Porre un limite d’età per l’accesso alla terapia intensiva basato sulle maggiori possibilità di sopravvivenza. È quello che ipotizza la Società italiana di anestesia, analgesia, rianimazione e terapia intensiva in un documento tecnico legato all’emergenza coronavirus.

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Si tratta dunque di un piano per gli scenari più gravi: intubare solo chi ha la maggior speranza di vita, questo in sintesi il documento choc degli anestesisti. Un orizzonte sconvolgente, da autentico incubo che ci auguriamo mai si verifichi, tuttavia i sanitari mettono le mani avanti poichè, vista la grave situazione, i letti di terapia intensiva a breve potrebbero non bastare per tutti.

Nel comunicato si evidenzia che le previsioni stimano un aumento dei casi di insufficienza respiratoria acuta di tale entità da determinare un enorme squilibrio tra le necessità cliniche reali della popolazione e la disponibilità effettiva di risorse intensive. In sostanza il documento della società di anestesia, analgesia, rianimazione e terapia intensiva Siaarti vuole essere una sorta di tabella di marcia che suggerisce una guida di comportamento etico a sostegno dei primari chiamati ad affrontare una emergenza fuori dalla normalità.

Stiamo quindi vivendo una realtà che nell’immaginario collettivo ricorda alcuni film di guerra che raccontano la tragica quotidianità della medicina di prima linea. I medici che diventano come giudici chiamati ad emettere la sentenza: pena di morte o la salvezza. Ora quello che vedavamo in quei film potrebbe diventare purtroppo una realtà che coinvolgerebbe tutti. E a prepararci a questo terrificante cambiamento epocale è proprio il documento  della Siaarti redatto dopo aver attentamente analizzato la situazione creatasi negli ospedali lombardi in seguito al contagio che di fatto arriva a prevedere un contesto sostanzialmente assimilabile all’ambito della medicina impegnata in zone di guerra o là dove si siano verificate catastrofi ambientali.

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Insomma, la previsione per molti versi agghiacciante  spinge ad ipotizzare la necessità di riservare i trattamenti di carattere intensivo ai pazienti con maggiori possibilità di successo terapeutico privilegiando il paziente che ha maggiore speranza di vita. A neppure un mese dall’esplosione dell’epidemia il contagio da Covid-19 minaccia dunque di trasformare non solo le zone rosse ma l’Italia intera in un territorio di combattimento bellico in cui vige la dura regola della selezione dei soggetti ammalati per assegnare loro la priorità di trattamento.

I criteri, spiega la società dei rianimatori, riguardano tutti i pazienti intensivi, non solo i pazienti con infezione da Covid-19 in quanto “un eccessivo aumento straordinario dei letti intensivi non garantirebbe cure adeguate ai singoli pazienti e distoglierebbe risorse, attenzione ed energie ai restanti pazienti”. In sostanza lo studio della Siaarti intende attenersi alla pura e semplice necessità. Il ragionamento è tanto razionale, quanto lineare ripetendo che non riguarda solo i contagiati da Coronavirus, ma tutti i malati.

Restando sempre a uno scenario catastrofico immaginiamo perciò che fuori dall’ospedale resterebbero non solo i contagiati da Covid-19 troppo anziani o con una condizione fisica troppo compromessa da altre malattie, ma tutti i casi clinicamente irreversibili causati da altre patologie. Il sistema sanitario, stando sempre al documento, dovrebbe inoltre discriminare già in fase di accettazione rifiutando nuove cure ai malati terminali o con traumi irreversibili. Diciamo che anche questa proposta viene giustificata evidenziando la scarsa capacità di risposta del sistema ospedaliero.

Ma c’è di più. Si teorizza anche la creazione di elenchi di malati con cure a termine, ovvero malati non più meritevoli di assistenza in caso di aggravamento delle condizioni. L’associazione rianimatori pare sia dell’idea che i criteri di accesso alla terapia intensiva andrebbero discussi e definiti per ogni paziente in modo il più possibile anticipato, creando idealmente per tempo una lista di pazienti che saranno ritenuti meritevoli di terapia intensiva nel momento in cui avvenisse il deterioramento clinico. Un’eventuale istruzione “da non intubare” dovrebbe essere presente in cartella clinica, pronta per essere utilizzata come guida se il deterioramento clinico avvenisse precipitosamente e in presenza di curanti che non hanno partecipato alla pianificazione e che non conoscono il paziente.

E come se non bastasse c’è un altro aspetto che i medici cominciano a considerare, ovvero i pazienti non contagiati dall’epidemia in corso che comunque hanno bisogno della terapia intensiva. Anche loro potrebbero pagare sulla loro pelle le conseguenze di questa emergenza.