Giuseppi non ci pensa proprio a tornare nell’anonimato del suo lavoro di docente universitario. Vuole rimanere lì, dove si esercita il potere. E a conti fatti il Pd un posto glielo ha già garantito, dopo che “l’avvocato del popolo” ha più volte approfittato dell’occasione per lasciarsi andare in dichiarazioni da autentico leccaculista smarcandosi in maniera netta dai grillozzi e avvicinandosi sempre più alla sinistra. Un modo servile e adulatorio per ottenere favori dai dem. E le ruffianate hanno pagato. Del resto stiamo parlando del capo dei voltagabbana di questo raffazzonato governo costituito da saltafossi e inetti quali sono in particolare i grilluti.
Come dimenticare il “Giuseppi uno” che combinava con la Lega e poi, con la stessa facilità che ci si cambia una camicia, il camaleonte ha cambiato casacca dando vita a un esecutivo nato da vergognose trame di palazzo riportando in vita un Pd in disgrazia. Non parliamone poi dei grillazzi – superlativa ed emblematica quella faccia di tolla di Giggino, l’incapace per eccellenza piazzato alla Farnesina senza sapere una parola di inglese – che tradendo il proprio elettorato si sono messi insieme al nemico di sempre: il Pd i cui esponenti sono stati per anni insultati dal loro guru Grillo che chiamava Renzi “Pitti bimbo”.
Conte incollato alla poltrona
“Dopo questo mio intenso coinvolgimento, non vedo un futuro senza politica”. Chiaro il messaggio dunque lanciato nelle ore scorse da Conte nel corso di alcune battute rilasciate ai cronisti in cui parlava del suo futuro. “Ci sono mille modi di fare politica, non mi vedo novello Cincinnato che mi ritraggo e mi disinteresso della politica. Ma la politica non è solo fondare un partito o fare il leader di partito o fare competizioni elettorali. Ci sono mille modi per partecipare alla vita politica e dare un contributo al proprio paese”. Che parole nobili, da grande uomo, quelle di Giuseppi che evidentemente si crede già un vero statista che passerà alla storia.
Ma c’è di più. L’esaltazione non conosce limite e il “premier per caso” addirittura si autoincensa: “Io penso al presente e non al mio futuro. Iniziare a ragionare sul proprio futuro quando si ha un incarico così rilevante rischia di creare una falsa e distorta prospettiva. Per mia igiene mentale rimango concentrato sul presente su come posso riformare il paese e renderlo migliore senza pensare al mio futuro”. E su cosa accadrà dopo afferma che “qualsiasi contributo mi troverò a dare sarà comunque in linea con la mia inclinazione che sabato ho esplicitato: sono un costruttore, non sono divisivo”.
Nella tradizionale conferenza stampa di fine anno con i giornalisti Giuseppi ci ha riservato un’altra straordinaria performance. Curiosa – ma certamente studiata e a lungo meditata – la metafora sportiva che ha utilizzato per definire sé stesso e l’obiettivo che si è prefissato: il maratoneta.
Così oltre “all’avvocato del popolo” abbiamo adesso il “Giuseppi maratoneta” che prosegue la sua difficile marcia tra sostegni che mancano al suo governo e congiure incrociate per farlo cadere anticipatamente. In sostanza questa è l’immagine data dallo stesso presidente del Consiglio che tuttavia gli è stata utile per dare l’idea di uno che si prepara a fare una lunga corsa dove, guarda un po’ dove si va a parare, non conta tanto la distanza ma la durata della marcia. E anche in questo caso le ragioni sono chiare: il traguardo è arrivare in qualsiasi maniera – anche zoppicando l’importante è tirare a campare – al 2023, scadenza della legislatura, o quantomeno al 2022, termine del mandato del presidente Sergio Mattarella. Una partita, quella del Quirinale, che la sinistra non può permettersi di perdere lasciando campo libero alla destra. Dunque la strategia dei giallosinistri è sempre la stessa: allontanare in qualsiasi maniera lo spettro delle elezioni anticipate che decreterebbero la loro fine… quello che vorrebbero la maggioranza degli italiani.
