Ma si tratta solo di un atto di indirizzo. I renziani, sotto traccia, rilanciano sostenendo che il governo dovrà intervenire così come promesso. Ma secondo quanto si apprende al momento non è prevista alcuna misura correttiva, anche perché manca lo strumento legislativo su cui intervenire. Non è possibile farlo nella legge di bilancio, potrebbe essere preso in esame una misura all’interno del Milleproroghe o di inserire cambiamenti nella legge sulle vittime dei crimini domestici.
Orlando, però, sgombra il campo dalle polemiche: “Non si tratta di un provvedimento giustizialista. Da oggi – ha sottolineato – ci sono più strumenti per combattere la mafia, più trasparenza nella gestione dei beni confiscati, più garanzie per chi è sottoposto a misure di prevenzione. L’approvazione è una buona notizia per la lotta alla criminalità organizzata e per lo Stato di diritto”. Soddisfatti anche Rosato (“il codice antimafia mette ordine a iniziative di contrasto alla mafia), la presidente della Commissione Antimafia Bindi (“buon risultato e un bel regalo al Paese”), il vicesegretario dem Martina (“l’ok è un passo fondamentale”).
Ieri la Camera aveva definitivamente approvato il nuovo Codice Antimafia con 259 voti a favore 107 contrari e 28 astenuti. Il testo aveva ricevuto nel novembre 2015 il primo via libera alla Camera ed era stato licenziato in seconda lettura lo scorso 6 luglio al Senato. In terza lettura alla Camera non ha subito modifiche e ha quindi concluso il suo iter, divenendo legge.
“Già dopo tangentopoli era emersa, 25 anni fa, la necessità di prevenire, e non soltanto di reprimere la corruzione. Ma il tema è stato ignorato per molti anni. Ci si è limitati al contrario a sopprimere i reati sentinella, che erano una delle forme di prevenzione più efficaci. Poi, da cinque anni abbiamo invece imboccato la strada della prevenzione in una modalità che è a mio avviso profondamente sbagliata, perché più della sostanza privilegia l’apparenza”. Lo afferma al Mattino, Giovanni Maria Flick. “In primo luogo – spiega – perché mette esattamente sullo stesso piano la corruzione e la criminalità organizzata, che sono due cose profondamente diverse, sebbene spesso si sommino e si aiutino l’una con l’altra. Sono diverse perché nel caso della criminalità organizzata c’è una componente di violenza, mentre nel caso della corruzione è implicato un consenso illecito, bacato, tra chi ha il potere e chi compra per avere la gestione del potere”. “Poi – prosegue – stiamo imboccando la strada del sospetto, perché usiamo la confisca e il sequestro come strumenti di prevenzione a tutto campo, in una situazione in cui c’è il sospetto che la persona viva di reati o abbia commesso un reato”. “Ma la cosa ancora più problematica – sottolinea – è che aggiungiamo un’ennesima forma di confisca in un panorama già sufficientemente confuso, in cui abbiamo già molte forme di ablazione del profitto: la confisca del profitto come misura di sicurezza, la confisca per equivalente, la confisca nei confronti degli eredi. Già ora disponiamo insomma di una serie di strumenti che consentono di azzerare il vantaggio derivante dall’attività di corruzione. Aggiungere un ulteriore profilo di confisca è quanto mai inopportuno: penso ad esempio alla confusione che si è creata in seguito alla decisione della procura di Genova di sequestrare e confiscare i proventi della lega per la truffa ai danni dello stato, per la quale sono stati condannati i vertici del partito. Una situazione in cui ci si è domandati se la decisione non urtasse con i principi che tutelano l’attività politica. Ciò dimostra, una volta di più, che l’introduzione di certi meccanismi automatici senza coordinamento crea molti più danni di quanti vantaggi possa apportare”.
“Se fossi stata in aula non avrei votato l’ordine del giorno di Pd e Ap su eventuali correttivi. Il Codice Antimafia va bene così com’è”. È quanto afferma, invece, in un’intervista a Repubblica Rosy Bindi, presidente della Commissione parlamentare Antimafia, ribadendo che l’approvazione del nuovo Codice antimafia “è una bella notizia, un regalo al Paese”. “La misura che perfezioniamo con la riforma approvata – spiega Bindi – è unica in Europa, perché i beni confiscati ai mafiosi sono utilizzati a fini di sviluppo sociale ed economico e mettono in movimento un patrimonio da 25 miliardi di euro che spesso finisce inutilizzato”. Quanto all’estensione della confisca e del sequestro dei beni anche per corruzione, concussione, per il terrorismo e lo stalking, Bindi dice che “anche se il progetto uscito dalla Commissione antimafia non aveva questa formulazione, che è stata introdotta da Camera e Senato, va ricordato che in sede giudiziaria da tempo le misure di prevenzione patrimoniale sono applicate sia ai corrotti che agli evasori fiscali seriali. Molte leggi, compresa quella sul caporalato, hanno esteso le misure di prevenzione patrimoniale anche ad altri reati. In questi anni abbiamo imparato che insieme alle pistole e ai kalashnikov, l’arma privilegiate dai mafiosi è la corruzione”. E conclude: le critiche “sono tardive e strumentali”. Il principio adottato nel Codice Antimafia “è semplice, chi non riesce a dimostrare nel corso del procedimento giudiziario che le sue ricchezze sono frutto di attività lecite si vedrà privato di quei beni che illecitamente ha sottratto alla comunità e che alla comunità vanno restituiti”.
“La cosa che mi lascia perplesso è la gestione di questi beni. Cioè il fatto che si dia maggiore potere ai magistrati, il fatto che si dia maggiore possibilità di prolungare la gestione del sequestro fino alla confisca, quindi fino all’Appello, tenendo la gestione in mano ai magistrati”. Così Nicola Gratteri, procuratore della Direzione Antimafia di Catanzaro su Radio 24. Gratteri spiega i suoi dubbi: “Perplesso perché io sono di avviso diametralmente opposto. Io ho fatto, in un mio progetto di riforma, da me presieduto, un articolato di legge dove prevedevo esattamente l’opposto. Cioè prevedevo che l’Agenzia dei beni confiscati intervenisse da subito, prima possibile. Perché intanto i magistrati non sono attrezzati, non hanno le conoscenze specifiche della gestione di un bene e non possiamo lasciare tutto nelle mani di un amministratore giudiziario. Il magistrato – nella sua figura – è stato programmato, studiato per altro” e conclude: “Ci sarà un’impennata delle spese di giustizia da paura”. (Pupia.tv)