Carlo Nordio ha ragione, dice cose sensate, perfino giuste; assicura che se sarà eletto cercherà anche di realizzarle; gli si può credere. Per questo sarà sicuramente eletto, ma difficilmente sarà mai ministro della Giustizia. Se mai dovesse accadere, sarà uno dei pochi eventi positivi di questa più che squallida campagna elettorale
Un’aneddotica nota nei palazzi di Giustizia vuole che quando la mafia deve trescare per il posto di capo di una procura ‘delicata’, se a concorrere è un magistrato ammanicato con il potere politico, uno onesto e un cretino, la scelta, invariabilmente cade sul cretino.
Non ci si azzarda certo a sostenere (neppure a pensare) che analogo criterio si adotti quando si tratta di scegliere il ministro della Giustizia. Nella storia di questo Paese, a via Arenula si sono succeduti personaggi a volte discutibili, a volte credibili e per bene; quanto ai cretini qualche volta il dubbio è venuto, inutile negarlo. E questa volta? Molti sostengono che nella quasi certa affermazione della coalizione di destra-centro (e con l’affermazione all’interno della medesima di Fratelli d’Italia), la poltrona di Guardasigilli spetta all’ex procuratore di Venezia Carlo Nordio.
Date le caratteristiche e le opinioni del personaggio, almeno dal punto di vista teorico sarebbe scelta buona e giusta. Ma come la prenderanno dalle parti della Magistratura Associata, che Nordio ha spesso e volentieri attaccato per i suoi corporativismi? Male, senza dubbio. Al punto che uno dei padri nobili del partito di Giorgia Meloni, Guido Crosetto già ipotizza possibili ritorsioni: un ‘tic-tac’ di inchieste pronte ad esplodere alla bisogna.
Si deve aggiungere poi che Nordio ci mette del suo. Enuncia il suo possibile programma di riforme. Ricorda quello che in questa campagna elettorale si dimentica: “La riforma della giustizia impatta sull’economia. Secondo studi accurati e indipendenti, la lentezza della giustizia civile e penale ci costa circa un 2 per cento di prodotto interno lordo, vale a dire circa 36 miliardi di euro l’anno”. Praticamente una manovra. Nordio ha ragione, dice cose sensate, perfino giuste; assicura che se sarà eletto cercherà anche di realizzarle; gli si può credere. Per questo sarà sicuramente eletto, ma difficilmente sarà mai ministro della Giustizia. Se mai dovesse accadere, sarà uno dei pochi eventi positivi di questa più che squallida campagna elettorale.
Nel frattempo accade che perfino il Pontefice sia censurato, quando avventatamente si mette a parlare di carcere, detenuti, dei loro diritti. Un po’ tutti i giornali riferiscono della visita di papa Bergoglio in Abruzzo. Molte le fotografie con il casco di sicurezza che gli hanno dato i vigili del fuoco. E’ presente anche una delegazione del mondo carcerario abruzzese. Questo pontefice venuto da quasi la fine del mondo, dolorante, ormai quasi sempre prigioniero di una carrozzella, saluta questa rappresentanza del pianeta carcere; dice che “nelle carceri ci sono tante, troppe vittime. In voi saluto un segno di speranza nella ricostruzione umana e sociale”. Tra i giornali nazionali, un piccolo spazio all’evento lo dedica solo il “Mattino” di Napoli e “Il giornale di Sicilia”.
Le parole del Papa arrivano il giorno dopo la situazione esplosiva denunciata dall’associazione “Antigone”. In questi giorni un giovane bracciante gambiano è stato trovato impiccato nel penitenziario di Siracusa; un detenuto di 44 anni, finito dentro per furto si toglie la vita nel carcere di Caltagirone, mentre è in attesa di essere inserito in una comunità assistita. Sono gli ultimi due nomi in un lungo elenco di suicidi: 57 in otto mesi ne conta “Antigone”: “Il carcere”, dice il presidente Patrizio Gonella, “non è una condanna a morte. È necessario intervenire affinché il dramma che sta interessando gli istituti di pena italiani in questo 2022 si possa fermare”. Da inizio anno 57 persone si sono tolte la vita nelle carceri, lo stesso numero registrato in tutto il 2021.Agosto è un mese tragico con i suoi 14 suicidi, uno ogni due giorni.
