Le dichiarazioni pensose di allarmata preoccupazione per il fenomeno dell’astensione, fatte le debite eccezioni, hanno un po’ tutte il sapore dell’ipocrisia
Vincolati come si è ancora dall’assurdo silenzio elettorale, ci si può in questa nota, occupare di un fenomeno che a parole sembra preoccupare un po’ tutti: il dilagante astensionismo alle Elezioni 2021; la rinuncia di tanti elettori a recarsi al seggio, ed esprimere la loro preferenza. Doglianza condivisibile. «Gli assenti hanno sempre torto», dice il proverbio; aforisma che Gesualdo Bufalino, con acre e geniale amarezza completa: «ma novantanove volte hanno ragione».
Novantanove volte forse è eccessivo, ma spesso l’elettore, anche se non ha ragione ad astenersi, non ha tutti i torti. A parte che anche astenersi dal votare è comunque un esprimere un’opinione (brutalmente: siete tutti ugualmente deprecabili, e in blocco vi si rifiuta), il problema non è tanto che l’elettore non voti (è suo diritto non esprimere preferenze), piuttosto che non ci siano candidati che gli ispirino fiducia e sappiano conquistare il suo consenso.
Le dichiarazioni pensose di allarmata preoccupazione per il fenomeno dell’astensione, fatte le debite eccezioni, hanno un po’ tutte il sapore dell’ipocrisia; e se ipocrite non sono, è pure peggio: significa che chi le fa, vive su Marte, ha perso ogni contatto, sia pur minimo, con la realtà.
Che una buona metà di elettorato rinunci alla ‘fatica’ di recarsi al seggio e tracciare un segno con una matita è visiva espressione del fatto che alcuni istituti di democrazia non vengono più percepiti come un tempo. C’è del paradossale che merita di essere indagato: nel momento in cui si ‘sfiduciano‘ le assemblee rappresentative e chi si candida a governarle, si vota massicciamente le richieste referendarie, anche su materie complesse come la giustizia, l’eutanasia, le droghe. Si riempiono le piazze contro ‘tutti i fascismi‘, e al grido di ‘libertà, libertà’, e contro la ‘dittatura sanitaria‘ si assalta la sede della CGIL…
Opportuno e necessario studiare questi apparenti paradossi. Ma soprattutto commentatori e analisti non dovrebbero mostrare sorpresa per i segni di logoramento che la democrazia, come modello politico, rivela. Una crisi a livello globale.
Già tre anni fa un focus sulla situazione italiana, basata su dati statistici raccolti da Eurobarometro ed elaborati dall’Istituto Cattaneo di Bologna, rivelava una situazione che avrebbe dovuto allarmare. Già allora emergeva che il tasso di soddisfazione per il funzionamento degli istituti democratici, in dieci anni (2007-2017) era sceso dal 41 per cento al 36 per cento. Attenzione: nel 2007 i soddisfatti erano appena il 41 per cento. Poi si sono persi per strada altri cinque punti. Consola poco che in altri Paesi (Stati Uniti, Canada, Spagna, Grecia), il tasso di insoddisfazione fosse addirittura superiore; anzi, accresce l’inquietudine.
Secondo gli analisti dell’Istituto Cattaneo, nel corso di 45 anni (1973-2018), solo nel 2006 la percentuale dei soddisfatti della nostra democrazia supera quella degli insoddisfatti. Un ‘malessere’ dunque che va al di là degli scossoni e della mala-gestione della cosa pubblica degli ultimi dieci-quindici anni. Per usare un’espressione un po’ desueta, ‘il problema era a monte’; e a monte continua a essere.
Giova sfogliare di nuovo (ammesso lo si sia fatto allora), i dati raccolti in quel focus. Primo elemento: l’insoddisfazione non conosce divario tra città e provincia, o latitudine; è un dato omogeneo e uniforme. Ancora: l’età degli intervistati. La fascia più critica nei confronti della democrazia è quella di chi ha più di 55 anni: la percentuale di soddisfazione scende dal 36,6 per cento del 2007 al 30,4 per cento del 2017. I soddisfatti diminuiscono anche tra i giovani con meno di 24 anni: dal 47,5 per cento al 42,7 per cento. La sola fascia di età in controtendenza è quella 25-39 anni, il cui gradimento per il funzionamento del sistema politico è cresciuto di circa due punti percentuali.
Si può ora prendere in considerazione la “variabile” istruzione: «Emerge chiaramente una relazione negativa tra il livello d’istruzione e la variazione nel grado di soddisfazione per la democrazia», annota la ricerca del Cattaneo. «Sono soprattutto le persone con un minor livello d’istruzione quelle che sono diventate più critiche verso il funzionamento dell’assetto democratico: in questa categoria, chi si dichiara soddisfatto è il 34,1 per cento nel 2007, mentre nel 2017 quella percentuale scende al 23,9 per cento”. Un dato contro-tendenza: tra coloro che hanno svolto studi universitari la quota di soddisfatti sale dal 49,3 per cento al 52 per cento. Il rilevamento risente ovviamente delle opinioni politiche degli intervistati. Risulta che i più insoddisfatti dello Stato della democrazia italiana siano gli elettori di destra e centrodestra: tra i primi la fiducia scende di circa 11 punti, tra i secondi di quasi 9. In discesa tra i 4 e i 5 punti anche la soddisfazione degli elettori di centrosinistra e di sinistra. Più stabili gli elettori di centro.
Infine l’incidenza dell’appartenenza territoriale: l’insoddisfazione resta più elevata al Sud; ma sono le regioni del Nord-Ovest e quelle del Centro a far registrare i cali più vistosi (meno 11 per cento, e meno 9 per cento). «Si nota una sorta di ‘meridionalizzazione’ dello scontento democratico», osserva il Cattaneo. «Un progressivo avvicinamento delle altre zone d’Italia ai livelli di (in)soddisfazione per la democrazia mostrati dalle regioni del Sud». In generale, gli elettori maggiormente critici quelli delle aree rurali e dei piccoli paesi lontani dalle grandi città: un vero crollo, oltre il 20 per cento.
Questi i dati, noti, di ‘ieri’. Come stupirsi della disaffezione (o vera e propria ostilità) che si manifesta ‘oggi’? Sarebbe sorprendente e anomalo il contrario, visto che a parte le figure del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, e del presidente del Consiglio Mario Draghi, tutti i leader di partito e movimento presentano pressoché le stesse caratteristiche, gli stessi difetti, le stesse lacune e miopie politiche (in parte perfino aggravate), di quando la ricerca è stata effettuata.
Valter Vecellio – L’Indro