Il messaggio di fine/inizio anno è una vera e propria agenda per la maggioranza di Governo; e fissa di fatto i compiti per l’opposizione, invitata a vigilare che questo percorso indicato non subisca deviazioni
Misurato nei toni, istituzionale come l’occasione e il tempo esige, preciso, sobrio, austero; curato nella forma che – non ci si stancherà mai di ripeterlo – in democrazia è l’essenza della sostanza, il messaggio di fine/inizio anno del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella chiaramente è rivolto al Paese e alla classe politica di governo e di opposizione. Richiama cittadini e ‘inquilini’ disseminati nelle varie istituzioni all’essenza del mazziniano messaggio: che non per un caso antepone ai ‘diritti’ i ‘doveri’.
Un intervento tipico del presidente: il cui eloquio può apparire monotono (al Quirinale non deve esserci un attore capace di fascinazione), ma nei suoi ‘messaggi’ chiede, anzi esige, attenzione e riflessione da parte di chi ascolta. Anche per questo motivo è buona regola dopo averlo ascoltato, andare nel sito del Quirinale e rileggersi il testo dell’intervento del Presidente. Mattarella, giova ricordarlo, non ha mosso un dito per essere riconfermato. A differenza di qualche altro suo predecessore avrebbe ben volentieri ceduto il testimone quirinalizio. Una classe politica allo sbando non ha saputo trovare una valida alternativa, ha anzi bruciato l’unica esistente, Mario Draghi. Richiamato in servizio a furor di Parlamento, Mattarella ha subito fatto capire che il presidente della Repubblica lo avrebbe fatto a tutto tondo, non si sarebbe limitato a essere un mero notaio di decisioni prese altrove. Considerato il “vuoto” di quei giorni (e ancora oggi non colmato), che abbia di fatto seguito le orme di un Cincinnato è una fortuna. Di fatto, pur muovendosi accortamente nei non troppo larghi binari che la Costituzione affida alla figura del presidente della Repubblica, di fatto ha dilatato il suo operare, che non è una semplice e discreta moral suasion.
Il messaggio di fine/inizio anno è una vera e propria agenda per la maggioranza di Governo; e fissa di fatto i compiti per l’opposizione, invitata a vigilare che questo percorso indicato non subisca deviazioni. Inequivocabile messaggio “interno”, accompagnato da un altrettanto chiara, esplicita “nota” di politica estera: puntuali i riferimenti ai due maggiori conflitti, Ucraina e Iran, con chiarissime e nette scelte di campo. Spiazzati con poche, rapide parole i sostenitori del “né-né”. Un paio di nei, a volerli trovare: nessun cenno ai tanti morti sul lavoro; e ai 94 suicidi ufficiali di detenuti e agenti di custodia. Un cenno su queste due tematiche forse andava fatto; sono temi che non si possono eludere.
Ora un 2023 che, al pari del 2022, si farà ricordare. Indicatori e analisti sono concordi nel pronosticare un anno più duro di quello che ci siamo lasciati alle spalle. Kristina Georgieva, direttrice generale del Fondo monetario internazionale,ipotizza che un buon terzo dell’economia globale e una buona metà di quella dell’Unione europea possano finire in recessione (gli Stati Uniti potrebbero al contrario cavarsela). Intervistata dalla rete televisiva “CBS” Georgieva avverte che “le tre grandi economie, Stati Uniti, Unione Europea e Cina, stanno tutte rallentando in contemporanea, gli Stati Uniti sono i più resistenti e potrebbero evitare la recessione. Vediamo che il mercato del lavoro rimane piuttosto forte. Tuttavia, si tratta di una benedizione mista, perché se il mercato del lavoro è molto forte, la FED potrebbe dover mantenere i tassi di interesse più rigidi più a lungo per far scendere l’inflazione. L’Unione Europea è stata duramente colpita dalla guerra in Ucraina. Metà dell’Unione Europea sarà in recessione. La Cina rallenterà ulteriormente quest’anno. Sarà un anno difficile per la Cina. E questo si traduce in tendenze negative a livello globale. Se guardiamo ai mercati emergenti, alle economie in via di sviluppo, il quadro è ancora più negativo: oltre a tutto il resto, sono colpiti dagli alti tassi di interesse e dall’apprezzamento del dollaro. Per le economie che hanno un livello elevato di debito si tratta di una vera e propria devastazione”.
Al momento l’FMI stima che la crescita globale si attesterà quest’anno al 2,7 per cento. A rendere più fosco il quadro la recrudescenza della pandemia di coronavirus in Cina: l‘economia cinese, ha subito un forte rallentamento nel 2022 a causa di questa politica di zero Covid. Per la prima volta in 40 anni, la crescita della Cina nel 2022 sarà probabilmente pari o inferiore alla crescita globale. Non era mai successo prima. E guardando al prossimo anno, per tre, quattro, cinque, sei mesi, l’allentamento delle restrizioni Covid significherà casi di Covid in tutta la Cina.
Per quello che riguarda “casa Italia”, si è più che mai condizionati da eventi che sfuggono dai tradizionali controlli e previsioni. Il Covid ha pesantemente trasformato il mercato del lavoro anche in Occidente, in Europa, in Italia. Effetti non prevedibili sono provocati dal perdurare del conflitto in Ucraina. Senza cadere in tecnicismi che lasciano comunque il tempo che trovano, basti qui il prendere atto che si vive avvolti in un contesto caratterizzato da complessità imprevedibilità di eventi non facilmente controllabili. La Banca d’Italia prevede che per quel che riguarda il PIL nell’anno appena iniziato, vi sarà un amento pari allo 0,5 per cento.Non è una vera e propria recessione, ma certo una stagnazione, con due trimestri di maggiore difficoltà.Dati che si accompagnano ad un tasso di inflazione a due cifre, in un paese in cui il livello salariale è fermo da oltre quindici anni e nettamente inferiore a quello dei paesi europei con un costo della vita paragonabile al nostro. Inflazione che colpirà le categorie più deboli di circa il doppio di quanto non inciderà sui più ricchi. Si aggiungano i crescenti tassi di interesse e i costi dell’energia, ed ecco spiegato perché non è possibile un aumento della spesa pubblica compatibile con la necessità di tenere sotto controllo il rapporto debito/PIL. “The Economist” lo ha scritto chiaro: il futuro italiano dipende non solo dal controllo del debito, ma soprattutto dalla crescita del PIL. L’antidoto è costituito dall’aumento della produzione delle piccole imprese, un più moderno sistema scolastico, giustizia più veloce, maggiore partecipazione femminile al mondo del lavoro, maggiore investimento nella ricerca, lotta all’evasione fiscale. Sono “rimedi” di cui si parla (e che sono evocati) da anni; eppure non si va molto più avanti degli auspici, dalle promesse, dalle evocazioni. Da questo punto di vista anche l’ultimo cosiddetto dibattito parlamentare in occasione della Legge finanziaria è stato avvilente e penoso, pur se non sorprendente; di qui l’energico e severo richiamo presidenziale.