Nessuno ci crede, ma intanto si preparano. Conte e Salvini: chi apre la crisi? Franceschini avverte: scherzate con il fuoco

Caro lettore, a poche miglia marine dalle coste meridionali dell’Italia, c’è un inferno più di sempre: si tratta della Libia, terra senza pace quando era sotto il tallone di Muammar Gheddafi, ora perfino peggio, divisa di fatto in tre: Cirenaica, Tripolitania, Fezzan. Non è mai stata una Nazione, la Libia, i suoi confini li hanno tracciati con righello e squadra gli occidentali quasi un secolo fa. Uno ‘scatolone di sabbia’ che in questi anni è terreno di scorribanda, oltre alle milizie locali, Russia, Turchia, Francia, Stati Uniti; e anche noi abbiamo dei corposi interessi, legati agli ancora ricchi giacimenti petroliferi. Ne sanno qualcosa dalle parti dell’ENI. Quello che accade a TripoliTobruckBengasi è solo un antipasto di quello che accadrà.

Quello che da mesi accade in Ucraina lo sai bene; e non è solo una feroce guerra tra ucraini invasi e russi invasori. Le ripercussioni di quel conflitto si riverberano in tutta Europa, e di quell’Europa anche l’Italia fa parte. Lo sai bene ogni volta che vai a fare il pieno di benzina, o in questa estate torrida accendi il condizionatore.

In questa moderna riedizione delle piaghe d’Egitto, ecco una siccità che porta a sintesi anni e anni di mancata gestione delle nostre fonti idriche. C’è un bel fare ordinanze scemotte che impongono ai parucchieri un solo sciacquo dei capelli o la raccomandazione di non fare la doccia dalla mezzanotte alle sei. Ci sono acquedotti da sempre colabrodo, invasi che non si realizzano, ogni tipo possibile di spreco. Come sia, si boccheggia.

Cosa aggiungere? Sì: crisi della manodoperacon insieme il paradosso che le imprese e imprenditori non trovano personale; il fatto che negli ultimi sei mesi la super inflazione che ci ha colpito ha tolto oltre 1.200 euro di potere d’acquisto per una famiglia media (genitori e due figli piccoli); a giugno è arrivata all’8 per cento, il top dal 1986: il balzo dell’energia contagia i beni ad alta frequenza di acquisto.
Ci vogliamo poi mettere la pandemia? Il Covid-19 non ci ha mai davvero lasciato. E’ vero che non ci si spiega se i 60-70 morti quotidiani muoiono di Covid, o con il Covid; fatto è che il virus ancora infuria e fa danni.

Insomma: di problemi e di dossier aperti ce ne sono a iosachi è al Governoe chi il Governo lo sostienedovrebbe averne per riempire le ore della giornata, e solo pensare a quello che può accadere tra qualche mese, in autunno e in inverno, c’è di che far tremare le vene ai polsi. Già: ma ci vorrebbe una classe politica degna di questo nome.
Da giorni, e chissà per quanto tempo ancora, si è invece costretti a inseguire le bislacche elucubrazioni di un comico che non fa neppure più sorridere (Beppe Grillo); di un autoproclamato ‘avvocato del popolo‘ che non stanno neppure a sentire più in famiglia (Giuseppe Conte), i contorsionismi di parlamentari eletti per caso e senza senno e gloria (equamente distribuiti da ‘contiani‘ e ‘dimaiani‘), preoccupati solo di conservare un seggio parlamentare più che pericolante. C’è perfino il rischio di una crisi di governo (e catastrofiche elezioni anticipate), per le affermazioni di un sociologo che non si capisce perché e a che titolo viene accreditato quale ‘fonte politica‘ (Domenico De Masi).
E’ da qui, che comunque conviene cominciare per questa cronaca di fatti che per titolo potrebbe benissimo mutuare una delle più note rappresentazioni teatrali di Luigi Pirandello, ‘Ma non è una cosa seria‘.

