Oggi si celebra una delle grandi tragedie del Novecento: il massacro delle foibe e l’esodo dalmata-giuliano degli italiani decretato da Tito. Un evento che tramanda tante sofferenze che non va dimenticato nè strumentalizzato
E’ un paradosso grottesco, ma l’Italia sta già dimenticando il “Giorno del ricordo”, la solennità civile in memoria delle vittime massacrate dai partigiani di Tito gettati nelle foibe e dell’esodo di istriani, fiumani e dalmati di origine italiana all’indomani della vittoria militare slava (ma i primi eccidi iniziarono già nel ’43). Questa giornata di grande intensità civile, destinata soprattutto ai giovani, è stata istituita da una legge votata dopo un lungo e tormentato iter da quasi tutti i partiti nel 2004 (esclusa Rifondazione Comunista), in coincidenza con il trattato di pace del 10 febbraio 1947 tra Italia e Jugoslavia che ridisegnava i confini dei due Paesi.
Il Giorno del ricordo” nasce fin dall’inizio tra le polemiche, tra chi accusò i suoi propugnatori di voler strumentalizzare questa ricorrenza da destra e chi tendeva a negare una delle pagine più orrende del comunismo con la scusa di opporsi alla “riabilitazione di fascisti e repubblichini” e al pericolo di infangare la Resistenza. E in effetti molti esponenti, giornalisti e persino studiosi del Centrodestra hanno tentato di farne quasi un ambiguo contraltare della Giornata della memoria, come denunciarono storici del calibro di Angelo Del Boca e Giovanni Gentile. Se ci furono vittime a destra come a sinistra allora tutti i carnefici sono uguali e dunque non ci sono carnefici, vengono attenuate le responsabilità. Un tentativo gravissimo che peraltro finisce per ledere anche l’unicità e la sacralità della Shoah, il genocidio di un popolo che va tramandato senza accostamenti fuorvianti.
In realtà quella tragedia umanitaria – frutto di abominio ideologico, etnico e nazionalista – è una pagina nera di tutto il Paese. Tra le vittime delle foibe oltre a moltissimi dirigenti e membri del Partito nazionale fascista figurano anche ufficiali, funzionari e dipendenti pubblici, insegnanti, impiegati bancari, sacerdoti come don Francesco Bonifacio, studenti come Norma Cossetto, orribilmente seviziata, stuprata e uccisa dopo un’agonia infinita, tutti cittadini senza tessera legati solo da radici comuni a quelle terre e persino partigiani e antifascisti autonomisti fiumani. Per non parlare dei destinatari del grande esodo che costrinse centinaia di migliaia di italiani a lasciare la casa e gli affetti per finire deportati come profughi in Italia (erano i “siriani” di allora, dovrebbero servirci da ammonimento, ma nessuno ormai li ricorda). Celeberrimo il “treno della vergogna”, il convoglio ferroviario che nel 1947 trasportò da Ancona i deportati di Pola, carico di esuli italiani, a torto definiti appartenenti al partito fascista grazie a un’operazione di controinformazione, su cui si scateneranno le invettive e le infamie più brutali. Il latte destinato ai bambini malnutriti e disidratati del convoglio – nel clima infuocato di allora – venne gettato sui binari della stazione di Bologna per dileggio.
Oggi, a pochi anni dall’istituzione di questa solennità civile, ai tentativi di strumentalizzazione si è sostituito il quasi generale disinteresse (figlio non a caso della strumentalizzazione). Quanti ne hanno parlato nelle scuole? Quante manifestazioni sono state celebrate? Quanti articoli, quanti libri sono usciti sull’argomento? Pochi. Ma la tragedia legata alle foibe, gli inghiottitoi carsici dove furono gettate le vittime, simbolo del moto d’odio e di giustizia sanguinaria che caratterizzò il dopoguerra nell’Adriatico Orientale, ha rivelato la natura repressiva e totalitaria del regime di Tito, in un clima di anarchia e resa dei conti che caratterizza i finali delle guerre. Quella memoria di sofferenza va tramandata per rendere omaggio a tante povere vittime e perché questo abominio della storia non si ripeta. Gettare questa giornata solenne nelle foibe dell’oblio sarebbe gravissimo.
Francesco Anfossi – Famiglia Cristiana