Di fronte al palese fallimento di un sistema elettorale maggioritario che stenta a morire, in troppi parlano di centro e molti tra essi usano, spesso a sproposito, il termine liberale. In vista della scadenza del mandato del Capo dello Stato emergono grandi difficoltà a raggiungere larghe intese, anche a partire dall’attuale maggioranza di Governo, poiché le vecchie coalizioni cercano di resistere ad una usura ormai fin troppo visibile. La sinistra, oltre ad essere inquinata dalla anomala alleanza con un M5S in mutazione genetica, soffre la vocazione egemonica del PD, lacerato all’interno, ma che tende a fare il federatore. La destra, a sua volta è dominata da partiti sovranisti, come FdI e Lega, quest’ultima fortemente divisa al proprio interno, fatica a tenere agganciata al carro FI, sfruttando l’ambizione del suo fondatore di ottenerne i consensi per la sua aspirazione legittima, ma molto improbabile, di essere eletto al Quirinale.
Prove di centro di segno diverso vedono impegnato il vecchio mondo della parte moderata democristiana, che tuttavia mantiene stretti legami con Berlusconi, mentre la componente cattocomunista è predominante nel PD. L’area laica, che si definisce liberale e talvolta anche qualcos’altro, anziché porsi come problema primario quello di corrispondere ad una richiesta di un mercato elettorale, che potrebbe essere più che consistente, litiga per la leadeship tra Renzi e Calenda ed è divisa in frantumi, costituiti dai partiti dei due pretendenti alla guida, nonché Più Europa, PRI e PLI, oltre alle velleitarie ambizioni di personaggi come Toti e Brugnaro. Probabilmente, alla fine, l’unico che risulterà in grado di federare tali componenti in aperto conflitto, come in passato, anche se solo a propri fini personali, sarà lo stesso capo di Forza Italia, ma dopo la elezione del nuovo Presidente della Repubblica.
Quasi nessuno purtroppo si rende conto invece dell’urgenza di un riposizionamento dell’area liberaldemocratica e riformatrice per scongiurare uno scontro tra una sinistra sempre più sinistra ed una destra fortemente condizionata da forze estreme, a volte a vocazione autoritaria. Tutti vivono come in una sorta di sospensione della politica, auspicando una conclusione della legislatura alla scadenza naturale, dopo la scelta del nuovo inquilino del Quirinale. Non si rendono conto che, qualunque possa essere il risultato, dopo, sarà troppo tardi per posizionarsi rispetto ad elezioni politiche, che con grandissima probabilità si svolgeranno nella tarda primavera del 2022. Infatti, se il nuovo Capo dello Stato dovesse essere Draghi, probabilmente nessun altro potrebbe tenere unita una maggioranza anomala come l’attuale, in vista di un posizionamento dei vari soggetti politici in vista del rinnovo del Parlamento, che comunque sarebbe prossimo alla scadenza. Se invece quest’ultimo, forse preoccupato di poter soccombere sotto l’azione proditoria dei franchi tiratori, decidesse di rinunciare a candidarsi, finirebbe con l’essere eletto un Presidente con una maggioranza risicata e probabilmente poco omogenea, che impedirebbe la prosecuzione dell’azione del Governo e farebbe precipitare il Paese verso elezioni anticipate con l’attuale legge elettorale maggioritaria. Come se tutto questo non esistesse, il centro temporeggia, dimostrando una vocazione ancillare.
Stefano de Luca – Rivoluzione Liberale