Tra sceneggiate di piazza e vomitate via social c’è solo una certezza: a guadagnarci sarà solo Mattia Santori che al prossimo giro elettorale si è già garantito un seggio in Parlamento. Il giovane non è certo uno stupido: immagine studiatissima da “compagno impegnato” che piace tanto ai radical chic, capello al vento tenuto su da un nastro alla giamaicana, barba incolta, abbigliamento da contestatore stile sessantottino che sembra trasandato ma in realtà non lo è, il capo delle Sardine sta sfruttando astutamente lo stato di crisi e di depressione in cui è finito il Pd e il resto della sinistra cercando di ritagliarsi un posto di lavoro ben pagato… e la politica paga bene. E Santori questo lo sa benissimo.

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Ma andiamo con ordine. Dopo qualche mese di ibernazione pandemica le Sardine tornano sulla scena politica al capezzale di Zingaretti e del resto del Pd travolto da una disgrazia epocale causata della caduta del governo Conte bis e dalle recenti – e inaspettate – dimissioni del segretario. Sabato scorso è scattata “l’okkupazione”, termine caro ai compagni che guardano sempre con nostalgia agli anni della contestazione studentesca spesso violenta e anche assassina, della sede nazionale dei dem a Roma al Nazareno. Un presidio di fancazzisti, nullafacenti, doppiogiochisti e pseudo-adulatori, naturalmente capitanati da Santori, che si sono presentati con tanto di zaini, tende e sacchi a pelo pronti al bivacco infischiandosene delle restrizioni dovute all’emergenza sanitaria. Niente di più caro – una tale iniziativa stile rètro – alla retorica “de sinistra” più radicale e nostalgica di un bivacco con gente colorata che mangia e dorme per terra e un programma con scritto: “a oltranza”.

“Ci siamo stancati di una politica fatta sugli schermi e nei salotti. Noi facciamo parte di un campo progressista e chiediamo che si apra una fase costituente, non per il Pd o per le Sardine, ma per migliaia di persone che da anni aspettano”, dice ai microfoni dei cronisti Santori con tanto di maglietta rossa. Così i militanti delle Sardine hanno dunque trovato nuovo ossigeno dalla decisione di Nicola Zingaretti di abbandonare la segreteria di un partito allo sbando, privo di identità, diviso da lotte intestine  dove quello che conta è esclusivamente la ricerca di posizioni di potere. Le Sardine giocano quindi in attacco e colpiscono senza sconti un partito considerato in balia delle correnti e lontano dalla società civile.

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Sostenere il segretario dem è quindi la parola d’ordine. Del resto la vicinanza delle Sardine a Zinga – come ai Benetton e al loro fido Toscani – è cosa nota. Fu infatti proprio il numero uno del partito, ormai ex, a seguire e sostenere tra i primi il movimento nato in funzione anti-Salvini consapevole del fatto che il Pd non è più in grado di muovere ed entusiasmare le piazze. E proprio su questa considerazione viene naturale una riflessione: che il Pd con la propria storia sia stato costretto ad affidarsi a questi scappati di casa che si fanno chiamare Sardine per tentare di recuperare parte del consenso perduto significa che deve essere proprio al giunto copolinea.

Il raduno nella capitale era stato lanciato ovviamente dal “Che Guevara de noantri”  sulla pagina Fb del gruppo sardinato: “Pensate quello che vi pare, ma la crisi del PD è la crisi del centro sinistra, una crisi che ci riguarda e che vi riguarda anche se la politica vi fa skifo o vi ha stancato. Datemi del pazzo ma ho visto troppa bellezza quest’anno per riuscire a rassegnarmi”.

Insomma, sono state sparate le solite banalità, le solite noiose ovvietà trite e ritrite. L’importanza della partecipazione nella dinamica politica, bisogna metterci la faccia, l’urgenza di ridare slancio alla sinistra “aprendo le porte a tutti, perché fuori c’è un mare di bellezza”, sostiene “CheSantori”. La fiera della mediocrità per certi versi addirittura imbarazzante è andata perciò in scena nel cuore di Roma. Il trionfo della retorica sinistrorsa è tornata alla ribalta.