Una funzione di controllo esercitata come vera e propria opposizione al governo. L’interpretazione dei giudici di Roma esclude qualsiasi possibilità di un elenco di Stati sicuri
L’ultima puntata della telenovela giudiziaria è costituita dalla recente ordinanza del Tribunale di Roma, contenente quel rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia europea che pare ormai un punto di arrivo condiviso della giurisprudenza, con il conseguente blocco dell’accordo Italia-Albania.
Ma, attenzione, questo è l’aspetto più evidente e più enfatizzato dal “campo largo” come di un investimento costoso e inefficace, ma, una volta che uno Stato sia dichiarato non sicuro, viene ad essere precluso il rimpatrio di un suo immigrato, sia stato sbarcato in Albania o direttamente in Italia.
Non è in questione, come spesso si cerca di far credere, la sovra-ordinazione del diritto comunitario sul diritto nazionale, come sancito dallo stesso art. 117, co. 1 Cost., che, peraltro, vale solo per le materie attribuite alla competenza della Ue; è in discussione l’interpretazione da dare alla direttiva n. 2013/3, anche alla luce di Corte di Giustizia 4 ottobre 2024.
I quattro quesiti
La parola, dunque, alla Corte di giustizia, per rispondere a quattro quesiti, puntualmente elencati a conclusione della motivazione dell’ordinanza, che tali non sono nell’orientamento condiviso dal Tribunale, che vi sottintende una risposta positiva a tutti, ampiamente argomentata con riferimento al diritto sia internazionale che comunitario, non superabile e non superata dall’intervento decreto-legge n. 158/2024. Vale qui la pena di riprendere questi quattro quesiti, così come formulati con riferimento alla Direttiva 2013/3:
1. “se… osti a che un legislatore nazionale, competente a consentire la formazione di elenchi di Paesi di origine sicuri ed a disciplinare i criteri da seguire e le fonti da utilizzare a tal fine, proceda anche a designare direttamente, con atto legislativo primario, uno Stato terzo come Paese di origine sicuro”;
2. “se… osti quanto meno a che il legislatore designi uno Stato terzo come Paese di origine sicuro senza rendere accessibili e verificabili le fonti adoperate per giustificare tale designazione, così impedendo al richiedente asilo di contestarne… in generale il contenuto”;
3. “se… il giudice possa in ogni caso utilizzare informazioni sul Paese di provenienza, attingendole autonomamente dalle fonti” ammesse;
4. “se… osti a che un Paese terzo sia definito di origine sicuro qualora vi siano, in tale Paese, categorie di persone per le quali esso non soddisfa le condizioni sostanziali di siffatta designazione”.
Competenza dei singoli Stati
Alla fine della lettura della corposa ordinanza che riporta alla lettera le fonti internazionali, comunitarie e nazionali, che offrono lo scenario sul quadro normativo in cui si colloca la direttiva relativa alla predisposizione di un elenco degli Stati sicuri, sorge spontanea una domanda. Se sull’indicazione di uno Stato sicuro, può metter bocca l’immigrato anche quando non ne faccia un caso personale e, soprattutto, se alla fine dei conti decide il giudice, pur attingendo alle stesse fonti informative previste per lo Stato che formula l’elenco, a che cosa mai servirebbe la formulazione di tale elenco pur richiesto dalla stessa direttiva in discussione?
Sembrerebbe chiaro che il legislatore comunitario abbia voluto mantenere questa competenza a capo dei singoli membri dell’Unione per una squisita ragione politica, cioè di permettere un’applicazione uniforme rispetto ad un fenomeno di massa, quale quello dell’immigrazione da Paesi terzi. Il che non sarebbe affatto possibile se il giudizio definitivo spettasse alla magistratura con il moltiplicarsi delle decisioni costituite sui casi singoli, fra l’altro con la conseguenza di escludere Stati terzi a forte immigrazione, sì da aprire le porte da una potenziale invasione di massa.
A questo punto può convenirsi sulla richiesta di un rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’Unione europea, mettendo, peraltro, la Corte stessa in una situazione di estrema difficoltà, a fronte della interpretazione della sua sentenza del 4 ottobre, causa C-406/22, dominante in giurisprudenza, per cui non potrebbero qualificarsi Stati sicuri quelli in cui tale caratteristica non fosse valida per l’intero territorio nazionale.
Condividere tale interpretazione significherebbe escludere qualsiasi possibilità di compilare un elenco di Stati sicuri, dato che è già difficile farlo con riferimento al cosiddetto mondo occidentale dove alcune categorie di persone risultano ancora pesantemente discriminate. Non parliamo, peraltro, di Stati africani o asiatici da dove viene la più forte immigrazione che già difettano sul piano della democrazia e non poco lasciano a desiderare relativamente ad una protezione uniforme ed effettiva.
D’altronde c’è già sulla corsia di partenza il nuovo regolamento a riguardo, destinato ad entrare in vigore nel 2026 che permetterebbe la collocazione negli elenchi degli Stati sicuri anche quegli Stati caratterizzati dalla presenza di eccezioni che di per sé non sarebbero sufficienti a farli escludere dagli elenchi in parola.
Deriva della magistratura
Dalla vicenda in questione emergono due caratteristiche o tendenze che riguardano e interessano l’intero mondo occidentale. Anzitutto, la deriva della magistratura che, nel contesto della tripartizione dei poteri legislativo, esecutivo e giurisdizionale, estende via via la sua competenza rivendicando una sovraordinata agli altri due in una funzione di contropotere di controllo che nessuna normativa nazionale e sovranazionale le riconosce.
Non serve citare a piè sospinto Montesquieu, travisandone completamente il pensiero, basta rifarsi alla nostra beata Costituzione, dove il controllo politico del governo deve essere esercitato dallo stesso Parlamento, senza alcuna delega di supplenza alla stessa magistratura.
Opposizione al governo
In secondo luogo, almeno con riguardo all’Italia, ma non solo, questa funzione di controllo viene esercitata in chiave di vera e propria opposizione al governo attualmente in carica con una connotazione radicale che cerca di ovviare alla debolezza congenita dell’opposizione di sinistra.
Vien da sorridere a chi è del mestiere, a fronte all’affermazione che la magistratura si limita solo e comunque ad interpretare la legge, dato che la parola “interpretare” va dall’ossequio allo stravolgimento del testo di legge, come ampiamento provato nel corso della c.d. terza repubblica.
D’altronde è la stessa magistratura che lo conferma, avendo dato vita ad una apposita associazione sindacale di tutela che risulta di fatto sovrapposta al Consiglio Superiore previsto dalla Costituzione, che si articola su varie correnti divise non solo da diverse politiche del diritto, da conservative a radicali, ma da differenti politiche istituzionali estese ben oltre la difesa della loro indipendenza e autonomia, fino a sindacare da sinistra a tutto campo le iniziative e attività dell’attuale governo di centrodestra.
Franco Carinci – Atlantico