Accade che il professor De Masi sia intervistato dal ‘Fatto. Ora qui ci sono due scuole di pensiero: la prima vuole che il professore, nella smania di fare ed essere ‘notizia’, si sia prodotto nel numero che diremo; oppure -ma ci vorrebbe comunque della malizia astuta- tutto si inserisca in un piano studiato per alla fine mettere il governo Draghi con le spalle al muroavere il pretesto per uscire dalla maggioranzatornare a fare un’opposizione ‘dura e pura‘ e così cercare di recuperare parte di quel consenso perduto in questi anni. Nel primo caso un’irresponsabilità singola; nel secondo un’irresponsabilità collettiva.
Come sia, il professore racconta di aver saputo da Grillo che quest’ultimo ha ricevuto telefonate da Draghi per allontanare Conte. ‘Il Fatto‘ pubblica, senza chiedere conferma a Grillo o a Draghi; De Masi dixit, e tanto basta.
Grillo a sua volta potrebbe confermare o smentire, comunque chiarire. Non confermanon smentiscenon chiarisce. Si limita a battutine che lasciano il tempo che trovano: «Coprite con le vostre storielle la verità». Conte non chiede a Draghi o a Grillo se sia vero quello che De Masi ha detto. Non si preoccupa neppure di appurare se quello che viene attribuito a De Masi sia quello che De Masi ha effettivamente detto, oppure frutto di una sintesi giornalistica. Urbi et orbi fa sapere che è molto amareggiato.
Intanto ha luogo un importante summit della NATO e dei Paesi europei a Madrid. Draghi deve fare ritorno di corsa a Roma; deve ‘inventarsi’ un Consiglio dei Ministri per le bollette energetiche; e fa sapere che con Conte è in corso un chiarimentoe comunque lui non ha mai chiesto quello che De Masi sostiene nell’intervista di aver saputo da Grillo. Del resto chi può immaginare che un cauto e prudente Draghi vada a dire al telefono a Grillo quello che De Masi dice di aver saputo? Il vaudeville comunque prosegue, ma non è uno spettacolo divertente. E’ anzi un teatrino deprimente.

De Masi si rifà vivo: «Non ho svelato nulla di segreto, non sono un pettegolo e non faccio politica. Non ho tradito Grillo». Aggiunge: «Se volessi potrei dire chissà quante cose, ma non lo faccio. La riservatezza è un elemento fondamentale tra galantuomini. Non avrei mai fatto quell’intervista al ‘Fatto Quotidiano’ se Grillo non avesse già detto tutto ai deputati e ai senatori. Inoltre, sottolineo che Conte ha dichiarato che Grillo aveva parlato delle pressioni di Draghi anche a luiGrillo lo ha detto a Conte e a vari parlamentari, ben prima che uscisse la mia intervista». Per quel che riguarda Draghi, che nega di aver fatto pressioni sul fondatore del Movimento per chiedere la rimozione di Conte, il sociologo dice: «Se è una bugiaè una bugia che Grillo ha detto a meai deputati e a Conte».
In poche parole De Masi forse si rende conto di averla fatta fuori dal vaso, e ora cerca di metterci una toppa. Peccato che ora non sia così facile.

E’ evidente che Draghi delle beghe interne del M5S ne ha le tasche piene. Silenzioso ma non inerteopera come sua abitudine di concerto con il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
Scende in campo Luigi Di Maio. Il Ministro degli Esteri ha certo cento e un motivo per non voler la crisi di Governo; ha mollato il Movimento, ne ha creato uno suo, seguito da un discreto numero di parlamentari, cercherà di giocarsi la sua ‘dote’ in un ‘centro’ più che affollato. Da tempo è assistito da un astuto conoscitore dei ‘palazzi del potere’ che lo ha come adottato: Ugo Zampetti; e questo significa avere anche una buona sponda nel Quirinale, visto che Zampetti è Segretario generale della presidenza della Repubblica, e i suoi rapporti con Di Maio risalgono fin da quando quest’ultimo era vice-presidente della Camera.
Di Maio non a caso bolla come irresponsabili quanti lavorano per la crisi di governo.
Di rincalzo un pezzo da 90 del Partito Democratico, molto meno diplomatico del segretario Enrico Letta: Dario Franceschini (anche lui con solidi legami con il Quirinale). «Da qui alle elezioni, per andare insieme al M5s dobbiamo stare dalla stessa parte, se ci sarà una rottura o una distinzione, perché un appoggio esterno è una rottura, per noi porterà alla fine del governo e all’impossibilità di andare insieme alle elezioniE si brucerà chiaramente ogni residuo possibilità di andare al proporzionale», avverte Franceschini. Senza possibilità di equivoco, papale papalela doppia promessa/minaccia: niente futuri accordi di governo; e neppure modifiche alla legge elettorale che possano costituire ciambelle di salvataggio per i brandelli superstiti del M5S. Franceschini non le manda a dire a Conte. Ancora: in ogni caso, «le alleanze saranno elettorali, non saranno per sempre, e punteranno a creare programmi e candidature». Conte faccia bene i suoi conti; perché Franceschini ne approfitta per aprire, anzi, spalancare le porte agli ex di Articolo1: «È ora che Speranza e Bersani tornino nel Pdserve un percorso di ricomposizione, l’allargamento passa anche attraverso un percorso di ricomposizione».

