Un appello accorato alla nazione e un avvertimento: “Non ci sarà una quinta elezione in Israele, né un governo di centro-destra. L’unica strada possibile è il governo di unità, per il bene del paese”. Naftali Bennett, leader del partito ultranazionalista Yamina annuncia così, in diretta televisiva domenica sera, di essere pronto a dar vita a un esecutivo con il partito centrista Yesh Atid guidato dal premier incaricato Yair Lapid. Sebbene manchi ancora il voto della Knesset – dove la nuova coalizione, che unisce fazioni di destra, sinistra e del centro, deve raggiungere 61 seggi su 120 membri – l’ipotesi di un ‘governo del cambiamento’ riprende corpo. Ed è già una piccola rivoluzione. Perché se andasse in porto (il condizionale è d’obbligo) sarebbe il primo da 12 anni senza l’attuale primo ministro Benjamin Netanyahu. A due mesi dal voto (il quarto in due anni), dopo una ennesima guerra con Hamas nella Striscia di Gaza e gli inquietanti scontri tra ebrei e palestinesi nelle città miste, in Israele starebbe finalmente per nascere un nuovo esecutivo di unità nazionale. Ma ora la domanda è se il 71enne premier uscente – soprannominato “il mago” per l’abilità di ribaltare sempre il quadro politico a proprio favore – abbia ancora qualche asso nella manica.

GOLF_20210530151244914_bb85b6f68b4b293de93d4d8f2266ccb7-1151x768

 

L’accordo – riferiscono fonti non ufficiali – prevedrebbe una premiership a rotazione di due anni tra Lapid e Bennett, cominciando da quest’ultimo mentre Lapid diventerebbe ministro degli Esteri. Scaduto il biennio, i ruoli si invertirebbero. Incredibilmente, con soli 6 seggi in parlamento (due deputati gli hanno già voltato le spalle) Naftali Bennett potrebbe diventare il prossimo premier israeliano. Nella maggioranza di governo ci sarebbero, oltre a Yesh Atid di Lapid e Yamina di Bennett, anche New Hope dell’ex esponente del Likud Gideon Saar, Yisrael beiteinu della destra nazionaliste laica di Avigdor Lieberman, la coalizione centrista Blu e bianco di Benny Gantz, i laburisti e la sinistra di Meretz. Si arriverebbe complessivamente a 58 seggi ai quali, per ottenere la maggioranza necessaria a governare, si aggiungerebbe l’appoggio esterno di uno dei due partiti arabi. “Questa è la truffa del secolo”, ha tuonato Netanyahu attaccando il leader di Yamina per la scelta di appoggiare Yair Lapid. “Aveva detto in campagna elettorale che non avrebbe appoggiato Lapid – ha incalzato – di essere un uomo di destra, attaccato ai suoi valori. Naftali, i tuoi valori hanno il peso di una piuma”. Accuse alle quali Bennett ha subito replicato: “Quello con Lapid non solo non sarà un governo di sinistra come dice Netanyahu, ma sarà anzi più spostato a destra di quello attuale. Non faremo ritiri e non consegneremo territori”.

unnamed (1)

 

 

Pur avendo al suo interno partiti del centro e qualche esponente della sinistra, il governo ‘a staffetta’ tra Bennett e Lapid sarà inevitabilmente guidato dalla destra che occuperebbe gran parte dei ministeri ‘chiave’ secondo quanto anticipa oggi la stampa israeliana. Lo stesso Bennett, 49enne multimilionario del settore tecnologico, punto di riferimento della comunità dei coloni israeliani e convinto sostenitore della linea dura contro i palestinesi, è ideologicamente più vicino a Netanyahu che a Lapid, ex anchor della tv pubblica israeliana esponente della borghesia centrista. In passato ha dichiarato che la creazione di uno stato palestinese sarebbe “un suicidio per Israele”. Inoltre, a differenza di King Bibi, non è un leader carismatico che infuoca le piazze. Ma i partiti alla Knesset preferiscono lavorare con lui anziché con l’ex premier che, pur avendo conquistato 30 seggi alle ultime elezioni, non riesce a trovare alleati per una coalizione. Resta il fatto che, con differenze politiche così significative, una coalizione fatta apposta per spodestare Netanyahu dal centro della scena politica (è questa l’accusa che gli muovono i critici e lo stesso premier) potrebbe avere vita breve. Per questo, sono in molti a scommettere sul fatto che se andrà in porto, il prossimo esecutivo si concentrerà sull’economia e sulla pandemia, evitando questioni potenzialmente divisive e soprattutto mantenendo lo status quo nei confronti dei palestinesi. Come ha osservato Mossi Raz, un parlamentare di Meretz, alla radio pubblica israeliana: “Il governo proposto potrà fare molte cose buone. Ma non sono sicuro che un accordo di pace sia una di queste”.

knesset

Il sistema elettorale proporzionale in Israele difficilmente consente ad un singolo partito di ottenere voti sufficienti per formare un governo. Per questo, solitamente, gli esecutivi sono espressione di più forze politiche composte in una coalizione. Ma alla quarta tornata in due anni, sembra ormai chiaro che gli orientamenti, nella società israeliana, siano così radicati da aumentare la situazione di impasse. Dopo un primo giro di consultazioni affidato a Netanyahu, conclusosi con un nulla di fatto, Yair Lapid ha ricevuto un mandato di 28 giorni per formare un governo, quando i suoi tentativi sono stati bruscamente interrotti dal conflitto di 11 giorni a Gaza. Uno dei suoi potenziali partner nella coalizione, il partito arabo di orientamento islamista Raam, ha interrotto i colloqui a causa delle violenze. Lapid ha tempo fino al 2 giugno per concludere le consultazioni e trovare una maggioranza. “È ancora troppo presto per dichiarare la fine dell’era Bibi”, avverte Aluf Benn sulle colonne di Haaretz, “ma se il cambiamento arriverà, Netanyahu sarà stato rovesciato dagli ex alleati di destra, che ce l’avevano con la sua leadership”. Il loro tentativo di spodestare il protagonista indiscusso della politica israeliana degli ultimi decenni – sul cui capo pendono accuse e diversi processi per corruzione – ha le ore contate. Mercoledì scade il mandato esplorativo e poi si andrà alla Knesset per il voto di fiducia. Il nuovo governo potrebbe insediarsi entro una settimana. Un’eternità per la politica israeliana, in cui può ancora succedere di tutto.