Nel dopo Ginevra un ruolo centrale lo svolgerà l’Europa. La domanda è: quale Europa? quella ‘vecchia’, filo-americana-acritica, o la ‘nuova’, filo-americana-orgogliosa? alla quale pensa Mario Draghi
Sarà difficile valutare bene quali possano essere le conseguenze dell’incontro tra il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden e il Presidente russo Vladimir Putin. Certamente a breve nulla o quasi. Ma in prospettiva potrebbero esservi conseguenze notevoli.
E -lo so che ora appaio ripetitivo- un ruolo centrale lo svolgerà l’Europa. Dove, però, la domanda è: quale Europa? quella ‘vecchia‘, filo-americana-acritica, o la ‘nuova‘, filo-americana-orgogliosa? come vorrei definire quella alla quale pensa Mario Draghi.
Da quest’ultimo, in realtà, non arriva, al solito, mai troppo, salvo le secche frasi dei giorni scorsi, sintetizzabili, per farla facile, in ‘siamo amici degli USA, finalmente non più di Trump, ma l’Europa è una cosa diversa dagli USA‘. Molto vago, lo so, però anche piuttosto chiaro. Ma, detto così, a me non sembra che si capisca molto di più di una intenzione, e questo è un grave limite di Draghi, che ora, diciamolo chiaro, comincia a ledere i principi della democrazia, molto più delle banalità fanciullesche dei vari travaglini e grillini sulla piuma bianca che è responsabile di tutto in divisa. Benché, attenzione, il problema non è solo per l’Italia, anzi: Draghi ha parlato per l’Europa. E anche questo, secondo me, sarebbe ora che da noi lo si capisse.
Ma è anche proprio ciò la difficoltà di Draghi. Come si può ragionevolmente pensare che di fronte a temi davvero di importanza storica, cioè destinati a condizionare la vita futura di molte centinaia di milioni di uomini, si possa parlarne con quattro politicanti alle prese con le primarie finte per la scelta del candidato sindaco già scelto per Roma o per Napoli, con un Giuseppe Conte senza cravatta che parla accanto ad un Gaetano Manfredi con la cravatta; con un Beppe Grillo che, per dispetto va a scodinzolare dai cinesi; con un Matteo Salvini che riscopre i ‘migranti a casa loro’; con una Giorgia Meloni che fa l’opposizione e parla di … già di che? Ma anche, siamo seri, con un Mark Rutte che pensa solo ai tulipani, con un Charles Michel dal sedere di pietra, con un Emmanuel Macron vanesio e inconcludente. Vero, non si può, ma si deve trovare il modo, perché così, o la stima si tramuta in fede (e personalmente io ho la mia e mi basta e avanza) o nasce il tarlo del dubbio: il dubbio sull’autocrazia, appunto, non sulla tirannia, almeno per l’Italia.
Dall’Europa, che a quel che vedo sembra si presenta un po’ oscillante tra i due estremi di cui parlo sopra, arriva però un messaggio articolato, in cui l’allineamento indubbio alla linea americana è pieno di precisazioni e di dubbi.
In particolare colpisce la dichiarazione di Josep Borrell, Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, lasciata cadere quasi per caso pochi minuti prima dell’inizio dell’incontro Putin-Biden, quando dice una cosa giusta, e solo apparentemente superficiale: «Il governo russo non è la Russia, è qualcosa di diverso e spero che non si vada verso un’escalation delle sanzioni, perché questo significherebbe un deterioramento delle relazioni … Le sanzioni sono uno strumento a servizio di una politica e vanno usate in modo selettivo, quando è necessario ed in funzione delle circostanze di ogni caso».
Insomma, dice Borrell, la Russia non è una cosa che si identifica in un governante, ma è quello che è, ovvero il più grande Paese del mondo, ricco di risorse naturali, tecnologicamente molto avanzato e dotato di una potenza militare immensa, che, diversamente dagli USA, non usa spesso per affermare e garantire i propri interessi. A ben vedere, il presunto ‘fallimento’ di Borrell a Mosca, forse è solo maggiore lungimiranza e oggi dice cose accettabili e ‘controcorrente’ -molto meno scialbo della signora Federica Mogherini.