E in questo deserto in cui è sprofondata la politica italiana primeggiano solamente le nullità e le loro incapacità. In questo scenario sconsolante emerge dunque lui, il maratoneta solitario, che non solo scalda i muscoli ma ostenta addirittura il piglio dell’uomo forte, decisionista pronto a dare una spallata a chi osa mettersi di traverso. Infatti durante l’incontro con i giornalisti ha annunciato il cambio all’Istruzione: non uno ma due ministri per sostituire il dimissionario Lorenzo Fioramonti – altro fenomeno di incapacità stellata che dal nulla si è ritrovato in Parlamento e poi catapultato addirittura al ministero – entrambi molto vicini a Luigi Di Maio. Ma toh, che novità.
Diciamo che la decisione di suddividere le deleghe ministeriali appare di fatto una forzatura che con ogni probabilità non sarebbe stata praticabile se Conte non si sentisse ben ancorato alla sua premiership. Non solo. Ancora più significativa è la mossa ulteriore che dimostra la sfrontatezza e la presunzione di Conte il cui potere gli ha dato alla testa: ha nominato un rettore con qualche guaio giudiziario alle spalle e un sottosegretario che ha partecipato e vinto il concorso per dirigente scolastico da parlamentare componente della Commissione cultura della Camera. Pensiamo che tali dettagli sarebbero passati sotto silenzio con una maggioranza di colore diverso?
Insomma, il “premier per caso” vuole dimostrare di avere la situazione in pugno e parla come se fosse un vero leader, un trascinatore di consensi scordando che dietro sè non ha in realtà nessun seguito. Sempre nell’incontro con i mass media smentisce la notizia che lo avrebbe visto impegnato nella fondazione di un suo partito, tantomeno alla formazione di gruppi parlamentari che farebbero riferimento a lui. Niente di tutto questo, assicura il maratoneta sostenendo che tale strategia potrebbe essere studiata qualora il governo dovesse trovarsi in una condizione di grave difficoltà. Ma così non è, dice lui. In sostanza il maratoneta intende tranquillizzare gli italiani che tutto sta procedendo in maniera soddisfacente, all’orizzonte regna il sereno e la sua autorevolezza è fuori discussione. Ma Giuseppi maratoneta crede davvero a quello che dice o mente sapendo di mentire? Le quotidiane tensioni interne alla sua raffazzonata maggioranza sono semplici invenzioni giornalistiche?
Intanto nelle prossime settimane ci sarà la solita verifica per un rilancio dell’attività di governo. E questo vuol dire tutto e niente. Tantomeno è chiaro in che modo Conte gestirà gli scontri interni tra pentagrilli e sinistri. Non parliamone poi di Italia Viva da cui ogni giorno non mancano bordate contro i sempre più scomodi alleati di maggiorana. E’ questa la storia dell’orizzonte privo di nubi che vorrebbe farci credere il maratoneta?
L’ultimo attacco dei renziani è la minaccia di votare assieme a Forza Italia per bloccare la riforma della prescrizione. Il fuoco incrociato dei renziani non conosce sosta e rende sempre più duro il percorso del premier martoneta. E allora lui corre ai ripari rassicurando sempre la propria immagine di presidente tutto d’un pezzo che guarda al futuro… al suo, naturalmente, non certo a quello del paese.
Bisogna mettere in sicurezza l’Italia, ci racconta, sfoderando la parola d’ordine che è stabilità. La parola che piace tanto all’alta finanza, alle banche, ai mercati, ai burocrati dell’Ue. Senza dimenticare che la stabilità piace tanto al Quirinale che fa l’impossibile per agevolare il galleggiamento di questa armata Brancaleone di palazzo Chigi che finirebbe spazzata via in caso di elezioni anticipate. E questo Mattarella non lo vuole. E neppure il Papa. Meglio quindi l’immobilità, meglio essere ostaggio dei diktat di Bruxelles, meglio il peggio del peggio piuttosto che andare al voto che spianerebbe la strada alla destra.