E – fatta eccezione per i 5Stelle – tutti si preparano all’arrivo di un governo di unità nazionale guidato da Mario Draghi o da un altro nome super-partes pronto a gestire la ripartenza di un Paese messo alle corde dall’emergenza Coronavirus.
Vittorio Colao o Mario Draghi? Quei due nomi sono il vero incubo di Giuseppe Conte. Il premier sa bene di essere al crepuscolo. Da quando ha approfittato di una diretta televisiva per lanciarsi in un estemporaneo ed inopportuno attacco all’opposizione su di lui è sceso il gelo del Quirinale. Fin qui il Presidente Sergio Mattarella si era rassegnato a considerare un male minore quello strano premier uscito dai laboratori politici del M5S e usato prima come garante dell’alleanza con la Lega e poi di quella con il Pd.
Un male indispensabile nell’ottica del Quirinale per evitare il voto e la vittoria di un Matteo Salvini alla testa un’alleanza di centro destra sgradita sia a lui sia all’Europa. Ma ora quel timore non c’è più. Di andare votare nemmeno se ne parla. Anche perché bisognerebbe prima organizzare il referendum sul taglio dei parlamentari previsto per lo scorso 29 marzo e slittato a causa dell’emergenza Corona virus. Un referendum che, visti i dubbi sul dopo Covid, difficilmente verrà riproposto prima di ottobre. Di conseguenza qualsiasi elezione parlamentare dovrà attendere almeno la primavera del prossimo anno. Anche perché al momento nessuno sgomita per assumersi la responsabilità del salvataggio di una penisola affossata dal Coronavirus. Non certo Matteo Salvini costretto, in caso di vittoria, a fare i conti con l’ostracismo dell’Europa e con i colpi di uno spread capace di trasformare in missione impossibile un’eventuale vittoria elettorale. Di certo non invoca le urne un Silvio Berlusconi consapevole di rischiare un doloroso ridimensionamento. E in fondo non le desidera neppure Giorgia Meloni. La nebbia che grava sull’Italia non permette infatti visioni di lungo periodo.
Un’opposizione decisa e coerente resta, al contrario, il miglior strumento per conquistare consensi anche all’interno dell’ex elettorato a 5 Stelle e contendere a Salvini l’egemonia del centro destra. Per l’attuale maggioranza il voto e le urne rappresentano invece un vero incubo. L’M5S ne uscirebbe probabilmente più che dimezzato. Matteo Renzi rischierebbe di ritrovarsi alla testa di un partitino del 3 per cento. Nicola Zingaretti teme le congiure di quanti lo considerano assolutamente inadeguato al ruolo di segretario. Dunque il problema di opposizione e maggioranza, fatta eccezione per il M5S, coincide con quello del Quirinale e riguarda la gestione dell’Italia per il periodo, non inferiore ad un anno, che ci separa da una possibile elezione.
Nell’ambito di quest’assonanza di pensiero vi è una sola certezza. Né il premier, né la sua attuale compagine ministeriale sono considerati in grado di guidare la ripartenza del Paese. E ancor meno di garantirsi il consenso indispensabile a gestire un’uscita dalla crisi che richiederà scelte ben più dolorose di tutte quelle affrontate dal dopoguerra ad oggi.
Dunque benché nessuno ancora lo ammetta tutti già guardano ad un governo di unità nazionale affidato ad una personalità “super partes” come l’ex numero uno di Vodafone Vittorio Colao o l’ex direttore della Bce Mario Draghi. Il secondo sembra, al momento, avere ben più possibilità dell’ex numero uno di Vodafone, a cui Presidente del Consiglio ha affidato la guida degli esperti incaricati di rimettere in moto il paese. E non solo perché Colao è considerato un prodotto della gestione Conte. Draghi oltre ad aver ricoperto con successo un ruolo politico-economico primario come quello di Direttore della Banca Centrale Europea è anche l’unico a poter vantare un consenso praticamente unanime tra le forze politiche di maggioranza e opposizione.
Una sua candidatura susciterebbe probabilmente solo l’ostruzioni smodi un M5S consapevole che la sostituzione di Conte segnerebbe anche la fine politica del movimento. L’ipotesi di governo istituzionale a cui affidare la difficile e dolorosa rinascita piace invece a gran parte degli altri partiti. Pd, Italia Viva e Forza Italia già lavorano in quell’ottica. E lo dimostra il voto al Parlamento Europeo su Mes e Recovery Bonds che ha spaccato maggioranza e opposizione. La Lega finge per ora di ignorare il problema, ma il suo vice-segretario Giancarlo Giorgetti rappresentante “istituzionale” del movimento spinge proprio in quella direzione. “Il mio sogno è quello di Salvini premier, ma il migliore in Italia per poter gestire un deficit/Pil al 5% e con un Pil al -5% è Mario Draghi – ha ammesso ai primi di marzo Giorgetti – io mi auguro che il Paese non si inchiodi, ma se ciò avverrà dovremmo chiamare al tavolo le ultime risorse intellettuali di esperienza che ha questo Paese”.
Giorgia Meloni consapevole che l’opposizione ad un governo costretto a impartire dolorose purghe al sistema sia il modo migliore per ampliare visibilità e consensi non sgomiterà certo per entrarvi, ma si guarderà bene dal mettersi per traverso. L’unico a rimetterci segnando la fine della sua parabola politica sarà dunque Giuseppe Conte. Ma in fondo non ha molto di che lamentarsi. Arrivato dal nulla e votato da nessuno potrà sempre consolarsi ricordando di esser stato sconfitto non dalla politica, ma dalla pandemia.
di Gian Micalessin