Gli errori su legge elettorale e riduzione dei parlamentari, i peggiori. E poi la campagna elettorale sbagliata. In ultimo, a voler spulciare il programma del PD si scorge ben poco di ‘nuovo’ rispondente alle molteplici, complesse, nuove esigenze del Paese
Ostentano tutti ottimismo. Ne sprizza Silvio Berlusconi che si diverte e diverte con Tiktok. Ancora nessuno ha avuto il coraggio di spiegargli che visualizzazioni e sorrisi, condivisioni e perfino like non si traducono in voti nell’urna. Se ne accorgerà. La sua Forza Italia nella coalizione di destra-centro è fatalmente votata alla marginalizzazione. Il partito che non è partito sa di stantio, e da tempo è scattato il si salvi chi può.
Ostenta ottimismo Matteo Salvini, nonostante i flop che inanella a cadenza quotidiana: quando va al sacrario di Redipuglia, quando si esibisce il languido bacio con la fidanzata nel red carpet al Festival del cinema di Venezia… Ha potuto comporre le liste con suoi fedelissimi, il problema sono i voti: la Lega ogni giorno cede punti all’alleata rivale Giorgia Meloni.
La leader di Fratelli d’Italia effettivamente è tra i pochi che può nutrire ottimismo giustificato. Il suo partito da prefisso telefonico si avvia a essere il trampolino per palazzo Chigi.
Sul campo opposto, quello che vede schierati e divisi il Partito Democratico, il Movimento 5 Stelle e l’agglomerato Carlo Calenda-Matteo Renzi, l’ottimismo è di facciata; Enrico Letta, Giuseppe Conte e i leader di Azione e Italia Viva sanno bene come stanno le cose.
I sondaggi (che ipocrisia questo fatto che a un certo punto si sospendono ufficialmente, circolano tranquillamente, sono il classico segreto di Pulcinella), unanimi e con minime differenze l’uno dall’altro, ‘condannano‘ il mini-campo guidato da Letta. Quello che al PD viene rimproverato è al tempo stesso di non saper proporre “qualcosa di sinistra” e di aver abbandonato la cosiddetta agenda Draghi. Ha un bel ricordare, Letta, che la famosa agenda Draghi era Draghi stesso; e che se non c’è più l’agenda si deve ringraziare Conte e Salvini; ha un bel sgolarsi nel mettere in guardia dal pericolo per la democrazia che sarebbe costituita da Meloni, sotto i tailleur borghesi celerebbe ancora un’ideale orbace; ha voglia di cercare i catturare il voto giovanile puntando sui diritti civili, lo ius soli, le non discriminazioni di carattere razziale e sessuali. Neppure sembra pagare l’ammiccamento esplicito al sindacato. Maurizio Landini e la Cgil non se la sentono di fare da cinghia di trasmissione, aver candidato Susanna Camusso e Annamaria Furlan non sembra portare i frutti desiderati.
Letta poi ha cominciato la campagna elettorale con vistose scivolate: la patrimoniale, per esempio; poi la maldestra (per come è stata prospettata) proposta dell’asilo obbligatorio e la maturità per tutti; il no alla riforma del jobs act, e la confusione per quel che riguarda la crisi energetica e i possibili rimedi. Per non dire del NO al docente esperto, contro il quale si è appunto scagliato il sindacato; piccolo particolare: risponde alla richiesta della Commissione europea di prevedere aumenti di stipendio legati al merito, condizione necessaria per l’erogazione dei fondi del Pnrr per la scuola.
In breve: a voler spulciare il programma del PD si scorge ben poco di ‘nuovo‘ rispondente alle molteplici, complesse, nuove esigenze del Paese. Il collante per una possibile resistenza è la paura delle destre al potere. Nell’eventualità più che probabile che questo pericolo non venga percepito come tale dall’elettorato, qual è il piano ‘B’ del PD?
Un calvario di campagna elettorale, per Letta.
Torniamo alle annunciate intenzioni di voto. Si accredita alla coalizione guidata da Meloni uno stacco di circa venti punti percentuali. Il segretario del PD ovviamente non può che cantilenare ai suoi, come un mantra: ‘Non credete alla vittoria annunciata dalla Destra‘.
Certamente in queste due settimane possono ancora accadere tante e imprevedibili cose. Ma Meloni si muove con accorta prudenza, attentissima a schivare trappole e a fornire il fianco a speculazioni. In questo le torna molto utile una ‘scuola’ politica appresa fin dai tempi della Prima Repubblica; e il suo ‘cerchio magico’, i Guido Crosetto, gli Ignazio Larussa, i Francesco Lollobrigida, non sono aquile, ma li si compari ai loro avversari, e spiccano il volo.
