Onda rossa o tsunami? Repubblicani verso la riconquista sia della Camera che del Senato. Possibile avanzata in alcune roccaforti Dem. Gop sempre più “MAGA”
Una semplice vittoria del partito che non occupa la Casa Bianca, come quasi sempre avviene alle elezioni di metà mandato, o una landslide? È in arrivo un’onda rossa o uno tsunami? Oggi si vota negli Stati Uniti per il rinnovo della Camera dei Rappresentanti, di un terzo dei seggi del Senato e per i governatori di 36 Stati. I Repubblicani sono in vantaggio e sembra, appunto, che l’unica incognita sia la dimensione della vittoria.
Le proiezioni
L’aspettativa è che riconquistino la maggioranza alla Camera, mentre l’esito sembra più incerto al Senato. Il sito FiveThirtyEight dà “lievemente favoriti” i Repubblicani anche al Senato, mentre le ultime proiezioni di altri siti, come RealClearPolitics, indicano una maggioranza di 53 seggi contro 47, con il Gop che strapperebbe ai Dem Arizona, Georgia, Nevada – queste le corse da seguire, oltre a New Hampshire e Pennsylvania.
I pronostici insomma sembrano molto favorevoli ai Repubblicani, dal controllo della sola Camera fino al controllo anche del Senato, da una vittoria al trionfo, ma ci permettiamo di suggerire prudenza perché non siamo sicuri che i gravi “problemi” emersi nel sistema di voto per posta in occasione delle ultime presidenziali del 2020, in particolare in certi Stati, siano stati superati. Potrebbero manifestarsi nuovamente.
I temi principali della campagna – inflazione, sicurezza, immigrazione – sono stati totalmente favorevoli ai Repubblicani. Talmente favorevoli, e talmente debole la presidenza Biden, che non riuscire a riconquistare il Senato, oltre che la Camera, andrebbe visto a nostro avviso come un fallimento.
Il partito di Trump
Va da sé che nel caso di bottino pieno, ne uscirebbe un Gop ancora più “trumpiano”, il partito del “MAGA” (Make America Great Again), e ovviamente un Donald Trump ancora più lanciato verso la candidatura per riprendersi la Casa Bianca nel 2024. Candidatura che potrebbe annunciare ufficialmente pochi giorni dopo il voto ma che ha ampiamente evocato nei suoi numerosi e seguitissimi rally.
L’allarme democratico
Qual è stata la strategia dei Democratici e dell’amministrazione Biden per provare a reagire e a mettere in discussione i pronostici sfavorevoli? Una strategia che qui in Italia conosciamo benissimo. È la stessa tentata dal Partito democratico di Enrico Letta per sbarrare la strada verso Palazzo Chigi a Giorgia Meloni. Joe Biden e i Democratici, privi di argomenti, hanno puntato tutto sull’allarme democratico.
“Nelle urne, per tutti noi sarà in gioco la democrazia”, ha avvertito il presidente. Concetto ribadito niente meno che da Barack Obama, presentissimo in questi ultimi scorci di campagna, in quella che sembra l’arma della disperazione per mobilitare il proprio elettorato e provare ad evitare una sconfitta pesantissima, tale da azzoppare la presidenza Biden.
Come il Pd di casa nostra, anche i Democratici Usa si sono rintanati in una narrazione rassicurante anziché impegnarsi a correggere la loro rotta. Ma la delegittimazione dell’avversario, accusare all’incirca la metà dell’elettorato di rappresentare un pericolo per la democrazia, rischia di rivelarsi un boomerang.
Il mito delle “elezioni rubate”
La narrazione Dem si fonda sul mito del 6 Gennaio: quasi tutti i candidati repubblicani sono “trumpiani”, quindi, sostengono i Democratici, gente pericolosa che non riconosce il risultato elettorale, come dimostrerebbe appunto l’assalto dei dimostranti al Congresso il 6 gennaio 2021.
Se vincono, i Repubblicani passeranno due anni a cercare di mettere sotto impeachment il presidente Biden, ha avvertito Obama, presentandolo come un attacco alla democrazia. Ma non è forse esattamente la stessa cosa che i Democratici hanno tentato di fare nei quattro anni di presidenza Trump, non avendo mai accettato la sua vittoria del 2016?
Il primo ad alimentare il mito delle “elezioni rubate” non è stato Donald Trump, la prima è stata Hillary Clinton, ancora oggi convinta di essere stata rapinata di una vittoria che le apparteneva quasi di diritto. E ancor prima di lei fu Al Gore a metterci mesi a riconoscere la vittoria di George W. Bush nel 2000. Ci volle l’11 Settembre per far cessare le polemiche.
I temi della campagna
I Democratici avevano sperato di ricevere una grossa spinta da una ribellione delle donne contro la “restaurazione conservatrice” dopo la sentenza della Corte Suprema in tema di aborto, mentre probabilmente scopriranno che le donne si stanno ribellando alla criminalità che spadroneggia nelle città e negli stati da loro governati al motto di Defund the Police.
Il problema dei Democratici è che non hanno alcuna intenzione di riconoscere i loro errori e correggerli. Una poderosa spinta all’inflazione l’ha data il maxi-piano assistenzialista di Biden da 750 miliardi di dollari.
La crisi energetica negli Stati Uniti è stata creata dal boicottaggio delle fonti fossili da parte dell’amministrazione Biden, dal primo giorno di mandato, con la chiusura di progetti avviati e il bando su ogni nuova concessione per l’estrazione su terreni federali.
Il colmo è che il presidente Biden si è poi trovato costretto a supplicare di aumentare la produzione la stessa industria che durante la campagna presidenziale aveva promesso di far chiudere. E persino negli ultimi giorni di questa campagna se ne è uscito con un “chiuderemo tutti gli impianti di carbone”, facendo infuriare il senatore Dem Joe Manchin, del West Virginia.
Chi può avere interesse ad investire in una industria che sarà essenziale ancora per decenni ma che il governo più potente del mondo ripete di voler chiudere?
Il voto delle minoranze
Dopo aver cavalcato la delegittimazione delle forze dell’ordine, inseguendo l’estremismo di movimenti razzisti e anti-bianchi come Black Lives Matter e Antifa, dopo aver abbandonato al crimine e alle gang molte città e stati in cui governano, e aperto i confini ai migranti, ora i Democratici si trovano di fronte al fenomeno delle minoranze, in particolare neri e latinos, che votano sempre più repubblicano, essendo chiaramente i primi a soffrire nei loro quartieri per l’insicurezza e l’immigrazione clandestina.
La situazione nelle grandi metropoli californiane, e nella stessa New York, sta sfuggendo di mano. Si rischia di venire fermati per strada da uomini armati e rapinati della propria auto.
Proprio in California e nello Stato di New York, roccaforti dei Democratici e patrie del politicamente corretto, i Repubblicani potrebbero avanzare come non accade da decenni.
Ma come il nostro Partito democratico, anche i Democratici Usa preferiscono gridare al fascismo piuttosto che fare i conti con la realtà. Ovunque, se la sinistra perde, allora non c’è più democrazia.
Federico Punzi – Atlantico