Maggioranza litigiosa, Governo sfarinato, opposizione incerta e confusa. Pochi sembrano rendersi conto di come, ormai, la corda tirata dia segni di preoccupante logoramento
Logoro il copione, prevedibili le parti che recitano i vari attori, spesso comparse ridotte a urlare la battuta nella speranza di esser notati. Un Matteo Renzi che non si rassegna al suo ruolo marginale e ‘brontola’ la sua frustrata insofferenza verso Giuseppe Conte; un Nicola Zingaretti, che non sa come rendere più ‘incidente’ il Partito Democratico, prigioniero com’è di quella ‘governabilità’ di cui non può fare a meno, e che sempre più è una sorta di garrota che lo strangola; un Luigi Di Maio che vorrebbe essere leader e deve accontentarsi degli apprezzamenti di un Renato Brunetta: il Movimento 5 Stelle ormai è un coacervo di schegge impazzite senza arte né parte, ognuno per sé e nessuno per tutti. Quanto all’opposizione, all’apparenza una, in realtà trina, conferma il beffardo epigramma di Giulio Andreotti: il potere logora chi non ce l’ha. Giorgia Meloni, Matteo Salvini, Antonio Tajani sono l’equivalente politico de ‘Three Stooges’: goffi come i tre marmittoni, con la differenza che non fanno ridere.
Uno scenario nel quale Conte dovrebbe/potrebbe primeggiare agevolmente; non fosse che anche lui, nonostante le favorevoli congiunture, ogni giorno mostra i sui limiti e le sue lacune. Non sa far tesoro a sufficienza dei ‘consigli’ che da varie parti gli sono discretamente arrivati, a cominciare dal Quirinale.
Conte si è specializzato in quella particolare tecnica ciclistica che è il surplace. Peccato che da mesi si sia in attesa del successivo scatto di velocità che il rimanere fermi in equilibrio presuppone…
Il 9 dicembre l’Esecutivo deve passare le forche caudine del voto parlamentare sulla riforma del fondo salva Stati Mes. Il Presidente del Consiglio ostenta ottimismo, e probabilmente ha qualche ragione. Nonostante Zingaretti e i suoi sodali esprimano preoccupazione, non è interesse vero di nessuno aprire la crisi con sbocchi inevitabili: elezioni anticipate. Il continuo abbaiare ‘al lupo al lupo’ di Renzi è palese manifestazione di impotenza; i ‘disobbedienti’ pentastellati e le assicurazioni minacciose di Di Maio («andrà bene», «non è responsabile votare contro»; «chi vota contro è fuori dal Movimento»), rivelano più che altro una lotta al coltello tra varie fazioni che da tempo si affrontano. le une contro le altre armate.
Tutti sono consapevoli che andare a votare con questa legge elettorale è come spararsi un colpo di Magnum 44 alla gola; tutti trescano e brigano per inquinare pozzi e rimpolpare i rispettivi carnieri, in vista di future, prossime, spartizioni. Pochi sembrano rendersi conto di come, ormai, la corda tirata dia segni di preoccupante logoramento. Al Senato la maggioranza ufficiale è appena a un pugno di voti; ma sono pronti ad arrivare in soccorso dei ‘volenterosi’ come la senatrice Paola Binetti: per senso di responsabilità, pur essendo all’opposizione, questa volta unirà il suo voto a quello della maggioranza. Altri sono pronti a seguire il suo esempio. Proprio questo ‘soccorso’ è il sintomo di uno sfarinamento progressivo e vistoso.
Lo stesso Conte, si recente, ha ammesso a denti stretti che l’Esecutivo è «un poco in ritardo». Mes a parte, il vero banco di prova del governo sarà, passate le feste, il piano vaccinazione.
E’ perfino tautologico: ripresa economica ci potrà essere solo se si contrasterà e limiterà la pandemia; e il Covid-19 lo si sconfigge solo con il vaccino.
Gli esperti fanno sapere che il modello-guida è quello tedesco. Il fatto è che nei lander tedeschi esiste una rete capillare ed efficiente di strutture ospedaliere che la maggior parte delle regioni italiane si sogna. Per adesso si è assistito ad un avvilente, per tanti versi sconcertante, rimpallo di responsabilità con relative accuse tra vari poteri ed istituzioni centrali e regionali. Palazzo Chigi e le Regioni hanno fatto a gara a chi primeggia in quello che sembra essere lo sport nazionale, quello dello scaricabarile.
