In meno di 24 ore, si è visto cosa sia l’onorabilità, la fermezza di idee e parole, il coraggio, e il profondo disprezzo per quella gentaglia che siede in Parlamento, espresso con poche terribili parole
Mario Draghi si è dimesso, e, alla fine, la vera verità -non quella del giornale che si chiama ‘Verità’- ci viene somministrata da un personaggio unico nel suo genere e perfetto nel suo ruolo di vuoto assoluto, ma rumoroso: il sedicente Ministro degli Esteri, Giggino (al secolo Luigi Di Maio). Che infatti, annuncia una sua intervista (già questo basterebbe: gli altri non lo hanno fatto!) e, al solito si precipita in piazza, si fa circondare da diecimila microfoni, che organizza lui personalmente per evitare che si perdesse anche una sola delle sue alte parole, e dice: la colpa è di Putin e dei suoi servizi segreti, delle sue fake news e dei suoi impiegati in Italia.
Eccola lì. Ecco la giusta conclusione, di una vicenda disgustosa, ridotta ad immondezzaio putrescente da simili discorsi.
Oddio, non si può negare che il discorso di alta politica e scienza testé riferito abbia subito trovato un entusiastico analogo di Giggino, in persona di Volodymyr Zelenski, che si sbraccia in dichiarazioni sulla vicenda, invece di tacere o di limitarsi, come gli altri capi di Governo, a due parole di disappunto o di dispiacere.
Sorvoliamo sulle dichiarazioni, incomprensibili per la loro complicazione al livello di mistero della Gioconda, di un certo Giorgio Mulè, Sottosegretario che si augura di non avere da fare nei prossimi giorni, che ‘espone’ la posizione della destra, che si riduce al complotto (sempre quello) del PD, realizzato utilizzando Pier Ferdinando Casini, la cui mozione è stata votata per prima, grazie al sostanzioso, suppongo, emolumento versato dal PD alla signora Maria Elisabetta Casellati, Presidente del Senato. Ormai siamo oltre il ridicolo. Magari prima di creare un incidente diplomatico, ci si potrebbe andare a leggere il regolamento del Senato e, avendolo, quello della logica.
Non so se chi legge qui abbia visto i pochi minuti di Mario Draghi alla Camera, la mattina del 21 luglio: una parola ironica, dovuta all’imbarazzo di un uomo che si vede applaudito a lungo e si emoziona, uscendosene con la battuta sul cuore dei banchieri, e poi, solo, va al Quirinale.
In meno di 24 ore, si è visto cosa sia l’onorabilità, la fermezza di idee e parole, il coraggio, e, purtroppo, il profondo disprezzo espresso con poche terribili parole.
Draghi, per mesi, ha sopportato le continue punzecchiature di questo e di quello, per lo più di Matteo Salvini, alle quali doveva opporre la fermezza dei principî e la logica ferrea dei fatti, e le sceneggiate incomprensibili dei grillini, poi spaccati in due: i grillini secchi e quelli del futuro, e le torbide manovre di un professore universitario, d’accordo con un comico, per indurre alla forzatura (voluta da tempo, ma l’occasione è stata d’oro) da parte della pochette con il curriculum vitae più lungo del mondo … almeno a mia conoscenza.
Il discorso di Draghi al Senato è stato uno di quelli da conservare nella storia, da fare leggere nelle scuole (insieme alla replica). Quando ha detto, che non intendeva cedere ai ricatti dei tassisti, spinti avanti dalla Lega (e altri parti del Governo). Forse qualcuno dei meno giovani ricorderà la cosa disgustosa dei Ministri del Governo Prodi che andavano in piazza ad esprimersi (sbraitare, insomma) contro le scelte del Governo di cui facevano parte, per poi andare al Consiglio dei Ministri a votare quei provvedimenti! Noi, invero, abbiamo avuto la visione surreale dei Ministri stellini, seduti al banco del Governo che pone la fiducia e, alla ‘chiama’, votano contro … sé stessi!
Ma Draghi non si è fermato lì, ha detto che non avrebbe rinunciato alla riforma fiscale, cioè a pretendere la stranezza di fare pagare le tasse a chi guadagna soldi, tutte le tasse, intendo. E, egualmente, ha detto seccamente che avrebbe portato avanti la riforma del catasto, per superare la bruttura per cui una casa dietro il Duomo di Milano, vale, dal punto di vista fiscale, la metà di una casa in periferia.
Certo si comprende bene come, cose del genere non potevano essere accettate da Matteo Salvini e Silvio Berlusconi, da Giorgia Meloni e qualche altro. E hanno colto l’occasione per farlo, con la scusa che la crisi era provocata da altri.
Altri, appunto: gli stellini.
Che, a loro volta sono stati fustigati duramente, anche nel loro attuale finto capo. Quando, con serenità e fermezza, Draghi ha detto la verità: il reddito di cittadinanza così fatto e il bonus così fatto, sono sbagliati e controproducenti, come dire, ‘andate a studiare’.
Ieri si sono sentite le TV parlare tutte della crisi e ripetere molto spesso lo stupore per il fatto che Draghi non abbia fatto concessioni e sia stato perfino rude.
Non è vero, cari signori super giornalisti, non è vero. Draghi ha sopportato per mesi attacchi e insulti o minacce di ogni genere su mille cose. E ha cercato di mediare, di accettare ciò che era possibile. Ve lo ricordate nella prima conferenza stampa dire che, sì, c’era un condono fiscale, ma … che erano spiccioli? Ha mediato eccome. E, secondo me, anche contro la propria volontà, perché spinto da un Sergio Mattarella che, a mio modesto parere, ha perso la sua tradizionale lucidità e decisione a tenere in piedi il Governo mordendosi le labbra.
Lo ha fatto, lo ha fatto. E bisognerebbe ringraziarlo in ginocchio per averlo fatto. Ho detto mille volte che spesso le cose da lui fatte non le condividevo, ma la disponibilità a negoziare c’è sempre stata: a negoziare il negoziabile.
L’onore, i principî si difendono fino in fondo, nell’interesse dell’Italia e, quindi, dei suoi cittadini. Tradotto in linguaggio più brutale: basta con i populisti.
Ora dovrà subire l’ennesimo insulto e fastidio di essere strattonato da politicanti da strapazzo interessati a salvare la poltrona o poco più. E quindi, ecco ‘l’agenda Draghi’, già ne parla qualcuno. E, poveraccio, dovrà anche sorbirsi le assurdità di Enrico Letta, che (forse avendo finalmente intuito che gli stellini sono populisti della peggiore specie e che con i populisti non si discute) abbandona il ‘campo largo’, per trasformarlo in ‘campo Draghi’, che chiamerà magari ‘campo del PNRR’… insomma dovunque e sempre qualche ‘campo’. Insomma parole, parole vuote, magari riferimenti alle Agorà, sempre con l’accento sulla a.
Questa gente non capisce, non può capire, non vuole capire che tra Draghi e loro, tutti loro, non c’è un abisso, c’è quella che è la distanza dalla stella più lontana intravista dal nuovo telescopio Hubble e poi Webb, circa -se ben ricordo- 14.000 anni luce!
Giancarlo Guarino – L’Indro