Giggino, ormai stufo di fare da ‘secondo’ a pochette-Conte, attacca, mentre questo, per fare vedere che esiste, finge di assumere posizioni politiche divergenti, timidamente e solo a parole, da quelle del Governo, del quale Giggino è parte
L’intenzione era di scrivere sulla serissima situazione della guerra in Ucraina e sulle conseguenze del viaggio a Kiev dei tre ‘leader’ europei, dove i toni in politichese stretto hanno fatto largamente premio sui salamelecchi. E questo è e sarà un problema. Ma, pur sapendo che per qualche giorno queste noterelle vi arriveranno in ritardo rispetto agli avvenimenti, i ‘racconti’ devastanti e devastati sulla situazione politica del nostro povero Paese, mi obbligano a parlare di quella roba lì.
Confesso nonché disgustosa, disgustante: un livello da cortile della servitù, ma ormai di un edificio molto decaduto, tremendamente decaduto e in piena decadenza.
Mi vengono in mente le parole misurate, pensate, umane (di una profondità inarrivata) e politiche fino al midollo, ma di politica vera, non ‘sta roba che si vede da noi, le parole, dico, di Pier Luigi Bersani ospite da Lilli Gruber. Bisogna fare cose, e cose di sinistra, bisogna pensare alla realtà della gente (dico io parafrasando malissimo le parole di Bersani e me ne scuso), bisogna agire da sinistra, non parlare di sinistra, alle quali risponde il liquido, amebico Enrico Letta con le ‘ciacole‘ del campo largo o sciocchezze del genere. Un abisso. Un abisso incolmabile, ormai incolmabile, tra Bersani, cioè la politica, e Letta, cioè i morti viventi come lucidamente titola un giornale.
Ma su ciò non vale la pena insistere.
Perché la prima pagina la tiene la rissa da lavinaio tra Giggino, detto Luigi Di Maio, e pochette, detto Giuseppe Conte.
Pare che la rissa, covata da tempo, sia scoppiata per iniziativa di Giggino, ormai stufo di fare da ‘secondo‘ a pochette. Che, a sua volta, per fare vedere che esiste (cosa tutta da dimostrare e forse indimostrabile, non diversamente, peraltro, da Giggino), finge di assumere posizioni politiche divergenti, timidamente e solo a parole, da quelle del Governo, del quale Giggino è parte, e se non lo fosse sarebbe già scomparso tra i fumi della terra dei fuochi.
I toni di Giggino, sono violenti come è ovvio da parte di uno che non sa cosa dire e come dirlo, ma sa solo fare e parlare di potere, del suo potere personale, anzi, della sua sopravvivenza.
Come è ovvio, infatti, e lo si è visto nelle elezioni amministrative, gli stellini sono in rotta, probabilmente irreversibile. E quindi si tratta di salvare la pelle, tanto più che le regole cretine degli stellini e le regole imposte dalla modifica costituzionale accettata dai partiti (più cretini dei proponenti di quella cretinata) rendono il futuro di Giggino a dir poco incerto. Del resto, di che stupirsi? Di per sé non ha né arte né parte; formalmente non ha voce in capitolo nel partito, e la su ‘corrente’ è, per ora minoritaria.
Il ragazzo si è attaccato all’idea dell’atlantismo, ma non perché ne condivida il contenuto o lo comprenda, ma solo perché pensa che il suo futuro possa esistere solo se sarà più draghiano di Draghi e pronto allo squillo dell’amebico Letta e del suo incomprensibile ‘campo largo’.
Dice senza ridere (almeno così pare, anche se ha ricevuto i giornalisti sul retro di Montecitorio … è solo un caso) che bisogna avere democrazia e inclusività nel partito (che detto da lui, il ‘capo politico’, fa solo ridere) e che ciò significa non ‘disallineare‘ (superbo neologismo, quasi impronunciabile) l’Italia dall’Europa (le marchette di Macron, tanto per dire) e dalla Nato (contro la quale ha e hanno detto parole di fuoco, corrette, ma non perché ne comprendessero il senso e il contenuto) per non imitare Salvini. Ma il Governo con Salvini chi lo ha fatto, sua nonna? E le strizzatine di occhi a Salvini in questi anni di Governo Conte2 e Draghi, chi le ha fatte, mia nonna?
