Raisi noto come il “macellaio di Teheran”. Ora una doppia successione, la più importante per il post-Khamenei: tra i possibili successori il figlio Mojtaba

Il presidente iraniano Ebrahim Raisi è morto in un incidente di elicottero avvenuto ieri pomeriggio al confine tra Iran e Azerbaigian. Raisi era di ritorno da un incontro con il capo di Stato azero Ilham Aliyev per l’inaugurazione di una diga, quando il mezzo che lo trasportava insieme al ministro degli esteri Hossein Amir-Abdollahian e a diversi altri funzionari si è schiantato al suolo, ufficialmente a causa del maltempo. L’incendio che ne è derivato non ha lasciato sopravvissuti tra i passeggeri.

I fatti sono stati riportati dai media statali iraniani con il contagocce, nel corso dell’intera giornata di domenica, fino alla conferma definitiva dei decessi arrivata stamattina. Nonostante il potere reale in Iran sia detenuto dal Leader Supremo, Ali Khamenei, dai Guardiani della Rivoluzione e dai pasdarán, la ripercussione a livello interno e internazionale di quanto accaduto è innegabile, dal momento che la presidenza di Raisi è stata segnata da significative sfide politiche ed economiche e soprattutto dalle tensioni in corso in Medio Oriente dopo il massacro di israeliani del 7 ottobre scorso, in cui Teheran ha giocato un ruolo essenziale.

Cordoglio sospetto

Al di là delle convenzioni diplomatiche, che impongono reazioni di circostanza alla morte di un capo di Stato straniero, stridono certe manifestazioni di cordoglio sospettosamente effusive da parte di alcuni governi occidentali. Su tutte quella del presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, che ha espresso “sincere condoglianze e un pensiero alle famiglie dei deceduti” e – per restare a noi – del viceministro degli esteri Edmondo Cirielli, che ha definito l’incidente “davvero una brutta notizia”, manifestando “vicinanza e solidarietà alla Repubblica Islamica dell’Iran e al suo popolo”.

Un popolo che, al contrario, ha esternato ben altri sentimenti mano a mano che si confermavano le notizie sulla sorte di Raisi e del suo entourage: fuochi artificiali hanno illuminato il cielo di diverse località iraniane, compresa la città natale dell’ex presidente. Il perché è facilmente comprensibile, considerato il suo ruolo all’interno dell’apparato repressivo della Repubblica Islamica.

Il macellaio di Teheran

Conosciuto popolarmente come “il macellaio di Teheran”, la sua storia è segnata da gravi accuse di violazioni dei diritti umani, per le quali era stato anche recentemente sanzionato dagli Stati Uniti. L’episodio più famigerato risale alle esecuzioni di massa di prigionieri politici del 1988, quando migliaia di dissidenti furono giustiziati sommariamente al termine di processi-farsa da un “Comitato della Morte” di cui Raisi era membro.

Queste esecuzioni, considerate crimini contro l’umanità da molte organizzazioni internazionali, sono invece rigettate dal governo iraniano, che non ha mai riconosciuto ufficialmente i massacri né rivelato l’ubicazione dei corpi delle vittime. Raisi è stato anche il principale responsabile della persecuzione di minoranze religiose ed etniche, che hanno portato all’eliminazione fisica di esponenti di gruppi non persiani.

In qualità di capo della magistratura, Raisi ha gestito un sistema di abusi reiterati, tra cui l’uso della tortura per estorcere confessioni, il trattamento inumano dei prigionieri politici e la dura repressione delle proteste pacifiche. È sotto la sua presidenza, inaugurata nel 2021, che l’ulteriore irrigidimento dei costumi e la stretta imposizione della legge coranica a livello sociale hanno provocato la ribellione aperta di un ampio settore della società iraniana, a partire dall’assassinio della giovane Mahsa Amini, arrestata e brutalmente seviziata dalle forze di sicurezza del regime per non aver indossato il velo.

