Gentiloni non conta nulla, è solo l’ombra del “burattinaio” fiorentino
Riavvicinare la politica attiva ai cittadini, promuovere la partecipazione e impegnarsi sul fronte del diritto alla conoscenza, come diceva sempre Marco Pannella. Bene, il Governo Gentiloni, se ce ne fosse stato ancora di bisogno, è solo l’ultimo spettacolare esempio di imbarazzante trasformismo che non fa altro che produrre l’effetto contrario: allontanare ancora di più la gente dall’attività politico-amministrativa con una ulteriore e inevitabile perdita di fiducia nei confronti di chi ricopre ruoli strategici.
La democrazia ancora una volta (l’ultima è stata  in occasione del recente esito referendario), è stata calpestata, gli italiani umiliati dalla casta che non prova la minima vergogna per così tanta arroganza. Anzi, snobba, alza la cresta non facendo mistero delle sfrenate ambizioni di occupare tutto l’occupabile.
Siamo andati a votare in massa, il risultato è stato chiarissimo, eppure è come se non fosse successo nulla. Ci hanno preso per l’ennesima volta per i fondelli proprio da chi voleva rottamare una vecchia maniera di fare politica.
L’astuto Renzi (che aveva detto e ridetto che si sarebbe ritirato a vita privata se gli fosse andato male il referendum) ha fatto finta di andarsene, ha piazzato al proprio posto quel grigio e dimesso Gentiloni che mai gli potrebbe creare fastidi, ha scelto i ministri (riconfermandone la maggior parte) e poi ha passato la lista al presidente Mattarella che ha eseguito i diktat del superbo giovanotto. Operazione in perfetto stile prima repubblica. Neppure Andreotti avrebbe potuto fare di meglio.
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Del resto ci siamo accorti che le vere consultazioni per l’incarico al nuovo premier si sono svolte a palazzo Chigi mica al Quirinale che è stato letteralmente snobbato, scavalcato a piè pari da Renzi e dai suoi pretoriani.
Il comunista doc Poletti e la centrista Lorenzin rimangono al loro posto come è stata riconfermata l’inutile Madia nonostante sia stata trombata due volte: la sua riforma è stata stracciata dalla Corte e la vittoria del NO avrebbe dovuto metterla alla porta. E invece è ancora lì. La realtà supera poi la fantasia con il fenomeno  Alfano: il miracolato che, non si sa come, è riuscito a passare indenne quattro governi guidando da circa otto anni ministeri chiave nonostante sia a capo di un partito del nulla: se arriva al 4% è tanto. Ancora più sorprendente è che lascia il dicastero dell’interno per andare a quello degli esteri. Siamo alla corte dei miracoli perché la sua competenza in campo internazionale pare non sia particolarmente brillante. E poi con l’inglese come la mettiamo?
L’apoteosi dell’insolenza che schiaccia la dignità degli italiani  la si tocca inoltre  con la spocchiosa maestrina eternamente sorridente Maria Elena Boschi, altra creatura di Matteo che aveva giurato che se ne sarebbe andata se la sua riforma non fosse passata, che da ministro delle riforme si trasforma come d’incanto  a sottosegretario della Presidenza del Consiglio.
Altro che passo indietro, questa ne fa due in avanti, altro che storie.
Insomma, è come se il SI’ avesse vinto e i suoi paladini dovessero essere giustamente ricompensati con il bottino conqustato. Pazzesco. Una pagliacciata colossale. E’ questo il cambiamento che noi italiani ci meritiamo?
Avanti così e la corazzata Grillo asfalterà tutto e tutti.