Letta mette in guardia dal fatto che la coalizione di Destra-centro rischia di accaparrarsi i due terzi dei seggi in Parlamento. E’ possibile, anche se non scontato; ma quand’anche fosse? Se dovesse accadere, ecco che la coalizione Meloni-Salvini-Berlusconi potrebbe mettere mano a una modifica della Costituzione senza dover passare per le forche caudine del referendum. E’ possibile, anche se Meloni, per smorzare le nascenti polemiche promette il varo di una commissione bicamerale ad hoc. Da che mondo è mondo le commissioni bicamerali non risolvono le questioni, le affossano. Ci può sempre essere la classica eccezione; e allora il destra-centro mette mano alla Costituzione, chi ci sta, ci sta. Il fatto è che non sarebbe un golpe, non sarebbe nulla di illegale o fuorilegge. La stessa Costituzione lo prevede. Dunque, forse Letta meglio farebbe a cercare altri argomenti di polemica e confronto.
Non solo: Letta, il PD (e con loro, Renzi e un po’ tutti) dovrebbero spiegare un paio di cose. Alla base di questa surreale situazione che si è creata (e che si annuncia ancora più aggravata), c’è una legge elettorale incomprensibile e sciagurata. Chi l’ha fortissimamente voluta e imposta, nel desiderio neppure tenuto nascosto di mortificare la coalizione di destra-centro? E’ accaduto che come i pifferi di montagna sono andati per suonare, e sono stati suonati.
Poi la scervellata riduzione dei parlamentari, che doveva essere accompagnata da una serie di provvedimenti che avrebbero dovuto ‘compensare‘ la cosiddetta riforma. Hanno avuto ben due anni di tempo, per predisporli. Non hanno fatto nulla. Ora se ne pagheranno le conseguenze, e non solo per le circoscrizioni allargate e intere porzioni di Paese senza più adeguata rappresentanza; appena formato il nuovo Parlamento ci si accorgerà come le Commissioni saranno di fatto ingestibili, in balia degli umori (e degli interessi) di uno o due parlamentari. Fantastico risultato che va imputato in modo particolare al PD: tre volte vota contro; poi, timoroso di fronteggiare le campagne populiste dei grillini, opera un clamoroso voltafaccia e vota a favore. Chi è causa del suo male pianga se stesso, s’usa dire. Solo che qui piange anche chi non ha colpa alcuna.
C’è poi un piccolo mistero, che non è tale, a ben vedere: che Calenda sia poco simpatico e gareggi in questo con Renzi, si può concedere. Che Letta abbia qualche ragione per non dimenticare quel ‘stai sereno’, ci può stare. Ma perché il PD polemizza frontalmente con il cartello Calenda-Renzi sostenendo che ogni voto dato a loro è un voto in realtà regalato alla Meloni? Lo stesso ragionamento non vale anche per Conte e i grillini? E allora perché Letta su quel fronte non si scaglia con analoga veemenza? Già si pensa al dopo, ed è un ‘dopo’ che vede -a onta delle polemiche- una rinnovata alleanza? PD e M5S come i ladri di Pisa, che insieme rubano di notte, e litigano poi di giorno per dividere il bottino? Viene da pensare male, anche perché Letta è di Pisa.
Il problema del PD è che sembra non avere proposte credibili. Metà del programma ‘offerto‘ in cosa si differenzia da quello di Meloni? Politica estera ed energetica sono sovrapponibili. Di ‘diverso’ c’è il Ddl Zan, lo ius culturae, la ristrutturazione del reddito di cittadinanza. Questioni importanti e di significato; ma non percepite come prioritarie dall’elettorato.
Letta deve a tutti i costi perdere con almeno il 25 per cento di voti. Se raccoglie il 18-19 per cento, pronto il biglietto di andata e non ritorno per Parigi Sciences-éPo. A bordo campo stanno scaldando i muscoli il Presidente della regione Emilia-Romagna Stefano Bonaccini (anche se gli emiliani non sono mai stati dei gran politici; piuttosto amministratori), e il Ministro del Lavoro Andrea Orlando; altri candidati possono spuntare…
Vedremo.
Quasi sicuro il rinnovato, vistoso, fenomeno delle astensioni. Del resto è una campagna elettorale mediocre e ben poco appassionante. Chi andrà a votare, manifesterà un’esigenza di cambiamento. Il voto a Meloni così va letto. Chi andrà a votare vuole cambiare, e dirotterà il suo consenso a quel candidato, a quella formazione percepita, a torto o a ragione, ‘nuova’. Il desiderio di cambiamento negli anni passati ha fatto vincere Silvio Berlusconi, Romano Prodi, Matteo Renzi. Ora è la volta di Meloni.
Questa la situazione, questi i fatti.
Valter Vecellio – L’Indro