Nessun cambiamento nella posizione della Cina dopo due ore di videocall: aspetta sulla riva del fiume, accusa Usa e Nato (avete spinto voi Putin alla guerra, spetta a voi risolvere) e avverte su sanzioni e Taiwan. Siamo a uno snodo…
Sarebbe pericoloso per gli Stati Uniti e i loro alleati mal interpretare la posizione della Cina sul conflitto in Ucraina e illudersi che possa mutare a loro favore. Detto in termini chiari: aspettarsi che Pechino induca Putin a fermarsi o, addirittura, che possa scaricarlo.
Sette ore di colloquio tra il consigliere per la sicurezza nazionale Usa Jake Sullivan e il responsabile esteri del Partito comunista cinese Yang Jiechi, mercoledì a Roma, e due ore di conversazione in videocall ieri tra il presidente Biden e il presidente Xi Jinping non hanno smosso Pechino e i due governi sono rimasti sulle rispettive già note posizioni. Washington minaccia non meglio specificate “conseguenze” se la Cina aiuterà la Russia e dice di avere motivo di credere che sia pronta a farlo. Pechino accusa Usa e Nato di aver spinto Putin alla guerra e resta alla finestra. D’altra parte, trarrebbe vantaggio sia da una vittoria della Russia, che dal suo impantanarsi in Ucraina.
Una vittoria di Putin sarebbe la dimostrazione che l’ordine europeo è modificabile per la prima volta dalla crisi di Berlino contro gli interessi dell’Occidente. E se lo è quello europeo, di riflesso lo è anche quello mondiale. Se è possibile arrestare e addirittura far arretrare l’influenza Usa e Ue in Europa, a maggior ragione ciò è possibile a livello globale. Musica per le orecchie di una potenza revisionista come la Cina, che mira a scalzare la leadership degli Stati Uniti prima in Asia poi nel mondo.
Nel caso, meno probabile, di sconfitta in Ucraina, la Russia uscirebbe fortemente ridimensionata dall’azzardo del suo presidente, i rapporti con l’Occidente lacerati, e non potrebbe che appoggiarsi alla Cina ratificando il suo status di junior partner nell’asse delle autocrazie, un abbraccio letale, che ne smonterebbe definitivamente le ambizioni di superpotenza. Ma a nostro avviso questa è l’ipotesi che si augurano meno a Pechino, per due motivi. Primo, l’ordine americano in Europa uscirebbe rafforzato dalla sfida, anziché indebolito, e di riflesso anche la credibilità della leadership Usa a livello globale. Secondo, un collasso così repentino dello standing internazionale della Russia potrebbe innescare un periodo di instabilità interna a Mosca che si ripercuoterebbe sul blocco euroasiatico. E un così precipitoso smottamento verso Oriente potrebbe indurre i russi a divincolarsi dall’abbraccio cinese. Una eventuale caduta di Putin produrrebbe esiti difficilmente prevedibili, tra cui anche l’ascesa di una leadership intenzionata a riequilibrare i rapporti della Russia con Cina e Occidente verso quest’ultimo.
Terza ipotesi, da non escludere: se la crisi restasse in qualche modo sospesa, irrisolta, anche dopo la fine delle ostilità, sarebbe una ferita aperta in Europa, a tutto vantaggio di Pechino, in cui vedrebbe assorbire le energie – militari, economiche e anche mentali – sia dei suoi rivali, Stati Uniti, sia del suo ancora ingombrante alleato, la Russia.
Per questo riteniamo improbabile che la Cina decida di intervenire in un senso o nell’altro, per fermare Putin o per sostenerlo. Ne riconosce le ragioni, perché questo le permette di chiamare in causa le responsabilità degli Stati Uniti e della Nato, ma interverrebbe solo se le cose dovessero mettersi troppo male per Mosca.
