Il piano nasce per quei migranti illegali (la maggior parte) che usano la richiesta di asilo come espediente per non essere fermati e respinti, ma in realtà arrivano da paesi sicuri
I primi 16 emigranti, sei egiziani e dieci bengalesi, che viaggiavano su imbarcazioni dirette in Italia individuate da navi italiane nel Mediterraneo sono arrivati in Albania il 16 ottobre. Per quattro è stato subito disposto il trasferimento in Italia: due perché, verificati i dati anagrafici nell’hotspot di Shengjin, sono risultati minorenni e due perché non erano in buone condizioni di salute. Le strutture allestite dal governo italiano infatti non sono attrezzate per ospitare minori e persone bisognose di cure. Gli altri 12 sono stati portati a Gjaer, il centro destinato ai richiedenti asilo, ma il 18 ottobre la sezione immigrazione del Tribunale di Roma non ha convalidato il loro trattenimento nella struttura e così il 19 ottobre sono arrivati anche loro in Italia.
La motivazione addotta dal giudice è che non è possibile considerare Egitto e Bangladesh “paesi sicuri” e quindi che le richieste di asilo dei 12 emigranti non possono essere esaminate, e respinte, in Albania seguendo le procedure più rapide previste per chi, proprio in ragione del paese di provenienza, molto difficilmente può avere diritto a protezione internazionale: in altre parole per gli emigranti illegali che usano la richiesta di asilo come espediente per non essere fermati e respinti, ma in realtà arrivano da paesi che non presentano condizioni tali di violenza, insicurezza, persecuzione o guerra da giustificare la fuga dei loro abitanti.
Gli arrivi da “paesi sicuri”
Il Piano Albania nasce per questi emigranti illegali che sono la maggior parte, come dimostra la piccola percentuale dei richiedenti asilo che ottengono protezione internazionale. Il governo italiano ha individuato 22 stati che si possono considerare sicuri, tra i quali appunto l’Egitto e il Bangladesh. Entrambi i paesi figurano tra i 10 Stati da cui dall’inizio dell’anno sono arrivati più emigranti illegali: 3.453 dall’Egitto e 10.832 dal Bangladesh.
Nelle prime dieci posizioni per numero arrivi si trovano anche altri due Stati che il governo italiano ha stabilito essere sicuri: la Tunisia, da cui sono arrivate 7.200 persone, e il Gambia, 1.205. In tutto provengono da questi quattro paesi 22.690 emigranti illegali sul totale di 55.010.
Le critiche al Piano Albania
In Italia il Piano Albania è fortemente avversato dai partiti all’opposizione e da molte cooperative e organizzazioni umanitarie. Le critiche vertono sia sul piano morale sia su quello economico, infondate in entrambi i casi. Il costo complessivo del Piano, di oltre mezzo miliardo in cinque anni, definito esorbitante, non tiene conto dei costi altrettanto elevati e anzi superiori della accoglienza nei Cas, i Centro di accoglienza straordinaria, che ospitano gli emigranti in Italia per tutto il tempo, mesi e a volte anni, necessario all’esame delle loro richieste di asilo, senza contare altre spese.
Il solo gratuito patrocinio che consente agli immigrati le cui richieste di asilo vengono respinte dalle commissioni territoriali di ricorrere in Cassazione usufruendo di assistenza legale pagata dallo Stato italiano è arrivato a costare fino a 50 milioni di euro all’anno.
Sul piano morale e legale, le accuse al governo italiano di “deportazione di migranti”, di “violazione dei loro diritti fondamentali” sono insostenibili. Quelli che davvero sono fuggiti per salvare vita e libertà chiedono aiuto e ne hanno diritto. Meglio per loro sarebbe stato se, come dovrebbe succedere, li avessero presi in carico l’Alto commissariato Onu per i rifugiati e le autorità del primo paese straniero in cui hanno messo piede invece di dover percorrere migliaia di chilometri clandestinamente e pagare migliaia di dollari alle organizzazioni criminali alle quali si sono rivolti per il viaggio. Adesso, comunque, a loro non importa di essere in Italia, in Albania o altrove purché al sicuro e in condizioni dignitose.
