Lo spin della sinistra dopo la Sardegna smontato in sole due settimane, ma sbaglierebbe il centrodestra ad adagiarsi: successo alle europee tutto da costruire
Se si vuole proprio ricavare un’indicazione nazionale dalle elezioni regionali che si sono tenute domenica in Abruzzo, non si può negare una linea di continuità con le medesime elezioni di due settimane fa in Sardegna. Ma come, direte voi, in Sardegna ha vinto la candidata di sinistra e in Abruzzo il presidente uscente del centrodestra… quale continuità?
Continuità Sardegna-Abruzzo
Può apparire paradossale, ma dalle urne abruzzesi esce la stessa indicazione che abbiamo visto uscire due settimane fa da quelle sarde. A fronte della vittoria di Todde e della sconfitta di Truzzu per meno di un voto a sezione (quindi tutt’altro che insindacabile), liste di centrosinistra e 5 Stelle hanno raccolto il 42,6 per cento dei voti contro il 49 delle politiche del 2022, mentre al contrario il centrodestra, che alle politiche in Sardegna si era fermato al 40 per cento, alle regionali è arrivato al 48,8 per cento. Rapporti di forza quindi sostanzialmente invertiti, nonostante il “Campo largo”. Pd e grillini meglio divisi che uniti, si direbbe.
In Abruzzo il fenomeno si è ripetuto. Alle politiche 2022 il centrodestra aveva staccato di appena un punto percentuale Pd, Sinistra e Verdi, 5 Stelle e Terzo Polo, mentre domenica i punti di distacco sono diventati 9 tra le rispettive liste (e 7 tra i candidati alla presidenza). La differenza tra le due regioni è stata il candidato: sbagliato Truzzu, indovinato Marsilio, il cui operato evidentemente non è dispiaciuto ai cittadini abruzzesi.
Verso le europee
Dunque, se proprio bisogna ricavarne un’indicazione su base nazionale, l’elettorato sembra ancora in luna di miele con il governo Meloni e questo è di buon auspicio in vista delle elezioni europee di giugno. Sbaglierebbe però il centrodestra ad adagiarsi sugli allori, perché le europee possono ancora dare ulteriore slancio alla maggioranza di governo, oppure segnare la fine del “momentum” meloniano.
Sebbene Giorgia Meloni sembri entrata in modalità “campagna”, gli elettori aspettano ancora risposte su economia, sicurezza e immigrazione. E notiamo la compagine governativa indugiare in una eccessiva timidezza anziché indicare una rottura con le politiche della Commissione Von der Leyen, fallimentare se pensiamo ai frutti avvelenati del Green Deal: deindustrializzazione galoppante, inflazione e dipendenza dalla Cina. Un cambio di rotta che andrebbe presentato agli elettori come vera e propria emergenza.
“Campo largo” perdente
Sgonfiata la narrazione della sinistra, che già si preparava a cantare vittoria anche per una sconfitta di misura in Abruzzo. Le roboanti dichiarazioni della vigilia si sono trasformate in imbarazzati (e imbarazzanti) understatement. Lo spin della sinistra e della stampa “amica” dopo la vittoria di Todde – “gli italiani già stanchi della Meloni”, “pronti alla spallata” etc – si è smontato pateticamente dopo sole due settimane. Se “il vento è cambiato”, è cambiato gonfiando ancor di più le vele del centrodestra.
Nel complesso delle due elezioni, la formula del “Campo largo” è uscita decisamente perdente. Certo, bisogna comunque tenere conto dei fattori locali che hanno inciso. I candidati alla presidenza, come detto. I partiti di centrodestra, inoltre, in Abruzzo hanno avuto il maggior tasso di preferenze espresse per i candidati al Consiglio regionale, mentre come al solito in questo tipo di elezione il Movimento 5 Stelle ha sottoperformato.
Quindi è ragionevole concludere che Pd e 5 Stelle insieme risultino sì più competitivi che separati alle politiche, ma al momento non si può proprio parlare di inversione di tendenza o “vento cambiato”. Il “Campo largo” non è quella formula magica che volevano farci credere, ma più probabilmente, a seconda dei punti di vista, una dolce illusione o la patetica riedizione della “gioiosa macchina da guerra”.
Federico Punzi – Atlantico