Dai resoconti ufficiali della conversazione tra Biden e Xi non è emerso alcun elemento che faccia pensare ad un cambiamento nella posizione cinese o che suggerisca un ruolo di mediazione della Cina per trovare una soluzione diplomatica. Pechino resta alla finestra, magari per mettere il suo cappello sulla “pace” a cose fatte. Ma per ora è seduta sulla proverbiale riva del fiume aspettando di vedere di chi è il cadavere che passa…
Il presidente Biden ha reiterato a Xi la richiesta, già avanzata tramite Sullivan, di farsi parte attiva per una soluzione diplomatica della crisi. E gli ha descritto, riferisce la Casa Bianca, “implicazioni e conseguenze” a cui la Cina andrebbe incontro se fornisse “supporto materiale alla Russia”. Sebbene non ci è dato sapere quali esse siano, è evidentemente una linea rossa quella tracciata da Biden. Resta da vedere se Pechino vorrà testare la determinazione di Washington nel farla rispettare.
Xi Jinping ha quindi rispedito al mittente la richiesta di condannare l’invasione russa e impegnarsi per fermarla, rimandando la palla nel campo Usa. Il presidente Xi, riferiscono i media cinesi, ha esortato tutte le parti coinvolte “a sostenere congiuntamente il dialogo e il negoziato tra Russia e Ucraina”. In particolare, “gli Stati Uniti e la Nato dovrebbero condurre un dialogo diretto con la Russia per risolvere i problemi che sono dietro la crisi ucraina” e “i problemi della sicurezza sia della Russia che dell’Ucraina”. Insomma, avete spinto voi Putin a invadere, spetta a voi risolvere il problema, questo il senso.
Oltre a ritenere Usa e Nato responsabili della guerra, sposando le tesi del Cremlino, Xi si è anche detto contrario alle sanzioni incolpando gli Stati Uniti dei danni che stanno provocando all’economia globale: “Sanzioni indiscriminate e di ampia portata farebbero solo soffrire le persone. Con una ulteriore escalation, potrebbero innescare gravi crisi nell’economia globale e nel commercio, nella finanza, nell’energia, nel cibo e nelle catene di approvvigionamento, paralizzando l’economia mondiale già in crisi e causando perdite irreparabili”. “Più è complicata la situazione, più è necessario mantenere la calma e la razionalità”. Intendendo, implicitamente, che gli Usa stanno agendo in modo avventato e irrazionale.
Ma Xi Jinping ha voluto dettare le sue regole anche nei rapporti bilaterali Usa-Cina. Qui il messaggio è se possibile ancora più sottile: smettetela di indicarci come cattivi se volete la nostra collaborazione. Le nostre relazioni, ha detto a Biden, non sono ancora uscite dalla difficile situazione creata dalla precedente amministrazione Usa, invece “hanno incontrato sempre più sfide”. Una situazione “direttamente dovuta dal fatto che alcune persone negli Stati Uniti non ha attuato l’importante consenso raggiunto tra noi due”. “Gli Stati Uniti hanno mal interpretato e giudicato male le intenzioni strategiche della Cina”, si è lamentato Xi. “La soluzione a lungo termine risiede nel rispetto reciproco tra le maggiori potenze, nell’abbandono della mentalità da Guerra Fredda, nel non impegnarsi in scontri e nella costruzione graduale di un’architettura di sicurezza globale e regionale equilibrata”.
Non è mancato, ovviamente, il tema Taiwan. Qui i toni di Xi si sono fatti più duri: “Se la questione Taiwan non è gestita bene, avrà un impatto sovversivo sulle relazioni tra i nostri due Paesi”. Biden, secondo quanto riferito, ha ribadito che “la politica degli Stati Uniti su Taiwan non è cambiata e ha sottolineato che gli Stati Uniti continuano a opporsi a qualsiasi modifica unilaterale dello status quo”. Qui sembra che la linea rossa l’abbia tracciata Xi.
Biden avrebbe inoltre assicurato, ma questo secondo fonti cinesi, quindi da prendere con le molle, che gli Stati Uniti non sostengono “l’indipendenza di Taiwan” e non stanno cercando una nuova Guerra Fredda con la Cina, né di modificare il sistema cinese, né di rivitalizzare alleanze contro Pechino. “Prendo queste dichiarazioni molto seriamente”, avrebbe commentato il presidente Xi.
Siamo ad uno snodo cruciale. La guerra in Ucraina può assestare un colpo potenzialmente letale alla struttura della sicurezza europea – e forse anche globale – e spingere definitivamente le relazioni Usa-Cina verso una nuova Guerra Fredda. L’Ucraina quindi si sta rivelando molto più strategica di quanto si pensasse.
Federico Punzi – Atlantico