L’effetto deterrente
Non così è per chi invece vuole entrare in Unione europea a qualsiasi costo. Ed è questo l’effetto deterrente che il Piano Albania esercita sugli emigranti illegali e sulle organizzazioni criminali che ne gestiscono i viaggi: non avere più la certezza di arrivare a destinazione. “Siamo felici di essere trasferiti in Italia” hanno dichiarato i 12 emigranti alla notizia che avrebbero lasciato l’Albania e non vedevano l’ora di riferirlo alle famiglie. “Erano raggianti e sorridenti – ha commentato Rachele Scarpa, deputata del Pd, che era andata in Albania per verificare le condizioni di accoglienza – gli abbiamo spiegato che adesso non è del tutto finita e fornito qualche elemento in modo che potessero avere accesso ad una adeguata assistenza legale. Controlleremo che le cose vadano per il verso giusto anche in Italia e loro ci hanno ringraziati”.
Il modello Albania riscuote consensi
In Europa invece l’Italia e il Piano Albania stanno riscuotendo consensi. All’incontro informale promosso da Italia, Danimarca e Paesi Bassi svoltosi a Bruxelles il 17 ottobre per discutere di “soluzioni innovative” di contrasto all’emigrazione illegale hanno partecipato Austria, Cipro, Polonia, Repubblica Ceca, Grecia, Ungheria, Malta, Slovacchia e la Commissione europea nella persona del presidente Ursula von der Leyen. Una soluzione considerata con sempre maggiore interesse è proprio il trasferimento dei richiedenti asilo in paesi terzi sicuri, come l’Albania.
La Danimarca è stato forse il primo Stato dell’Unione europea a pensare a questa soluzione con destinazione il Rwanda, lo stesso paese con cui aveva avviato un piano di trasferimento la Gran Bretagna, poi accantonato dal governo laburista entrato in carica quest’anno.
Il governo olandese alla vigilia dell’incontro ha invece annunciato che sta valutando un piano di riallocazione in Uganda dei richiedenti asilo africani respinti, in attesa del loro rimpatrio. Si tratterebbe di creare lì uno hub di rimpatrio. Il ministro olandese del commercio estero e della cooperazione allo sviluppo Reinette Klever ne ha discusso con il ministro degli esteri ugandese Jeje Odongo durante una sua recente visita nel paese africano. La scelta dell’Uganda dovrebbe riscuotere consensi unanimi dal momento che alcuni anni fa l’Alto Commissariato Onu per il rifugiati l’ha dichiarata il miglior luogo al mondo in cui chiedere asilo.
La sentenza contro l’Italia
Ma contro l’Italia si è espressa la Corte di Giustizia europea con una sentenza del 4 ottobre che è stata citata dal Tribunale di Roma come base giuridica per motivare la propria impossibilità di riconoscere come “paesi sicuri” Egitto e Bangladesh. Secondo i giudici della Corte di Giustizia europea un paese terzo si può definire sicuro solo se è possibile dimostrare che tutto il suo territorio nazionale lo è, “in modo generale e uniforme”.
In questi termini non può ritenersi sicuro, come invece ha stabilito il governo italiano, ad esempio il Senegal, uno degli stati africani che godono di maggiore stabilità economica e politica e da più lungo tempo, ma nel quale permangono spinte indipendentiste nella Casamanche, una regione del sud dove talvolta si verificano scontri tra manifestanti e forze di sicurezza e altri incidenti, il che peraltro non è di ostacolo alla fiorente industria turistica.
Se si pretende la totale, assoluta sicurezza, forse nessuno dei 22 paesi indicati dal governo italiano ha i requisiti richiesti. A ben pensare, non li ha neanche l’Italia.
Anna Bono – Atlantico