Posto che quella dichiarazione non sia un errore, il documento che il Consiglio UE si accinge a discutere la settimana prossima, va letto alla luce di essa. Cioè, conferma la posizione di ‘cortese terzietà’ dell’Europa nel conflitto con la Russia, pur se dalla parte americana. Insomma una posizione che può apparire ambigua, in realtà una situazione di negoziato permanente: gli USA non possono aspettarsi di ‘dire‘ e l’Europa ‘fare‘: dovranno negoziare. Mi ricorda il nostro Ugo La Malfa, quando vantava la propria ‘terzietà’ tra democristiani e comunisti, affermava che lui era sul crinale di una collina, attento ad impedire che i comunisti la superassero, ma non che la scalassero!
E la Russia, pur sottoposta a sanzioni (un po’ ridicole di questi tempi), può negoziare attraverso l’Europa. Ci tornerò su tutto ciò, ma, allo stato degli atti, a me sembra che la situazione sia questa. In sostanza una sorta di riposizionamento globale, perché il negoziato diretto che si è aperto in Svizzera tra Biden e Putin toccherà molte cose.
E qui il coltello dalla parte del manico lo ha Vladimir Putin. Mi spiego.
Gli USA hanno assoluta necessità non solo che l’Europa la finisca con quell’inizio di valzer con la Cina e la sua Via della Seta, propiziata dal ragazzotto di Pomigliano e dal furbastro di Parigi, e ciò sembrano sulla strada di ottenerlo. Ma hanno anche l’assoluta necessità di evitare che Putin si allei a doppio filo con la Cina. Può darsi che a Putin ora non ‘convenga‘ legarsi troppo alla Cina, ma può usare quella minaccia per ridurre l’aggressività americana.
Il clima da guerra fredda dell’incontro in Svizzera, ho l’impressione che sia il modo per iniziare un confronto adatto a mettere sul tappeto tutti i temi. Biden, infatti, di problemi da risolvere in termini di politica estera ne ha parecchi, a cominciare dalla situazione di Israele, dai rapporti con l’Arabia Saudita (e dal tentativo di quest’ultima di fare ‘saltare’ il regime giordano), dalla situazione in Iraq e, specialmente, nella Siria nord-orientale. Ma poi -e anche qui non credo che Biden abbia ancora fatto i conti con il ‘lascito’ della folle politica trumpiana- non è che l’America Latina -nonostante la presenza illuminante di Di Battista che ha lasciato a casa la cara Sahra alle prese con la spesa al supermercato per i due bambini- sia proprio un luogo di delizie.
Biden, in altre parole, di problemi aperti ne ha molti di più di Putin. E molto lascia pensare che la riaccensione della guerra fredda, e comunque della presenza estera degli USA, possa servire a coprire le grosse difficoltà di politica interna di Biden, che governa un Paese spaccato in due, con fermenti di razzismo incontenibili e gravemente provato dalla crisi del Covid-19.
Ciò che realmente è accaduto negli incontri di questi giorni, -dal G7, alla NATO, alla UE, e in particolare in questo in Svizzera- cominceremo a vederlo e capirlo fra un anno.
Quanto al timore espresso da Borrell sulla facilità russa di cercare di stringere accordi diretti con i singoli Stati europei, vanificando così una possibile coerenza di comportamenti europei verso la Russia, posto che credo sia un concitato ‘suggerimento’ di Biden, è una bistecca succulenta lanciata a Draghi e ai pochi politici europei (Frans Timmermans ad esempio, non certo la scialba Ursula van der Leyen!) capaci di pensare all’Europa e non a casa loro, grazie all’Europa.
Resta il fatto che sarebbe ora che il nostro Draghi, ci facesse capire dove pensa di portarci. Non vorrà mica che Enrico Letta lo definisca un autocrate!
Giancarlo Guarino- L’Indro