Arriverà pure il giorno in cui si dovrà decidere dove, quando, come recapitare i milioni di vaccini che si vogliono stipare nei capaci capannoni della caserma di Pratica di Mare. I ‘governatori’, oggi, possono levare le loro voci di dissenso, quando da Roma si decreta la chiusura di una Regione, in modo che l’elettore ritenga responsabile del provvedimento il Governo centrale e con lui invii strali e ‘pensieri’. Ma quando verrà il momento di predisporre campagne persuasive per la vaccinazione e indurre il maggior numero di persone all’immunità, questo giochetto di rimpallo non sarà più praticabile.
Il vero banco di prova sarà il piano per rendere efficace la sospirata vaccinazione di massa, e riguarderà Palazzo Chigi, i ministeri interessati, le Regioni, i Comuni.
Franco Locatelli, Presidente del Consiglio Superiore della Sanità, assicura che «si sta lavorando in maniera intensiva su come sviluppare il piano per la vaccinazione nel minore tempo possibile». Di regola, il gerundio non è rassicurante. O si lavora, o non si lavora; comunque ha ammesso un qualcosa che risulta evidente anche a chi non vede: che «ci sarà bisogno di uno stretto rapporto tra Governo e Regioni». Ammissione indicativa: se ci sarà, significa che finora non c’è.
Questo dovrebbe costituire fonte di preoccupazione dei vari leader e leaderini, senza distinzione di maggioranza e di opposizione. Si comportano, al contrario, come i manzoniani capponi di Renzo. La differenza è che il risultato del loro beccarsi lo si patisce noi.
Di certo, c’è l’incertezza e la confusione. Il leader di Forza Italia Silvio Berlusconi ‘convince’ il centrodestra a votare con la maggioranza a favore dello scostamento di bilancio; trascorrono sette giorni ed ecco che si allinea con Salvini e Meloni contro la riforma del fondo salva-Stati; si registrano il gioco al massacro del Movimento 5 Stelle, i nervosismi e le fibrillazioni del PD; Renzi che vuole imporre le sue ‘grida’ e, lavora per riservare a Conte lo stesso trattamento riservato ad Enrico Letta; solo che sette anni fa era il segretario del PD, ora di una pattuglietta di sparuti parlamentari timorosi di sparire.
Difficile sapere cosa passi per la testa dei vari Di Maio, Renzi, Zingaretti. Più facile capire cosa vuole e va Conte: vuole ad ogni costo arrivare a fine legislatura, poi Dio e Padre Pio (a cui si dice devoto), provvederanno.
Intanto si discute ancora sul che fare dei 209 miliardi del Recovery Fund; dovevano cambiare il Paese nel profondo; ancora da definire i preamboli… Abbondano comitati e task force; centinaia di consulenti e tecnici, consiglieri non si capisce e non si sa bene di cosa; le scelte, le priorità, le decisioni sono (dovrebbero essere) qualcosa che compete alla politica, e in particolare a chi si è assunto il compito di esercitare un’azione di governo. Per governare, tuttavia, oltre la volontà, occorre una cultura di governo; non si improvvisa, perché non è vero che ‘uno vale uno’; e si può mediare e smussare fino a un certo punto. Anche l’ars andreottiana, per quanto guantata di velluto e avvolta nella romanesca ironia, al dunque si assumeva responsabilità e curialmente esercitava un energico potere. Nulla a che vedere con il barocco fraseggio di Conte, nuvole di fumo che cela miseri arrosti.Non ci sono riforme, perché è carente una cultura delle riforme. Non si nuota, si galleggia. Le tonnellate di pagine dei documenti governativi non esprimono una sola riforma degna di questo nome, per la semplice ragione che non si è riformatori né si ha l’ambizione di esserlo. Si sono avvelenati con determinazione e sagacia tutti i pozzi possibili, quelli che un tempo erano chiamati i ‘corpi’ intermedi tra luoghi istituzionali e cittadini: partiti e sindacati, centri studi e luoghi di confronto e dibattito. Ora si dialoga a suon di tweet.
Giorgio Gaber canta che «un’idea, un concetto, finché resta un’idea, è soltanto un’astrazione…»; ma oggi perfino l’astrazione è venuta meno…
I sondaggi (quelli che si tengono riservati e non usati come strumenti di propaganda e polemica), avvertono che c’è una grande sfiducia nei confronti dell’intera classe politica; l’eccezione è costituita dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Il suo pacato, sobrio esercizio delle prerogative e dei doveri presidenziali riscuote il plauso della maggioranza degli italiani. Un punto fermo, nel ribollire di tante incertezze. Purtroppo, rischia di essere l’unico.
di Valter Vecellio