Anzi, per dimostrare che ha capito tutto bene e sa quello che dice, aggiunge (tenete presente che Giggino ‘fa’ il Ministro degli Affari Esteri!) che «l’Italia non è neutrale». Si rende conto di quello che dice? Se l’Italia non è neutrale e non lo dice il primo che passa, vuol dire che l’Italia è parte della guerra. Non esistono alternative: o si è ‘con’ o si è ‘contro’, o si è ‘neutrale’ e lui dice che non lo si è! Bravo. E Draghi che dice del ‘suo’ Ministro che parla così? Tra l’altro giusto mentre Draghi è a Kiev a partecipare ad una specie di esercizio di funambolismo da circo di Mosca (appunto!) per non dire che si è ‘con’, ma, appunto per dire che la decisione sulla soluzione della guerra dipende da ‘loro’, gli ucraini; tutti pensano: certo gli ucraini, ma … .
Ma poi, il bel Giggino, cade nella sua stessa trappola di parole vuote, quando dice (la verità) «non vogliamo morire contiani, ormai le nomine le fa lui, la linea la dà lui, noi sono sei mesi che non veniamo coinvolti in nulla». Dove si inanellano e si intrecciano tutte le banalità superficiali che ha appreso in questi ultimi anni. Replica una frase famosa, ai tempi del ’68 quando si diceva che non volevamo morire democristiani (e, maledizione, è proprio ciò che sta accadendo: Letta che è?) e probabilmente non se ne rende nemmeno conto. Ma il punto vero è il potere: le nomine le fa lui.
Si potrebbe dire: ma quando eri il ‘capo’ non facevi tutto tu, e ora di che ti lamenti? E poi in tutti i partiti accade più o meno lo stesso, salvo qualche forma meno brutale, ma nemmeno sempre: guardate a Letta! In altre parole, il tema unico è il potere. Giggino ha una paura folle di perderne quel tanto che dovesse bastargli a non essere rieletto. Perché se non viene rieletto, rischia di andare per angoli di strada con il cappello in mano.
In questo ha una debolezza rispetto a pochette, che, almeno il posto di professore nessuno glielo toglie; come avvocato penso che abbia ormai chiuso, ma chi sa, ma il posto di professore e il relativo stipendio stanno lì.
E quindi Conte ha un vantaggio su Giggino, tanto più che, nonostante le cause varie (promosse da Giggino?) lui è il ‘capo’, sia pure un po’ ridimensionato dal litigio con Grillo e con Casaleggio eccetera.
Da buon professorino, gli fa la lezione e il verso. «Ho fatto campagna elettorale, so come assumermi la responsabilità quando si ha leadership politica», che è una risposta melensa, ma che ribadisce contento di avere la ‘leadership’: chi sa che significa! E poi lo stanga, e lo stanga di brutto, ma proprio di bruttissimo, quando dice che non si fa propaganda politica e non si parla di mancato atlantismo quando il Presidente del Consiglio è all’estero.
Dette da lui (che ha fatto lo stesso a suo tempo) queste parole suonano come pietre, perché richiamano appunto quel discorso che facevo prima: che cosa è l’Italia, neutrale o parte nella guerra?
Non vale la pena di dire altro, in questa sceneggiata, diremmo a Napoli ‘tra capere’ (Giggino saprà certo spiegarla la frase a pochette) salvo il disgusto e l’avvilimento: questa è la nostra realtà politica.
Questi due arrogantelli che fanno i ‘forzuti’ e se le danno di santa ragione; l’altro che si accinge a tornare al Papeete (se qualcuno non ha ancora vinto la concessione al posto dell’attuale proprietario) a dire ‘belinate’ e a promettere fuoco e fiamme a Settembre, dopo gli esami di riparazione; la ragazza Giorgia, che è madre italiana e non so che altro e strizza l’occhio e anche di più ai peggiori fascisti d’Europa, ma dice di volere essere leader (pure lei, sta sciocchezza) della destra … liberale! Liberale, la Meloni … solo Crosetto ci crede; e infine Letta col campo largo, che medita di allearsi oltre che con quel che resta degli stellini (poco vedrete) con Calenda (il fenomeno, che parla alle oche) e Renzi (che sta già studiando come fregarlo di nuovo e) che, comunque, già strizza l’occhio a Giorgia l’italiana. Divertente, il refuso del ‘Corriere‘, che senza volere ridicolizza questi ultimi: «Il leader democratico: premiato il nostro sostegno a Draghi e l’assenza di ambiguità sull’Ucraina. Serve un’alleanza guidata ad un grande partito»: freudiana la aspirazione, indicata dal lapsus, ‘ad’ un grande partito.
Ha ragione da vendere Nadia Urbinati quando si domanda (domanda a Letta, che non capisce) se convenga al PD allearsi con quei due (o tre se ci mettiamo gli stellini) e non invece seguire il suggerimento di Bersani, di guardare e fare la sinistra, che vorrebbe dire (se mi è permesso) conquistare i voti di quel 40% di italiani che continuano a non votare: questa sì che sarebbe una azione di democrazia vera.
Ci sarebbe da ridere se non ci fosse da piangere, e molto anche.