Dal Duemila a oggi, ricorda il Centro Studi di “Ristretti Orizzonti”, sono ben 1.280 i detenuti che si sono tolti la vita. Tra i casi più recenti quelli di Alessandro G. e Donatella H.; Alessandro si uccide a Ferragosto nel carcere Lorusso e Cutugno di Torino. Era recluso dal 2 agosto per due rapine nel quartiere di San Salvario; incensurato e con problemi psichiatrici. Aveva già provato a togliersi la vita cinque giorni prima, compiendo un gesto considerato “dimostrativo”. La notte tra l’1 e il 2 agosto Donatella si uccide inalando del gas dal fornello della cella, nel carcere veronese di Montorio. La donna si trovava nell’istituto penitenziario per alcuni furti in negozi per procurarsi la droga. Ad accendere i riflettori sulla vicenda la lettera aperta del giudice di sorveglianza Vincenzo Semeraroletta durante il funerale della donna.
A fronte di questa drammatica situazione, i partiti e la politica? Disinteresse e indifferenza. I programmi elettorali delle principali forze politiche non dedicano molto spazio alla questione carceraria. Il destra-centro (Fratelli d’Italia, Lega, Forza Italia e altri minori) si limita a promettere “maggiore attenzione alla polizia penitenziaria e accordi con gli stati esteri per la detenzione in patria dei detenuti stranieri”. Il Partito Democratico si concentra sul lavoro penitenziario in Italia: “il carcere deve diventare un luogo dove intraprendere percorsi formativi mirati e garantire sbocchi occupazionali certi”. Si menziona la necessità di destinare “quote significative di fondi per assicurare supporto psicologico”. L’alleanza Verdi – Sinistra Italiana vuole “ridurre il sovraffollamento e migliorare la qualità della vita delle persone detenute”. Si chiede un “miglioramento della qualità di preparazione del personale penitenziario adibito alla custodia a qualsiasi livello gerarchico”. Azione e Italia Viva promuovono un “rafforzamento del sistema dell’esecuzione penale alternativa alla detenzione in carcere”. Raccomandano “interventi di riforma dell’ordinamento penitenziario e di edilizia carceraria”. Matteo Renzi e Carlo Calendachiedono l’approvazione di una nuova legge sulle detenute madri per non avere più bambini in carcere. Unione Popolare propone una “riforma dell’istituto della detenzione soprattutto per i reati minori, attraverso un più ampio utilizzo delle misure alternative e investimenti nel reinserimento sociale dei detenuti”. Nessun riferimento alla situazione degli istituti penitenziari, invece, nelle tredici pagine del programma elettorale del Movimento 5 Stelle.
In chiusura di questa nota, la segnalazione di una mostra fotografia allestita a Ravenna negli spazi di Palazzo Rasponi dalle Teste. Una mostra che ben merita un tour almeno nelle maggiori città italiane. Si intitola “Domani faccio la brava. Donne, madri nelle carceri italiane”, realizzata da Giampiero Corelli. E’ un percorso espositivo che raccoglie 50 immagini, selezione di un grande lavoro di fotoreportage realizzato da Corelli in numerose carceri italiane dal 2008 a oggi. E’ focalizzato sulle sezioni e carceri femminili per cogliere la vita delle donne detenute, ma anche delle addette di polizia penitenziaria e chi le carceri le dirige: un mondo fatto di sofferenza, ma anche di voglia di riscatto. Le donne colte dallo sguardo del fotografo sono spesso anche madri che si sono volute fare riprendere per dare una testimonianza forte della loro vita da recluse. L’esposizione è suddivisa in due sezioni: la prima in bianco e nero riguarda il reportage effettuato dal 2008 al 2018; la seconda parte contiene immagini a colori del nuovo reportage effettuato dal 2021al 2022 in tredici carceri. Visibile anche il video reportage con inedite interviste a diverse detenute. In parallelo il nuovo libro fotografico “Domani faccio la brava” (Danilo Montanari edizioni), con un testo critico di Renata Ferri.
Valter Vecellio – L’Indro