Il 12 giugno sarà anche un ‘antipasto’ di quello che ci attende l’anno prossimo, quando ci saranno le elezioni politiche: politica del Gattopardo e la gente che non ne vuol più sapere
Giuseppe Conte, Enrico Letta e Matteo Salvini, a parole almeno, assicurano di non volere più replicare le esperienze politiche passate, che infine si riducono a tre formule: governo Lega-M5S, governo PD-M5S; governo con tutti salvo i Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni. A parte i ‘piccoli’ di insapore contorno, non resta che la Meloni con cui trattare. Dunque, qualcuno di loro tre, o anche due su tre, si prepara a fare alleanze sgovernative coi Fratelli d’Italia. Conte (che uscirà probabilmente con le ossa rotte alle prossime elezioni), Salvini (idem) o Letta (che ne uscirà decentemente)? Conte e Salvini, che dovranno fare i conti con gli ormai non pochi scontenti all’interno dei rispettivi movimenti, che margine di manovra avranno? Perchè c’è già chi giura che non si attende che il loro ‘cappotto‘ elettorale per rovesciarli e sostituire la loro leadership. A parte le questioni interne, se Letta uscirà meno malconcio rispetto agli altri due, e dovrà comunque garantire qualche spoglia ad alleati ‘minori’, siano Matteo Renzi o Carlo Calenda o Emma Bonino, riuscirà a domare le correnti interne, per ora in ‘sonno’, ma comunque vigili; e punterà a scalare palazzo Chigi, oppure ci si affiderà a un Mario Draghi nuovamente?
Caro lettore: eccoti servita la nuova puntata della politica di sempre, quella del Gattopardo, con acclusi ex leoni e sciacalletti in servizio permanente effettivo.
Fra sei giorni il voto: per i cinque referendum di cui si sa poco o nulla perchè i grandi mezzi di comunicazione (in primis la RAI, servizio pubblico) hanno scelto di non informare; una situazione di palese violazione del diritto minimo di conoscere che spinge il vice-presidente del Senato, il leghista Roberto Calderoli a intraprendere uno sciopero della fame, assieme alla tesoriera radicale Irene Testa, e ad altri militanti radicali, per chiedere una sia pur tardiva riparazione; il pericolo infatti è che non si raggiunga il quorum necessario per rendere validi i referendum. E’ la carta (sleale) che giocano, come anche in passato, i fautori dell’immobilismo, del nulla si deve cambiare, e tutto deve restare come sempre.
Il 12 giugno si vota anche per rinnovare le amministrazioni in 950 Comuni, tra cui Quattro importanti capoluoghi di regione: Genova, Palermo, Catanzaro e l’Aquila. Otto milioni e mezzo di potenziali elettori. Sarà interessante vedere quanti andranno effettivamente a votare: per le amministrative, e per i referendum; prevedibile, comunque, un ulteriore e massiccio scollamento tra classe politica ed elettorato.
Sarà anche un ‘antipasto‘ di quello che ci attende l’anno prossimo, quando ci saranno le elezioni politiche: partiti, o sedicenti tali, su tutto divisi, privi di progettualità, impegnati a cavalcare la polemica del giorno, cercando la ‘pancia‘ dell’elettore e non il suo cervello, sensibili solo a percentuali infinitesimali di sondaggi commissionati alla bisogna, per guadagnare un punticino nei sondaggi politici della settimana.
Il fallimento dei partiti è la grande questione del Paese: un sistema che non ha più corpi intermedi, privo di cerniere tra istituzioni e popolo, che non riesce a esprimere maggioranze stabili e leadership credibili (e infatti si affida a un Draghi e a un Sergio Mattarella, Presidente della Repubblica confermato in mancanza di alternative).
In questo quadro, a destra come a sinistra, i leader politici si rivelano per quello che sono: demagoghi in perenne campagna propagandistica senza ‘vision’, senza progetto. Obiettivo e scopo: la sopravvivenza, costi quello che costi.
Nel centrosinistra, il PD gioca la carta ‘istituzionale‘, garante e garanzia del Governo e teorico di un’intesa con il M5S, dove un Conte in affanno cerca di smarcarsi il più possibile da Draghi per tamponare in qualche modo la frana di consensi. Il caso più evidente: Parma. In quel cuore di Emilia un tempo rossa, dieci anni fa è cominciata l’ascesa di Beppe Grillo, con il primo sindaco grillino, quasi subito espulso, e ora passato agli ‘avversari’. A Parma, non è senza significato, il M5S nemmeno presenta una lista sua.
Centrodestra? Problemi e polemiche sono all’ordine del giorno. Silvio Berlusconi una ne fa (male), e nessuna ne pensa. La sua Forza Italia è un mocciolo che lentamente si spegne. Il centrodestra a guida salviniana è cosa a cui non crede neppure il più irriducibile leghista. Fratelli d’Italia, col suo 22 per cento di consensi, è il primo partito nelle intenzioni di voto degli italiani; e già questo dovrebbe far pensare. Salvini è come quel tale finito nelle sabbie mobile: più si agita, più affonda. Meloni al momento ha gioco facile a imporre al centrodestra le sue regole di gioco. Per le regionali siciliane del prossimo autunno non ammette deroghe alla candidatura di Nello Musumeci, il governatore uscente. In attesa di giocare la vera e decisiva partita, le politiche del 2023. Chissà se sarà lei la prima donna a varcare, da Presidente del Consiglio, il portone di palazzo Chigi…
Questa la situazione, questi i fatti.
Valter Vecellio – L’Indro