Cosa augurarsi: che, quando sarà tempo, sia eletta Presidente della Repubblica? O che possa invece continuare a svolgere il suo prezioso lavoro al ministero della Giustizia?
La ‘macelleria’ avvenuta nel carcere di Santa Maria Capua Vetere è una brutta gatta da pelare anche per il Ministro della Giustizia Marta Cartabia. Ministro che certamente interverrà secondo le sue prerogative e facoltà.
Un Ministro che ogni giorno rivela il suo non comune spessore, e qualità umane e politiche. E’ la prima volta di un ministro della Giustizia si reca a Ventotene, l’isola dove sono stati relegati durante la dittatura fascista, tra gli altri Ernesto Rossi e Altiero Spinelli. A Ventotene, Cartabia annuncia l’istituzione di un Centro di ricerca su diritto penitenziario e Costituzione, voluto dall’ateneo di Roma Tre, con sede d’onore proprio a Ventotene. Faro della ricerca su carcere e Costituzione sarà l’esperienza di Eugenio Perucatti, direttore illuminato proprio del carcere di Santo Stefano tra gli anni ‘50 e ‘60, autore di un saggio opportunamente ripubblicato: ‘Perché la pena dell’ergastolo deve essere attenuata’.
Cartabia ricorda che l’articolo 27 della Costituzione, quello secondo il quale un imputato non è considerato colpevole sino a condanna definitiva e che le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato, costituisce una ricchezza e “non è in contrasto con le esigenze di sicurezza, ma è orientato alla sicurezza che la società si attende“. La prima volta che un Ministro della Giustizia cita Luigi Settembrini, patriota del nostro Risorgimento e per questo a lungo incarcerato: “Ogni pena che non ha per suo scopo la correzione del colpevole e la riparazione alla società da lui offesa non è pena, ma cieca e spietata vendetta che offende Dio e l’umanità. La pena sia dura ma senza sdegno, abbia un fine e una speranza”.
Nei giorni scorsi il Ministro Cartabia, rispondendo a un’interrogazione parlamentare relativa al problema del sovraffollamento delle carceri dice essere “indispensabile assicurare condizioni di vita accettabili negli istituti penitenziari”. Rivolgendosi ai magistrati dice loro che “la magistratura sta attraversando una fase di crisi, una crisi di credibilità e, soprattutto di crisi della fiducia dei cittadini”; e non nasconde di essere molto preoccupata per le ripercussioni sul rapporto fra magistrati e opinione pubblica: “Tante volte in questi mesi mi sono sentita porre una domanda che fa tremare le vene ai polsi: Ministro, come possiamo tornare ad avere fiducia nella giustizia? È una domanda che non si può liquidare come qualche parola di consolazione, è una domanda che dobbiamo guardare con attenzione“. Occorre, dice senza troppi giri di parole, “fare di tutto perché il giudice torni ad avere quella statura che la Costituzione gli chiede, nel momento del giuramento. L’articolo 54 chiede disciplina e onore. Sembrano parole d’altri tempi ma oggi sentiamo che abbiamo bisogno di potere identificare dei giudici così“; e si deve essere consapevoli che nessuna riforma, per quanto innovativa e radicale, potrà di per sé generare quello stile e quella statura che i cittadini attendono dal giudice: “L‘indipendenza del giudice è nella credibilità che il giudice riesce a conquistare nel travaglio delle sue decisioni e in ogni momento della sua attività“.
Cosa augurarsi, a questo punto? Che, quando sarà tempo, sia eletta Presidente della Repubblica? O che possa invece continuare a svolgere il suo prezioso lavoro al ministero della Giustizia?
Valter Vecellio