Iniziamo subito dicendo che Atlantia non ha presentato alcuna offerta per Alitalia perché a detta della società non ci sono le condizioni per creare un consorzio che si faccia carico della compagnia aerea. Dall’altra parte abbiamo la grana dell’Ilva sulla quale il governo mostra tutta l’incapacità nel trovare adeguata soluzione diversa dalla chiusura dell’acciaieria.
Ora al di là di qualsiasi analisi diciamo che in entrambi i casi l’esecutivo brancola nel buio da troppo tempo. E questo per un semplice motivo: da anni l’Italia non ha una politica industriale efficace e credibile mentre la magistratura fa il bello e il cattivo tempo, incurante delle conseguenze sociali ed economiche dovute al suo agire.
Concentriamoci per un istante sulla questione del polo siderurgico di Taranto. Ieri in tarda serata dopo circa quattro ore si è concluso l’incontro con i Mittal. Gli stessi, nel corso di un lungo confronto, si sono resi disponibili ad avviare immediatamente una interlocuzione volta a definire un percorso condiviso a Taranto. Dunque uno spiraglio si intravede ma è presto per concludere che il problema sia definitivamente risolto… se poi mai si risolverà.
In sostanza l’obiettivo è arrivare a un nuovo piano industriale che assicuri il massimo impegno nel risanamento ambientale. E’ stata valutata anche la possibilità di un coinvolgimento pubblico nel nuovo progetto. Funzionerà o sarà l’ennesima toppa?
Sta di fatto che la situazione dell’Ilva appare sempre più grottesca e per altro versi imbarazzante. Ricordiamo che l’altro giorno la Guardia di finanza ha perquisito gli uffici Mittal a Milano e a Taranto. Le ipotesi di reato sono pesantissime: aggiotaggio, appropriazione indebita, false comunicazioni al mercato.
Ora di tali reati resta tutto da dimostrare nelle sedi opportune ma se tutto questo fosse vero amministratori e azionisti di Mittal rischierebbero l’arresto. Bene a questo punto sorgono due interrogativi: una tale azione giudiziaria sul gruppo franco-indiano che portata potrebbe avere, che conseguenze potremmo immaginare per un colosso leader mondiale dell’acciaio che fattura 80 miliardi all’anno? E posto oltretutto che l’azione delle procure sia lecita alla fine quale immagine daremmo noi, sistema Italia, ai futuri investitori?
Staremo a vedere che ne uscirà. Comunque sia dopo il vertice fiume di ieri sera l’esecutivo avrebbe pensato un intervento della Cassa depositi e prestiti (Cdp) la quale, con il tandem estero, creerebbe una sinergia per rilanciare l’Ilva.
Ma qui sorge un problema non irrilevante: la Cassa, per statuto, non può investire in aziende in perdita e le fondazioni bancarie sono nettamente contrarie a un intervento. A tale riguardo intervenuto l’ex ministro dell’Economia Giovanni Tria. Questi ha evidenziato che investire in aziende come l’Ilva non è tra i compiti della Cassa. La stessa non può essere utilizzata per interventi di cui il risultato non è certo. Insomma, occorre cautela. In ballo c’è il risparmio postale degli italiani.
E poiché il problema investimento della Cassa focalizzato sopra è ben chiaro i nostri uomini alla guida del governo cosa avrebbero pensato? L’deona delle ideone, la solita furbata di palazzo: un prestito ponte di alcune centinaia di milioni, si parla di 400, e contestualmente si va alla caccia dell’immancabile supercommissario – solitamente quando viene individuato dopo poco le aziende entrate nella fase di commissariamento finiscono puntualmente a gambe per aria – che gestisca una fase di transizione in attesa di un nuovo acquirente.
Ma anche in questo caso sorge un altro interrogativo: ma che rilevanza può avere un tale prestito se l’Ilva perde 2 milioni al giorno? A conti fatti significherebbe che il prestito – sarebbe più corretto definirlo soldi elargiti a fondo perduto visto che non si rivedranno più… basti ricordare come esperienza quella di Alitalia – terrebbe in vita l’acciaieria per poco più di 6 mesi. Un lasso di tempo durante il quale si potrebbero magari fare avanti potenziali investitori. Ma quali? Se siamo stati così “abili, astuti, lungimiranti” riuscendo a far fuggire la potente multinazionale dell’acciaio chi potrebbe essere il matto intenzionato a farsi avanti?
Non solo. Sulla faccenda pesa anche il cosiddetto scudo fiscale, un nodo che divide i grillozzi e di non facile soluzione all’interno del movimento. Comunque vada mettiamoci bene in testa che al di là di Mittal se lo scudo non sarà reintrodotto nessuno si prenderà l’Ilva. E questo è giusto e comprensibile.
Vedremo come finirà, la preoccupazione è tanta viste anche le gravi ripercussioni che potrebbero esserci sul fronte occupazionale. Tra dipendenti e indotto l’Ilva fa lavorare circa ventimila persone. Certo è che temi di questo genere stimolano inevitabilmente una amara riflessione: sarà o non sarà un caso ma negli ultimi anni ogni volta che una grande opera come ad esempio il Mose o la Tav o grandi compagnie come Alitalia e Ilva sono entrate nel mirino della magistratura, dopo aver subito gli attacchi dell’ideologismo del pensiero della decrescita felice di una certa sinistra che va a braccetto con i seguaci del guru Grillo, è finita male. Purtroppo.