Dopo la tragedia il solito incrocio di polemiche e accuse. Alla Procura di Genova il compito di individuare i responsabili di questo immane dramma che ha causato la morte di 43 persone inghiottite nel vuoto e sepolte da tonnellate di cemento. Tuttavia nelle ultime ore sconvolge l’ostinazione di chi si sgola in difesa di coloro che saranno tirati in ballo in termini di responsabilità sull’accaduto, ovvero la famiglia Benetton che attraverso Autostrade per l’Italia, società di proprietà del gruppo di Treviso, ha ottenuto dallo Stato nel 2000 la concessione di una bella fetta di asfalto, viadotti e gallerie del Paese. Oltretutto società detenuta al 100% da Atlantia, azienda quotata in Piazza Affari e detenuta per il 30% da Edizione, holding della famiglia Benetton. Il grande difensore, appunto, della “corte Benetton” non poteva essere che lui, il loro fido Oliviero Toscani che con i suoi scatti dagli anni ’90 ha creato con grande maestria – di questo non c’è dubbio – la campagna comunicativa dell’Uni ted Colors sempre sull’onda buonista dell’integrazione tout court pro immigrati sempre e comunque. L’ultima trovata pubblicitaria è del giugno scorso: una zattera della Medusa con, in primo piano, i migranti colti nel momento in cui vengono salvati dalla ong Sos Méditerranée. Una “genialata” che ha provocato accese polemiche e di fatto un inevitabile ritorno di immagine – questa volta gratuito – al marchio. Pensiamo che i “diabolici” Toscani e Benetton non l’avessero messo in conto.
Il famoso fotografo – bersagliato da giorni sul web assieme ai Benetton – dice di essere dispiaciuto soprattutto per il destino e l’ingiustizia “e per tutte le bugie che la gente racconta” . Nonostante ciò va comunque detto che il suo apparente dispiacere sembra essere alimentato più per le accuse rivolte ai Benetton che per le vittime della tragedia di Genova. Prova ne è che a detta di Toscani gli attacchi ai Benetton sono stati ingiustificati, eccessi vi. E insiste ripetendo che i Benetton sono persone serissime. “Siamo un popolo di infelici e frustrati. Cos’è questa cattiveria, questo livore?” si chiede Oliviero Toscani che nel corso di una intervista si è schierato subito dalla parte dei suoi datori di lavoro per quanto riguarda le responsabilità del crollo del Ponte Morandi. “Non sono un tecnico, ma ho sempre sentito che era seguito con dei parametri molto più ampi della media europea”. Tuttavia questi parametri tanto eccezionali esaltati dal buon Toscani in realtà così eccezionali non lo sono stati visto come sono andate le cose.
Quel primo comunicato con cui Autostrade per l’ Italia, la società che fa capo all’ impero di Treviso e che è responsabile del viadotto crollato, ha commentato l’ecatombe di Genova è, per utilizzare un eufemismo, imbarazzante: “In relazione al crollo la società comunica che sulla struttura erano in corso lavori di consolidamento della soletta. I lavori erano sottoposti a costante attività di osservazione. Le cause saranno oggetto di approfondita analisi”. Intanto sarebbe interessante sapere come sono stati eseguiti questi lavori di consolidamento e quale sia stata l’attività di monitoraggio preso atto dei risultati prodotti. Ma a parte questi gravi interrogativi che ci si augura possano essere chiariti nelle sedi giudiziarie in quel comunicato vergognoso e glaciale non vi è stato neppure un timido cenno, una parola sulle vittime, sul dolore dei parenti e di una città intera in ginocchio per questa apocalisse. Non solo. La nota è stata incredibilmente pubblicata sul sito aziendale come fosse una delle tante informazioni sulla viabilità che vengono diramate quotidianamente. Una scelta dei vertici inspiegabile quanto vergognasa che difficilmente potrà essere dimenticata.
I Benetton hanno da tempo diversificato i loro investimenti e nel loro impero finanziario detengono partecipazioni in molte società che spaziano nei più diversi settori: dalle assicurazioni, alle banche, allo sport, alla ristorazione, ai media. Se si mettono insieme i profitti incassati da Atlantia relativi ai soli pedaggi autostradali, si vede che dal 2001 – anno successivo alla privatizzazione di Società Autostrade finita in mano alla cordata guidata dai Benetton – al 2017, l’azienda ha portato a casa 43,7 miliardi di euro. Tolti poi i costi del lavoro (7 miliardi), gli oneri finanziari (7,2 miliardi) e altri costi, oltre agli investimenti, i profitti veri e propri di questi 16 anni sono risultati pari a 2,1 miliardi, cioè 130 milioni di euro l’anno, in gran parte distribuiti agli azionisti sotto forma di dividendi. Ai Benetton, che ribadiamo di Atlantia hanno il 30%, sono andati, per quanto riguarda gli utili da pedaggi, circa 600 milioni. E proprio sui pedaggi va detto che sono sempre stati in costante aumento seppur gli investimenti previsti non siano stati fatti. Dati alla mano tra il 2008 e il 2016 le tariffe nelle tratte gestite da Autostrade per l’ Italia sono aumentate del 25%. Un aumento che sarebbe motivato a fronte di investimenti fatti ma che però Autostrade per l’ Italia non fa in maniera sufficiente. E a quel che sembra il tratto autostradale dove la società avrebbe investito meno sarebbe proprio quello ligure. Insomma, i costi dei pedaggi lievitano, sulla sicurezza stendiamo un velo pietoso mentre gli utili vanno alle stelle e finiscono per rendere sempre più ricchi gli azionisti che hanno in mano le concessioni che garantiscono rendite milionarie.
Intanto il governo minaccia di rescindere la concessione e, c’era da aspettarselo, la reazione di Atlantia è stata immediata, tagliente come un rasoio, altro che umana pietà per i morti e l’immenso dolore. La sensibilità è finita sotto i piedi nel momento stesso in cui si toccano gli interessi economici della potente famiglia trevigiana. Questa volta il comunicato della società ha una caduta grave di stile, sia nei modi che nei toni. Evidenzia senza tanti giri di parole che in caso di revoca le spetta il valore residuo del contratto. E tutto questo mentre un Paese intero piangeva la tremenda tragedia. E ironia della sorte il pedaggio di cui tutti chiedono la sospensione, viene sospeso sì , ma solo per le ambulanze. Non suona tutto questo come una macabra presa in giro?
Ora il caso Genova deve far riflettere. Cosa realmente sta succedendo in Italia? Come mai questi signorotti veneti incontrastati leader dell’abbigliamento multicolor e soprattutto iper-comunicativi grazie all’amico Toscani sembrano aver perso improvvisamente il dono della parola trincerandosi in un silenzio che sconfina nella più totale e squallida indifferenza?
E poi ci si chiede ancora come sia stato possibile che il 4 marzo scorso dalle urne sia scaturita una rivolta elettorale che ha visto il trionfo di quelle forze cosiddette populiste.
Da liberisti non si contesta certo ad un imprenditore di fare soldi ma quando l’avidità del denaro prevale sulla sicurezza che finisce con il fare i conti sulla pelle della gente emerge un quadro chiaro che ci fa capire esattamente le ragioni che hanno portato al potere le cosiddette forze populiste. Auguriamoci solo che questa volta si riesca a inchiodare alle loro responsabilità coloro che hanno provocato dolore e morte. Facciamogliela pagare sì, ma lasciamo perdere inutili demagogie.