In qualunque democrazia normale, quando il principale partito di Governo perde la esatta metà dei propri voti, il suo “Capo politico” si dovrebbe dimettere immediatamente. Altrettanto dovrebbe fare il Presidente del Consiglio indicato da quella coalizione, offrendo al leader del partito alleato, vincitore indiscusso delle elezioni, di costituire un nuovo Governo. Un cambiamento del quadro politico così importante imporrebbe un Esecutivo con un programma rinnovato e priorità diverse, che tengano conto degli orientamenti indicati dagli elettori, resi necessari dal pericoloso isolamento in cui l’Italia con il suo deficit superiore alle previsioni ed il fardello dell’enorme debito pubblico, verrà a trovarsi in un contesto europeo in cui i partiti sovranisti risulteranno marginali ed isolati.
Siamo di fronte ad una doppia sconfitta: quella del M5S, che ha inutilmente logorato i rapporti con l’alleato, arrivando all’insulto nel disperato tentativo di invertire il trend negativo dei sondaggi, per ottenere invece soltanto un peggioramento dei rapporti di forza ed, allo stesso tempo, una altrettanto netta smentita del proposito salviniano di imporre nel Parlamento Europeo un cambiamento della coalizione in vista di una nuova alleanza con i sovranisti. Nonostante il successo indiscutibile della Lega in Italia e della Le Pen in Francia, questo obiettivo non si è realizzato, anzi il nostro Paese rischia di trovarsi di fronte ad una maggioranza continentale allargata a forze animate da un atteggiamento ancora più severo nei confronti della finanza allegra fin qui perseguita dal nostro Paese.
I Cinque Stelle intenti a leccarsi le ferite di una sconfitta che non ha precedenti nella storia repubblicana sono la rappresentazione evidente del cambiamento epocale che stiamo vivendo. Un elettorato volatile vota sempre più contro che a favore. Aveva scelto il movimento grillino quale segno di protesta, ma, resosi conto della sua inconsistenza politica per la classe dirigente incolta ed improvvisata che ha saputo esprimere, come del contenuto effimero delle relative proposte, (a partire dal quasi totale fallimento del tanto esaltato reddito di cittadinanza) con altrettanta rapidità lo ha spazzato via, facendolo precipitare dalle stelle alle stalle. Probabilmente, al prossimo appuntamento elettorale, se ne parlerà soltanto al passato, come di una meteora scomparsa nel nulla.
La lezione tuttavia deve servire anche a Salvini, che, prima quadruplicando alle passate elezioni politiche, il consenso precedente e, il 26 maggio, dopo appena un anno, raddoppiando quello già elevato precedentemente raggiunto, non può non sentire la responsabilità di stabilire un solido rapporto con le grandi masse che lo hanno votato e cercare di dare concrete risposte, pur tenendo conto dei limiti molto ristretti di una finanza pubblica con scarsissimi margini di elasticità. Dovrebbe prendere la decisione coraggiosa, che nessuno ha mai osato ipotizzare, di una drastica riduzione della spesa pubblica, principalmente costituita da sprechi di carattere clientelare ed inoltre decidere finalmente di dare un segnale in direzione della riduzione del debito con la vendita immediata, oltre che di immobili inutilizzati ed improduttivi di reddito, anche di asset pubblici non strategici.
Non si capisce perché lo Stato debba essere proprietario di una grande società petrolifera, delle due maggiori società di produzione e distribuzione elettrica, di Poste Italiane, che è la maggiore Banca nazionale, di porti, e aeroporti, delle ferrovie dello Stato, della Cassa Depositi e Prestiti, di Leonardo, di Fincantieri e di decine di altre società pubbliche, preparandosi ad un ulteriore rifinanziamento di Alitalia, già costata quasi trenta miliardi di euro di denaro pubblico. Con un decreto dovrebbe imporre inoltre, entro novanta giorni, la liquidazione o la cessione a privati di tutte le società territoriali dei servizi, fonti di spreco, clientelismo e quasi sempre gravate da enormi passività.
Se un Governo a guida di Salvini, decidesse di intraprendere una simile linea di rigore di bilancio, non soltanto avrebbe la certezza che lo spread non potrebbe salire ulteriormente, anzi invertirebbe certamente la tendenza e potrebbe por mano alla riduzione della insostenibile pressione fiscale, non limitandola alle sole fasce deboli, ma estendendola, anche in misura progressiva, anche ai detentori di redditi più alti, nel cui ambito, per evitare una pressione di fatto espropriativa, si annida la maggior parte dell’evasione e dalla quale ci si potrebbe aspettare, con una tassazione di livello accettabile, i nuovi, necessari investimenti, per rianimare il mercato del lavoro.
Salvini dovrebbe quindi, sin dai prossimi giorni porre, anzi imporre ai Cinque Stelle il proprio elenco delle priorità e pretendere che esse costituiscano l’ordine del giorno dell’Esecutovo e del Parlamento, facendo capire che altrimenti il Governo Conte potrà andare a Casa.
Il leader della Lega potrebbe far valere la possibilità di ottenere l’incarico di costituire una nuova maggioranza, senza neppure richiedere lo scioglimento delle Camere, potendo approfittare del sostegno dei partiti del Vecchio centro destra e di un folto gruppo di responsabili, che sicuramente si farebbero subito avanti per evitare di essere rispediti a casa anzitempo e con la certezza di non essere rieletti. Non si tratterebbe della riedizione del centro destra, ma di una maggioranza che si forma in Parlamento in vista di riorganizzare la geografia politica del Paese, con una sinistra, costituita dal PD, che ha iniziato la lunga marcia nel deserto per recuperare il suo ruolo di oppositore credibile, una destra, che si è ben consolidata con i risultati della Lega e di Fratelli d’Italia ed un centro liberale, democratico e moderato, che, in rappresentanza degli interessi e delle aspirazioni della borghesia italiana, avrebbe il tempo di aggregarsi sulle ceneri del dissolvimento inevitabile del partito berlusconiano e di una forte chiamata all’ impegno politico attivo delle disperse forze liberali e moderate, che non hanno ancora assunto la consapevolezza di rappresentare quel vasto mondo borghese e produttivo, che è in sostanza la maggioranza relativa del Paese e la componente più colta, consapevole delle difficoltà di un futuro carico di incognite.
Stefano de Luca – Rivoluzione Liberale