Anche attraverso concetti come “extraprofitto” e misure anti-mercato si consolida una economia di comando e controllo al servizio dell’agenda progressista
Come prevedibile, poche ore dopo l’annuncio dell’extratassa sulle banche, e la difesa della misura arrivata dalla stessa presidente del Consiglio Giorgia Meloni, si è scatenata la caccia dei politici, di destra e di sinistra, agli extraprofitti di altre categorie produttive. C’è chi, come l’ex premier grillino Giuseppe Conte, vorrebbe extratassare produttori di armi, industria farmaceutica e assicurazioni, e ovviamente il Pd di Elly Schlein gli va appresso e la Cgil rilancia a tutte le imprese e tutti i settori. E chi, sul lato destro, ora vorrebbe attaccare i “giganti der webbe” e non solo.
Il ministro dei prezzi
Non pago della figuraccia rimediata con tetti e divieti sui prezzi dei voli, una misura controproducente come ci ha spiegato Andrea Giuricin ieri, il ministro Adolfo Urss passa all’attacco delle società di raffinazione per l’aumento agostano dei prezzi dei carburanti.
Con i gestori non può prendersela, dato che hanno esposto il prezzo medio regionale come richiesto dal governo Meloni mesi fa, nonostante molti avessero segnalato che proprio questo avrebbe indotto i distributori che applicavano sconti più sostanziosi ad avvicinarsi alla media. Come ha spiegato Antonio Rizzo, infatti, “in un mercato frammentato è la cosa peggiore che si possa fare. I distributori che sino ad ora avevano praticato un prezzo sotto la media hanno ora un punto di riferimento calcolato ufficialmente verso il quale convergere essendo sicuri che nella media, appunto, il consumatore non troverà di meglio”.
Quindi il ministro Urss se la prende con le società di raffinazione, accusate anch’esse di “margini eccessivi”, extraprofitti. Un ministro delle imprese e del made in Italy che si sta rapidamente trasformando in un ministro contro le imprese, in una sorta di Savonarola che fustiga le imprese che fanno troppi profitti e che pensa di combattere l’inflazione fissando i prezzi “giusti” nelle stanze del suo Ministero, come si faceva in Unione Sovietica. Banche, trasporto aereo, alimentari, carburanti, nulla sembra salvarsi dalla furia etichettatrice del ministro dei prezzi.
Ma ci vuole una bella faccia tosta per parlare di “margini eccessivi” altrui proprio sui carburanti, dove l’unico margine eccessivo – scandalosamente eccessivo – è quello dello Stato, che si prende ben oltre il 50 per cento senza muovere un dito (di sole accise e Iva, perché poi ci sono le tasse sugli utili ovviamente).
Ryanair, ricorda il ministro Urss, ha mostrato “insofferenza alle regole del mercato”, mercato che non è il “far west dove speculatori approfittano”, ammonisce. Ora, basta intendersi. Se le compagnie aeree hanno violato le regole, c’è l’Antitrust, ma è difficile presentare la pretesa del ministro di imporre prezzi massimi e intervenire persino sugli algoritmi usati dalle aziende come “regole del mercato”. Qui siamo in zona Unione Sovietica, non ci piove.
Il profitto è sempre “giusto”
Si era chiesto Giacomo Canale, parlando dell’extratassa sulle banche, se si trattasse di un innocente cedimento estivo alla demagogia, o invece di una sbandata più grave, un defining moment per il governo Meloni. E purtroppo qui la cosa sembra seria.
La stessa presidente del Consiglio è intervenuta per difendere la misura. E ancor più della tassa in sé, a preoccupare è la motivazione. “Non è una tassa su un margine legittimo, ma una tassazione sulla differenza ingiusta del margine di interesse”, ha argomentato Meloni. L’equivoco inaccettabile è che si confonda ciò che il governo ritiene moralmente, politicamente ingiusto, con qualcosa di non legittimo, facendo quindi intendere che il margine di interesse delle banche sia illecito.
Ma giustizia e legittimità sono concetti che non vanno confusi. Se il governo ritiene politicamente giusto tassare di più le banche, lo faccia, ma non appellandosi a “extraprofitti” che presume illegittimi, perché ciò introduce un concetto estremamente pericoloso, come abbiamo già provato a spiegare.
