Quasi duemila contagi tra detenuti e agenti, ma c’è un sommerso inimmaginabile
Quando si parla di carcere e dei suoi enormi problemi, ascoltare Francesco Ceraudo, pioniere della medicina penitenziaria, Presidente del Consiglio internazionale dei servizi medici penitenziari, e già Direttore del centro clinico di Pisa è imprescindibile. Ceraudo ha le idee chiare: “L’Iran e la Turchia, non proprio un esempio di democrazia, hanno rilasciato i propri detenuti. Perché dobbiamo essere più khomeinisti degli ayatollah? La politica deve saper recuperare in un momento così grave e oscuro la dignità, la forza e il senso di responsabilità che le dovrebbe competere. Governo e Parlamento devono avvertire la sensibilità di intervenire prima che sia troppo tardi per ridurre drasticamente la popolazione detenuta attraverso qualsiasi intervento di legge che sia aderente alla nostra Costituzione e alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo”.
L’amnistia e l’indulto, insomma, come atto significativo di medicina preventiva. Le curve dei contagi e i dati sempre più allarmanti che arrivano dagli istituti di pena, rendono questi due provvedimenti questione anche di tipo strettamente sanitario. Ricorda Ceraudo: “L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha stilato precise linee di comportamento per prevenire e controllare la diffusione del Coronavirus nelle carceri. Tra queste assume un significato particolare il distanziamento che prefigura l’abitudine a stare ad almeno un metro di distanza. Questo non può essere assolutamente assicurato in carcere in preda a un cronico sovraffollamento, mentre è forte la difficoltà di rispettare accuratamente le norme igienico-sanitarie e le opere di sanificazione degli ambienti”.
Le carceri costituiscono delle bombe epidemiologiche. Vi è di fatto l’impedimento di approntare opportunamente degli spazi idonei per l’isolamento dei contagiati e la quarantena delle persone entrate in contatto con i contagiati. Pertanto devono essere messe in atto, con estrema urgenza, politiche deflattive, laddove le misure alternative al carcere devono trovare un legittimo riconoscimento.
Ceraudo soppesa con attenzione le parole: “Il sovraffollamento carcerario al momento attuale si configura come una sorta di tortura ambientale e rende tutto più difficile e aleatorio. Sovraffollamento e promiscuità in ambienti fatiscenti sono gli elementi di una miscela esplosiva. Le celle piene di detenuti, con letti a castello fino a rasentare il soffitto, rassomigliano sempre più a porcilaie, a canili, a polli stipati nelle stie. Umanità ammassata, promiscuità assoluta che confonde e abbrutisce, unisce e divide, distrugge ogni rispetto, riservatezza e intimità e condanna inesorabilmente a una disperata solitudine”.
Inoltre, aggiunge, “in carcere continuano a entrare a ritmo incalzante tossicodipendenti, extracomunitari, disturbati mentali, emarginati sociali, una fetta di umanità ferita e debole. Ora, come era facilmente prevedibile, siamo costretti a riscontrare il dilagare del Covid tra la popolazione detenuta e tra gli agenti di polizia penitenziaria e a contare, purtroppo, i primi detenuti deceduti. Temo che esista un sommerso che supera ogni immaginazione”.
Vediamo la situazione: quasi duemila i contagi tra detenuti e agenti. Il primo bollettino ufficiale del Dipartimento per l’Amministrazione Penitenziaria,con i dati del 22 novembre, segnala che i detenuti positivi sono 809: 766 asintomatici, 27 sintomatici curati in carcere, 16 ricoverati. Tra il personale i positivi sono 969. Attualmente il totale di detenuti nelle carceri è in lieve diminuzione: 53.723 detenuti. Comunque troppi, per i 47 mila posti nel 192 istituti.
di Valter Vecellio