Nonostante queste accuse, o più probabilmente proprio in virtù delle stesse, Raisi è stato eletto presidente tre anni fa al termine del solito processo pseudo-elettorale caratterizzato da assenza di trasparenza ed equità, con candidati pre-selezionati dal Consiglio dei Guardiani della Rivoluzione, il politburo iraniano. La sua ascesa al potere, all’ombra dell’ayatollah Khamenei di cui è sempre stato un fedelissimo, è l’emblema dell’impunità sistemica e della repressione continuata all’interno del sistema politico khomeinista.

Vuoto di potere

In qualità di capo dello Stato e figura di primo piano della fazione più conservatrice, Raisi era considerato un potenziale successore del Leader Supremo, Ali Khamenei. La sua morte lascia un vuoto di potere in un momento cruciale per il regime iraniano, le cui istituzioni, con il loro intricato equilibrio di potere tra guida spirituale, presidente e altri organi influenti come le Guardie Rivoluzionarie (emanazione delle forze armate) e l’Assemblea degli Esperti (che nomina il Leader Supremo), dovranno ora affrontare una transizione imprevista in uno scenario internazionale a dir poco incerto.

Possibili successori

Tra le figure chiave che potrebbero emergere come pretendenti alla carica presidenziale figurano attuali ed ex funzionari giudiziari, membri di alto rango dei pasdarán e influenti esponenti religiosi dell’Assemblea degli Esperti. Ma le conseguenze della morte di Raisi provocheranno inevitabilmente un’intensificazione delle manovre da parte delle diverse fazioni che si contendono l’influenza.

La stabilità del regime di Khamenei potrebbe essere messa ulteriormente alla prova, soprattutto in considerazione delle tensioni geopolitiche e del dissenso interno che l’Iran deve affrontare. In gioco c’è non tanto la presidenza della Repubblica Islamica (da eleggere nei prossimi 50 giorni, secondo la costituzione iraniana) quanto il post-Khamenei, e ogni decisione sulle candidature dovrà essere interpretata in questa prospettiva di medio termine.

Tra i possibili protagonisti di questa successione combinata, da segnalare:

Mojtaba Khamenei: figlio del Leader Supremo Ali Khamenei, religioso con una notevole influenza all’interno delle Guardie Rivoluzionarie e dell’establishment conservatore. Visto più come successore del padre che come possibile presidente, la sua intronizzazione come Leader Supremo sancirebbe una sorta di monarchia ereditaria islamista al vertice dello Stato.

Mohammad Bagher Ghalibaf: attuale presidente del parlamento iraniano, Ghalibaf ha un background militare e ha ricoperto vari incarichi significativi tra cui sindaco di Teheran e capo della polizia. La sua influenza politica e le sue posizioni tradizionaliste lo allineano con gli interessi dell’establishment all’auto-conservazione.

Ali Larijani: politico esperto ed ex presidente del Parlamento, attualmente in posizione più defilata, la sua esperienza in vari ruoli governativi, incluso quello di segretario del Consiglio Supremo di sicurezza nazionale, lo rende un potenziale pretendente, ma solo in chiave di successione a Raisi. La leadership religiosa si gioca su altri tavoli.

Hossein Dehghan: ex ministro della difesa e consigliere del Leader Supremo per gli affari militari, Dehghan ha un forte seguito all’interno dell’organizzazione delle Guardie Rivoluzionarie. Lo scontro con Israele aumenta il peso di questa fazione dell’esercito.

Eshaq Jahangiri: primo vicepresidente sotto Hassan Rouhani, Jahangiri è associato al campo cosiddetto “riformista” (termine da leggere sempre nel contesto di un regime fondamentalista) e potrebbe attrarre i settori meno radicalizzati dell’establishment. Vista la stretta iper-autoritaria degli ultimi anni, le sue chances sono estremamente ridotte.

Enzo Reale – Atlantico