Come ha osservato Mauro Rizzi su Twitter, se sdogani l’idea che bisogna punire l’“extraprofitto”, poi non la fermi più, finché diventa scontro sociale e si arriva al prezzo amministrato per tutto. Proprio su queste basi è già partita la gogna contro i ristoratori, a colpi di scontrini, veri o falsi.
Se il profitto non deriva da una attività illecita, ma da una buona gestione, o anche semplicemente da condizioni favorevoli del mercato che generano un guadagno superiore alle aspettative, l’idea che il potere politico possa arrivare ed espropriare ciò che ritiene “di troppo”, anche retroattivamente, è agghiacciante, da stato totalitario. Il guadagno lecito non va mai percepito come un’appropriazione indebita, è roba da comunisti. Anche perché, come ricorda Rizzi, un profitto superiore produce comunque di per sé un beneficio per la collettività in termini di maggiori tasse versate e di indotto economico.
E anche perché, spesso, un periodo di profitti superiori alle attese segue un periodo di perdite e in questo secondo caso il governo dovrebbe, seguendo la stessa logica, intervenire a ripianarle. Proprio le banche, nell’ultimo decennio di tassi praticamente a zero, hanno visto scendere la propria redditività, dovendo quindi correggere il loro modello di business e incrementare i ricavi da commissioni per compensare la riduzione del margine interessi. Ora che il margine è tornato a livelli più o meno normali, ne beneficiano.
Egemonia culturale della sinistra
La missione principale della politica economica di un governo di destra dovrebbe essere rimettere in moto l’economia, attraverso la liberazione del suo potenziale, riducendo tasse e regolamentazioni, non “ridurre le disuguaglianze” tramite misure falsamente redistributive e sicuramente espropriative, che di fatto allontanano i capitali e redistribuiscono miseria. Quelle lasciamole alla sinistra.
È innegabile un consenso, un mainstream nel mondo occidentale a favore di un maggiore intervento dello Stato, o di entità sovranazionali come l’Ue, nell’economia, di una maggiore tassazione e regolamentazioni sempre più invasive.
Influenti centri di elaborazione del pensiero spingono per un maggior controllo sull’economia e la società, promuovendo politiche dirigiste, se non autoritarie, in risposta alle sfide globali. Trovano ovviamente terreno fertile a sinistra. Da decenni la sinistra non tornava così a sinistra, ma a quanto pare la destra si accontenta di essere solo un po’ meno di sinistra, ammaliata anch’essa dall’espansione dei poteri dei governi che questa fase offre.
Singolare che una maggioranza così attenta al tema dell’egemonia culturale della sinistra sul terreno della cultura, della memoria storica, dei valori, non comprenda invece la necessità di contrastarla anche in campo economico e contrappore una ricetta alternativa al tassa-spendi-regolamenta-sussidia.
Se il governo Meloni non lo comprenderà in tempo, non riuscirà a rimettere in moto l’economia, a creare opportunità di business e posti di lavoro, e a prescindere dalla popolarità di misure spot come una tassa che colpisce le banche “sporche e cattive”, alla lunga dilapiderà il suo capitale di consenso.
Non è che non vediamo la popolarità di una tassa sugli extraprofitti delle banche (sono antipatiche anche a noi), ma vediamo quanto essa sia effimera. Arriverà un momento in cui gli elettori si faranno due conti e concluderanno che le loro prospettive economiche non sono migliorate, e questo anche a causa di misure apparentemente popolari ma in realtà dannose per l’economia.
Economia di comando e controllo
In fin dei conti, colpire le banche, o le compagnie aeree, o quelle energetiche, può suscitare applausi, ma si consolida una economia di comando e controllo che è esattamente lo strumento su cui puntano le élites progressiste per attuare i loro programmi di trasformazione delle società occidentali, con il pretesto di una crisi sanitaria o climatica.
A parole la destra si oppone ad esse, senza rendersi conto di farsene strumento, contribuendo a rafforzare il Leviatano che ci sta opprimendo, per il solo fatto di assecondare l’espansione dei poteri del governo sull’economia.
Federico Punzi – Atlantico