Aprire scuole, far togliere il burka, diffondere sistemi culturali e politici, comunicare una ‘democrazia’, contribuire a creare o creare tout court istituzioni politiche e amministrative, è un illecito internazionale gravissimo: violazione del principio di autodeterminazione dei popoli
Colpisce, colpisce molto, per tornare sull’Afghanistan (dopo aver visto la nostra funzione e le nostre responsabilità, e dopo aver concluso che, dopo il 15 agosto 2021, la nostra politica estera è tutta da rifare), un articolo di Michele Valensise quando dice: «Oggi qualcuno, forse non ricordando bene che cosa era l’Afghanistan da cui venti anni fa partì l’attacco contro le Torri gemelle, quando fummo tutti americani, denuncia la ‘guerra d’occupazione‘ degli occidentali. Ma davvero l’impegno di chi ha lavorato, forse male, forse poco, ma sicuramente con l’idea di stabilizzare, non di colonizzare, può considerarsi un atto di ‘occupazione‘? Chi ha aperto scuole, ospedali, strade, chi in questi anni ha liberato energie vitali e contribuito a dare dignità almeno a una parte del Paese può veramente essere bollato come ‘occupante‘? Chiediamolo agli afghani che stanno scappando in massa, anche cercando di aggrapparsi agli aerei, e con cui dobbiamo essere solidali».
Colpisce, dico, e sorprende anche se si spiega perfettamente nel ‘normale‘ atteggiamento e modi di pensare, nella cultura insomma, di gran parte della nostra diplomazia, ma anche, di gran parte della nostra stampa e forse del nostro popolo.
Premesso che se l’attacco alle torri gemelle (solo quello conta?) sia stato o meno originato dall’Afghanistan è ancora tutto da dimostrare, certo è, invece, che il governo afghano di allora tollerava, proteggeva, riforniva, insomma era perfettamente conscio della presenza di Al Qaeda sul territorio e anche di Bin Laden, addestrato e istruito (lo ricordiamo?) dalla CIA. Basta questo, inutile commentare.
Ma dire (e non è né sarà il solo a dirlo, perciò ne accenno) che non si sia trattato, fino agli ultimi giorni, di un governo di occupazione, creato e voluto dagli americani, senza nemmeno prendere in considerazione gli ‘alleati‘, cui veniva richiesto (a noi innanzitutto, che poi ci siamo rimasti incastrati) una presenza armata, magari anche guardata con un po’ di sufficienza, dire ciò è fuori dalla realtà. Se non si trattasse di un noto ex-ambasciatore, direi che quella frase è propaganda pura. Siamo -sì, siamo perché anche noi c’eravamo- siamo stati lì per portare a scuola le donne, per fare loro togliere il Burka?
I governi americano e italiano (anche se poco consciamente: lo ripeterò sempre, a costo di essere noioso, perché è un fatto gravissimo) si sono comportati come se l’Afghanistan non esistesse più, e quindi ne derivasse la possibilità di creare uno Stato ex novo, o anche due, tre Stati nuovi. Ma non era così e ne erano gli occupanti, noi inclusi (magari poco consciamente), tanto convinti che si consideravano in guerra, che riconoscevano che una parte del territorio sfuggiva al loro/nostro controllo, e che si trattava di impedire attacchi e attentati. Le tipiche cose che si fanno a seguito e durante una occupazione militare in senso stretto.
In realtà, non sta -leggete bene e ricordate bene- non sta agli americani, non sta ai britannici, non sta agli italiani (benché inconsciamente) non sta a nessuno ‘decidere‘ su ciò: sta solo al popolo afghano. Decidere la ‘civilizzazione’ dei costumi, decidere ‘il modo di vestire’, decidere quali ‘scuole e con quali programmi’ aprire, non spetta all’occupante, ma al popolo afghano. Se lo decidono gli americani e, benché inconsciamente, gli italiani, non si tratta di civilizzazione, ma di colonialismo, di colonialismo deteriore. Il peggiore della specie, perché è quello che dice ‘io ti distruggo, distruggo la tua cultura per il tuo bene’.
Duole dirlo, lo scrivo con lo stomaco contratto, ma purtroppo ciò che è stato fatto a questi popoli, dal Vietnam all’India, al Sud Africa alla Namibia, alla Palestina, al Sudan, ecc…, è stato appunto di imporre la ‘nostra‘ (gli italiani inconsciamente) ‘civiltà‘ a loro.
Che vergogna, che tristezza, sentire qualche politicante da strapazzo, ‘scoprire’ oggi (ma solo oggi) che la democrazia non si esporta con la guerra: quando lo diceva qualche piazza sgomberata dalla Polizia, erano rumorosi sovversivi, oggi lo scoprono anche i politicanti, ignoranti ma sempre pretenziosi. E non parlo per evitare la nausea, della ‘generosa’, ma solo volgare e opportunista e solo verbale ‘adesso accogliamoli tutti’ … che generosità!
Non sto suggerendo di assistere impotenti al massacro dei diritti dell’uomo che verosimilmente accadrà in Afghanistan. Il contrario esatto. Dico solo che il metodo è di fare valere dialetticamente i nostri valori (quelli degli italiani inconsciamente), in un confronto paritario e leale con gli altri. Certo, dopo una guerra, con i fucili ancora fumanti in mano, presentarsi come ‘predicatori’ farebbe un po’ di impressione. L’alternativa è l’aggressione e l’indifferenza, come gli americani insomma: che prima creano il problema e poi se ne vanno (beh, nel caso, fuggono) lasciando la patata bollente magari alle nostre, inconsce, mani.
Ma non per ‘offendere’ i nostri politici, che invero detengono la palma d’oro in materia, una palma d’oro inconscia su ‘un’anima’ coriacea, ma per invitare, chiedere, proporre che di questi temi si dibatta sul serio in questo disgraziato Paese (sì, innanzitutto in questo!) per prendere, finalmente con un po’ di conoscenza e quindi di coscienza, le nostre decisioni in merito, ivi compresa la scelta e l’intensità delle nostre alleanze. Non può -su questo non ho dubbi- non può Mario Draghi da solo farlo: deve dirci, invece, e consultarci sul cosa e come fare. Anche perché le conseguenze del disastro afghano, cominceremo a pagarle tra poche settimane e conviene essere preparati.