In un Paese normale quello di Franceschini è il minimo sindacale. Ma questo è un Paese dove ci sono i grillini allo sbando e, politicamente parlando, in evidente stato confusionale. Asserragliati nei loro bunker i pentastellati reagiscono lasciando che a parlare sia più la pancia del cervello. Il senatore Gianluca Castaldi, contiano 24 carati si lascia andare: «Siamo francescani, non certo ‘Franceschini’. Un bel parlar non fu mai scritto». Al di là delle battute, resta il fatto che se il PD brucerà la possibilità di andare verso un proporzionaleci saranno grossi problemi per Matteo Renziper Carlo Calenda, ma soprattutto il Rosatellum decimerà il M5S: addio alla possibilità di vincere nei collegi uninominali; e con una percentuale tra il 10 e il 15 per cento, e i seggi parlamentari proprio dai grillini ridotti, se va bene, tra Camera e Senato tornerebbero non più di 50-60 eletti. Buon per loro, ma irrilevanti per quel che riguarda i futuri equilibri.

Conte ora chiede al suo partito un mandato pienoper trattare con Draghi su quattro punti: l’invio di armi all’Ucraina; l’inceneritore di Roma previsto nel decreto Aiuti; la difesa e il potenziamento del reddito di cittadinanza; un impegno nei prossimi mesi a porre il salario minimo al centro dell’agenda.
Draghi non sembra disponibile a concessioni sostanziali: indisponibilità a modifiche dell’agenda di governo, in ragione della messa a terra del Pnrr e del contesto internazionale di crisi in cui si trova immerso anche il nostro Paese. NO, dunque, a modifiche sulla politica estera (e dunque sull’invio delle armi), e minime aperture su interventi migliorativi sugli altri frontima con margini di manovra più che stretti.
Cosicché Conte dovrà ingoiare il contenuto amaro del calice che lui stesso ha preparatoO far saltare il banco con conseguenze imprevedibili, ma responsabilità politiche evidenti e che non potrà scaricare sulle spalle di nessuno. E’ lui la causa del suo male.

Per non privarci di nulla, ci sono i maldipancia della Lega. Matteo Salvini convoca una segreteria allargata con Ministri, capigruppo e una rappresentanza dei governatori. Anche il Carroccio si mostra insofferente nei confronti del governopreoccupato di dover porre un freno all’emorragia di consensi che cercano rifugio nei Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni. Fiaccato da elezioni amministrative più che deludentisconfitto in quasi tutte le città dai Fratelli d’ItaliaSalvini si gioca una buona fetta del proprio futuro politico.

Conte e Salvini giocheranno di sponda per porre la parola fine all’esperienza del governo Draghi? C’è chi ritiene credibile questa ipotesi. Ma c’è un ‘oste’ con il quale occorre fare i conti. Un ‘oste’ che si chiama Sergio Mattarella: non sarà facile convincerlo a mandare il Paese ad elezioni in piena sessione di bilancio e in un più che delicato scenario di crisi internazionali.
Andare all’opposizione in questo contesto non conviene né a Conte né a Salvini. Nella Lega l’area che fa capo a Giancarlo Giorgetti e ai presidenti di Regione è al lavoro per ‘troncare e sopire, sopire e troncare’. Per quello che riguarda il M5S, è un mondo dove tutto può accadere, e il suo contrario.
Draghi pazientema al tempo stesso determinatoattende e osserva. Ogni giorno comporterà una pena, questo l’aveva messo in conto da tempo; ma di essere costretto a subire e sopportare le insulse litigiosità di partiti allo sbando, mentre mezzo mondo salta in aria, probabilmente no, non l’aveva messo in conto.
Nessuno crede veramente alla crisima spesso le cose vanno per fatti loro, e dunque c’è chi prudentemente si prepara anche a questa eventualità. Questa la situazione, questi i fatti.

Valter Vecellio – L’Indro