Ieri sui mercati europei il gas si è apprezzato del 10 per cento, tornando a superare gli 80 euro per megawattora. Negli ultimi giorni, a seguito delle rassicurazioni del presidente Putin, i prezzi erano scesi leggermente dai massimi record del mese scorso. Il 27 ottobre infatti il presidente russo aveva ordinato a Gazprom di iniziare a riempire i suoi stoccaggi in Germania e Austria entro l’8 novembre al massimo, alimentando le aspettative dei mercati che le forniture verso l’Europa sarebbero aumentate.

Il ceo di Gazprom aveva assicurato che una volta riempiti gli stoccaggi russi entro i primi di novembre, a partire da ieri avrebbe iniziato a pompare gas verso quelli europei. Ma finora, riporta il Financial Times, non c’è stato un aumento significativo dei flussi e Gazprom non ha prenotato alcuna capacità aggiuntiva per il mese di novembre. “Non c’è stato grande incremento di esportazioni complessive verso l’Europa, ecco perché alcuni trader sono delusi, anche se gli stoccaggi di Gazprom stanno iniziando a vedere un po’ di gas”, ha spiegato Laurent Ruseckas di IHS Markit. “Una reazione maggiore dal mercato ci sarebbe se Gazprom tornasse a vendere forniture di gas a breve termine, come negli anni precedenti”.

Ma trader e analisti non si aspettano che Gazprom inizierà a riempire i suoi stoccaggi europei, lasciati scendere a livelli insolitamente bassi nei mesi scorsi. Gli osservatori scommettono che i flussi russi verso l’Europa occidentale rimarranno limitati anche con l’inizio dell’inverno, finché da Bruxelles non arriverà il definitivo via libera al Nord Stream 2.

Infatti, Mosca ha limitato le sue esportazioni a quelle garantite dai contratti a lungo termine e non è un mistero che l’aumento delle forniture è legato all’avvio del nuovo gasdotto. Insomma, il Nord Stream 2 non è ancora entrato in funzione e l’Europa è già sotto il ricatto della Russia, che alle porte dell’inverno usa il suo gas come forma di pressione per accelerare l’autorizzazione Ue della nuova pipeline, che darà al Cremlino un’influenza ancora maggiore sulla sicurezza energetica dell’Europa.

Mentre i vertici Ue chiacchierano di transizione “green” ed emissioni zero entro il 2030 alla Cop26, la realtà è che l’Europa – o meglio la Germania per tutti i suoi membri – ha appena deciso di accrescere la sua dipendenza dal gas russo.

Questa estate l’amministrazione Biden aveva dato il suo sostanziale via libera al gasdotto, rinunciando ad applicare le sanzioni alla società costruttrice e al suo amministratore delegato, Matthias Warnig, già agente della Stasi e amico personale di Vladimir Putin, e premiando la determinazione della cancelliera Merkel, che aveva tenuto duro di fronte alle pressioni e alle misure punitive di Donald Trump (nuove sanzioni e ritiro di parte del contingente Usa in Germania).

Per salvare la faccia davanti a quella che appariva come una resa, Washington aveva divulgato i particolari dell’accordo con Berlino per porre termine alla disputa sulla pipeline. La “compensazione” offerta dalla Merkel, la stessa che Trump aveva fino all’ultimo rispedito al mittente perché considerata, al dunque, non esigibile, si è già dimostrata scritta sull’acqua, come avevamo avvertito su Atlantico Quotidiano l’estate scorsa:

“Se la Russia tentasse di utilizzare l’energia come arma o commettesse altri atti aggressivi contro l’Ucraina, la Germania agirà a livello nazionale e spingerà per misure efficaci a livello europeo, comprese sanzioni, che limitino le capacità di esportazione russe nel settore energetico”.

Ora, punto primo, Mosca sta già usando il gas come arma di pressione nei confronti dell’Ue. Punto secondo, come dimostra la stretta energetica in corso e i prezzi record di queste ore, quello che l’Europa non può proprio permettersi di fare è esattamente ciò con cui dovrebbe sanzionare il comportamento russo, limitare le sue esportazioni di gas.

E d’altra parte, il governo di Berlino aveva respinto la richiesta americana di una clausola “kill switch” nell’operatività del nuovo gasdotto, cioè la sospensione automatica dei flussi di gas in caso di atti aggressivi da parte russa, con la scusa – risibile – che si tratta di un progetto privato in cui il governo federale non può metter becco…

Un accordo che il Wall Street Journal aveva definito “imbarazzante per la sua debolezza”, al punto che “si possono sentire le risate al Cremlino”.

E oggi stiamo vedendo i primi preoccupanti frutti sia della partnership strategica Berlino-Mosca in campo energetico, di fatto imposta a tutto il Continente, sia del cedimento di Biden.

Il risultato per Putin va ben oltre la marginalizzazione dell’Ucraina. Per la prima volta dalla fine della Guerra Fredda, e a 32 anni esatti, oggi, dalla caduta del Muro, la Russia vede aprirsi le porte dell’Europa alla propria penetrazione energetica e geopolitica, vede riconosciuta dagli Usa, sebbene obtorto collo, una proiezione di influenza che arriva nel cuore del Continente europeo, fino a Berlino e oltre.

Nord Stream 2 rappresenta un pesante cuneo proprio al centro del sistema di alleanze Usa. Rendendo l’Europa, e il suo Paese leader, più dipendenti dal gas russo, ha la capacità di accelerare il processo, già in atto da un paio di decenni, di sganciamento strategico della Germania dall’alleato americano. Un vero e proprio salto di qualità, una dichiarazione di indipendenza strategica e di quasi neutralità della Germania fra Usa e Russia.

C’è un piccolo particolare: la Germania non è la Svizzera, non può semplicemente diventare una “Grande Svizzera” senza provocare uno smottamento geopolitico, senza trascinare tutto il Continente europeo nella sua Ostpolitik. È il centro di gravità economico e politico dell’Ue, di fatto riconosciuta anche a Washington come la potenza egemone dell’Europa continentale e mediterranea. Quindi, neutralità tedesca significherebbe neutralità dell’Europa. Equidistanza di Berlino tra Washington e Mosca significherebbe equidistanza anche dell’Ue.

Dunque, attraverso i due gasdotti Nord Stream, Mosca e Berlino stanno di fatto destrutturando il legame transatlantico, un interesse strategico vitale per gli Stati Uniti, e saldando un asse russo-tedesco in grado di lanciare un’Opa sull’Europa centro-orientale – ciò che temono Varsavia e Kiev ma dovrebbero temere anche Parigi, Roma e Londra.

E non è per uno strano scherzo del destino se questo enorme regalo a Putin è alla fine arrivato da Biden e non da Trump, accusato per quattro anni di essere il puppet del presidente russo. Se solo si consideri che il Russiagate era una bufala, una totale montatura, mentre è storia che deboli con i russi, volenti o nolenti puppet di Putin, sono stati Obama e Biden.

Federico Punzi – Atlantico