Napolitano, nel 2007 aveva condannato senza esitazioni la foga sanguinaria e la strategia annessionistica slava “che assunse i sinistri contorni di una pulizia etnica”. Ma la lunga scia di odio che ha colpito i sopravvissuti e poi le famiglie dei martiri delle foibe non ha ancora esaurito la sua scorta di veleno ideologico.
Le lapidi oltraggiate sono una triste consuetudine nell’imminenza del Giorno del Ricordo. Atti vandalici infami che dimostrano che c’è ancora chi vuole negare la realtà, ossia che quei martiri, decine di migliaia di cittadini inermi, furono assassinati solo in quanto italiani.
Dunque, c’è ancora molto da fare per raggiungere un ragionevole grado di civiltà politica nell’Italia che non riesce a liberarsi dalle sue gabbie ideologiche. Ad esempio, in un’intervista di qualche giorno fa la ministra Lamorgese ha esaltato meritoriamente il valore della memoria per non dimenticare la mostruosità della Shoah, contro il negazionismo e il riduzionismo di chi dimostra un’assoluta ignoranza della storia. Un condivisibile manifesto contro l’odio e l’intolleranza. Ma, alla vigilia del Giorno del Ricordo, dalla titolare del Viminale era lecito attendersi almeno una parola anche sui martiri delle Foibe, vittime anch’essi del negazionismo e del riduzionismo ideologico. Un’omissione evidentemente figlia di un retaggio duro a morire.