Basta soldi dallo Stato.
Una gestione sciagurata che perde 2 milioni al giorno merita di chiudere
Adesso basta, abbiamo già dato. Negli ultimi decenni Alitalia ha inanellato una serie di fallimenti che fanno rabbrividire.
Basti pensare che questa compagnia brucia due milioni al dì e gli sprechi sono in aumento.
Evidentemente qualcuno da quelle parti non sa fare il proprio mestiere e con la mentalità assistenzialistica tipica dei carrozzoni di Stato spera come sempre che prima o poi arrivi “Pantalone” a cacciare i soldi.
Ma quello che fa infuriare ancor di più è che negli anni si sono succeduti una raffica di amministratori incravattati e abbronzati con facce di chi doveva spaccare il mondo quando invece la loro conduzione non ha fatto altro che aumentare la voragine delle perdite inesorabilmente. E ai danni si è aggiunta la beffa: nonostante i buchi gestionali di “bottega” questi “capitani coraggiosi”, così erano stati addirittura definiti, invece di essere cacciati sono stati liquidati con buonuscite da capogiro. Insomma, le regole sembrano state capovolte, come dire “peggio gestisci e meglio sarai ricompensato”, tanto a pagare alla fine è sempre Pantalone, vale a dire i cittadini.
Dati alla mano si evidenzia che dal 1974 a oggi i contribuenti hanno forzatamente ricoperto le stratosferiche perdite di Alitalia sborsando circa 8 miliardi di euro. Non è forse il momento di dire basta? E in questa montagna di denaro gettato dalla finestra vi sono anche stipendi inimmaginabile e le folli liquidazioni incassate dei cosiddetti fenomeni in gestioni aziendali che dopo avere concluso i propri mandati con bilanci ovviamente in rosso – come del resto da tradizione – se ne sono andati con indennità milionarie. Ora, dopo l’ennesimo fallimento, liberi tutti preso atto che i lavoratori hanno bocciato – era prevedibile – l’unica soluzione percorribile: un piano di tagli che imponeva una decisa riduzione degli esuberi da 2000 unità a 980.
Mentre nelle scorse ore il cda ha avviato l’iter di commissariamento il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni è stato chiaro ribadendo che non vi sono le condizioni per una nazionalizzazione di Alitalia. Dal canto suo il ministro Graziano Del Rio altrettanto lapidario ha detto che la compagnia sarà venduta al miglio offerente. Visto come si stanno mettendo le cose immaginiamo la valanga di accuse che saranno indirizzate ai vari vertici che si sono succeduti negli anni e ai vari politici che hanno puntualmente sponsorizzato i manager di turno affinché fossero piazzati in posizioni di prestigio. Come prestigiosi sono stati gli sprechi che hanno raggiunto livelli miliardari attraverso le consuete ricapitalizzazioni senza fondo decise dalla casta di palazzo e che sono finite con il gravare sulle spalle dei cittadini. Ovviamente.
In questo enorme disastro di Stato le organizzazioni sindacali non possono certo uscirne senza macchia.
Tuttavia è inspiegabile quanto inquietante pensare alle strategie decise in tutto questo tempo dalla componente manageriale che non si spiegano, errori clamorosi uno dietro l’altro dalle conseguenze oltretutto prevedibili. Come è possibile che amministratori di tale peso – almeno così ci erano stati presentati – non abbiano neppure immaginato fallimenti di tale portata? Se queste sono le persone dalle grandi capacità in una condizione di normalità quotidiana l’uomo della strada non affiderebbe a costoro neppure la conduzione di una edicola. Questo è certo.
Alitalia è stata incapace di riprendere quota: organici sovradimensionati, assunzioni spesso “allegre”, destinazioni che sarebbero state da rivedere completamente per il solo motivo che non rendevano come avrebbero dovuto. Esperti di settore sostengono che sarebbe stata necessaria una riconversione delle destinazioni geografiche puntando sulle rotte intercontinentali, che avrebbero garantito maggiore reddito, riducendo contestualmente l’impegno dell’azienda sugli spostamenti europei decisamente meno remunerativi. Vero? Forse. Ma ormai è tardi. Ci penseranno i nuovi proprietari… se mai ce ne saranno. Così in questo abisso di errori imperdonabili, spreco di denaro pubblico e i veti dei sindacati nella varie trattative arriva nel 2008 uno spiraglio che poteva riportare in quota l’intera flotta: la vendita ad Air France.
Ma tutto salta perché Berlusconi si mette di traverso con la scusa che si trattava della compagnia di bandiera e per questo andava difesa ad ogni costo. Era una questione di prestigio. E allora il cavaliere decide di affidare le sorti di Alitalia ai Colaninno, i Riva, i Benetton. Ma è un altro disastro, altro che decollo della compagnia. L’ unica cosa che prende il volo è un’altra volta è lo sperpero di soldi mentre la concorrenza fa incetta di ulteriori fette di mercato con tariffe sempre più vantaggiose per i viaggiatori.
Alitalia è purtroppo il solito carrozzone ormai impantanato che era arrivato a bruciare anche 2mila euro al minuto mentre i privilegi accumulati in questi anni dal personale raramente sono stati sfiorati.
Ma ora i nodi sono arrivati al pettine e saranno dolori. Come è giusto che sia.