A due settimane dal voto: M5S nel marasma; la leadeship di Salvini dentro la Lega messa in discussione; Italia viva di Renzi ai punti; Azione di Carlo Calenda idem; Più Europa, stesso discorso. Ora il Governo sarà inamovibile
Goffredo Bettini, il gran consigliere del Segretario del Partito Democratico Nicola Zingaretti, lo dice chiaro e tondo: «Il Movimento 5 Stelle deve diventare adulto, scegliere da che parte stare». In più di un’intervista e intervento, Bettini sfoggia il duro linguaggio dell’iper realismo: non ha senso discutere di quello che ci piace, ma di quello che è possibile fare. I numeri, spiega, danno tre possibilità: si rafforza e si dà un senso all’attuale governo PD-M5S e minori, e il movimento di Beppe Grillo si comporta di conseguenza; si torna alla maggioranza precedente: M5S-Lega; si va a elezioni anticipate.
Scartata l’ipotesi di una nuova liason tra Matteo Salvini e Luigi Di Maio, improbabile anche l’ipotesi di elezioni anticipate. Per una ragione molto terra-terra: almeno metà degli attuali parlamentari sanno che non verranno neppure ricandidati; poi, grazie al referendum vinto dai SI, scatta la riduzione degli eletti. Umano che chi è approdato a Montecitorio e palazzo Madama, sapendo che quella sarà l’unica e ultima sua legislatura, la voglia fare fino all’ultimo giorno. Ma non ci sono solo questi motivi diciamo così ‘personali’.
Ci sono anche ragioni più ‘nobili’: il Paese vive una crisi di cui non si vede la fine, e non solo per via del Covid, che pure ci mette tanto del suo. E’ proprio l’economia in generale che non ingrana, e l’autunno/inverno non fa pensare che ci saranno inversioni di rotta. Per milioni di persone saranno ancora giorni, settimane, di sangue, sudore e lacrime. Il denaro promesso da Bruxelles chissà quando arriverà, e come verrà impiegato. L’Europa di sicuro non vede di buon occhio una crisi dell’Esecutivo; soprattutto la cosa non sarebbe gradita alle Borse, già in fibrillazione per le turbolenze legate agli Stati Uniti e allo stato di salute del Presidente uscente e chissà se rientrante…
Ci sono ragioni di politica politicante: votare con l’attuale legge elettorale, lo certificano tutti i sondaggi demoscopici, vedrebbe l’affermazione di una maggioranza netta di centro-destra. Ma sempre targata centro-destra sarebbe la maggioranza che emergerebbe con il peraltro ancora fumoso sistema elettorale che si auspica.
Il M5S ne uscirebbe schiantato. Il PD terrebbe in qualche modo; si assisterebbe a un rimescolamento di carte all’interno del centro-destra, con voti della Lega e di Forza Italia che trasmigrano in Fratelli d’Italia, ma la coalizione nel complesso ne uscirebbe intatta, forse con qualche ulteriore incremento. Dunque, per tante ragioni, anche la strada delle elezioni anticipate sembra essere improbabile.
Un po’ tutti hanno interesse ad arrivare a una conclusione ‘naturale’ della legislatura, e con il Governo presieduto da Giuseppe Conte.
Oltre alle ragioni già elencate, ce ne sono poi di potere concreto: non è ancora finito il valzer delle nomine. Prima o poi si affronterà il nodo dei componenti del Consiglio Superiore della Magistratura di spettanza del Parlamento. Stesso discorso per i componenti della Corte Costituzionale; infine, la carica più ambita, quella del Quirinale. Un conto eleggere il successore di Sergio Mattarella con gli attuali equilibri parlamentari, altro con un Parlamento a netta maggioranza di centro-destra.
Ecco perché, pur non rispecchiando gli umori e il ‘sentire’ del Paese, in tanti –PD per primo– hanno tutto l’interesse a perseguire la politica del ‘Quieta non movere et mota quietare’, cercare di non agitare ciò che è calmo, cercare di calmare quello che è agitato.
Ecco perché Zingaretti si affanna in appelli ‘unitari’: «Mi rivolgo agli alleati, con il cuore e con la testa, a tutti gli elettori e a tutte le elettrici che sostengono l’alleanza di governo: a tutti loro dico che ora è il tempo dell’unità».
Al momento, tuttavia, quello che può fare è stare a guardare. Nel campo del principale alleato, il M5S, è in corso un gioco al massacro che rivela soprattutto la miopia politica e la mancanza di visione dei maggiori leader del movimento.
Alessandro Di Battista, fattivamente spalleggiato dal padrone di Rousseau, Davide Casaleggio, ha dato il via a una guerriglia all’interno del movimento senza esclusione di colpi. Cosa proponga e cosa pensi debba fare il Movimento non è ben chiaro. Dopo aver dipinto l’alleanza con il PD come «la morte nera» propone un recupero di valori del Movimento che sono quanto di vago e inconcludente ci possa essere: rivendica una ‘purezza’ delle origini che ha il sapore dell’anacoreta. Collocarsi alla sommità di una colonna, come un monaco stilita è operazione sterile che certamente anche Di Battista comprende. Dunque, la sua (e quella di Casaleggio), è una battaglia tutta interna al movimento, per strappare l’egemonia (molto appannata, del resto), di Di Maio. Grillo, al momento, si tiene fuori, probabile che si sia reso conto di aver dato vita a un Golem che non riesce più a controllare.
Sul versante opposto, come da tempo previsto e prevedibile, cominciano ad accendersi le micce di un altro scontro, quello all’interno della Lega.
Nessuno contesta apertamente il ruolo di front runner di Matteo Salvini. Però Luca Zaia si gode pacioso il suo straordinario successo elettorale. Proconsole del Veneto (che storicamente è sempre stato antagonista della Lega di caratura lombarda, fin da quando il capo era Umberto Bossi), si muove cauto e prudente, consapevole del suo peso e della sua influenza. Un volto rassicurante che in questi ultimi giorni si è anche visivamente alleato con l’altra eminenza grigia del Carroccio: quel Giancarlo Giorgetti che mai ha condiviso la politica irruenta di Salvini inaugurata con la crisi del Papeete, e anche prima, da Ministro dell’Interno che chiedeva nientemeno che ‘i pieni poteri’.
Giorgetti dice chiaro, soprattutto ai suoi e a Salvini innanzitutto, che la Lega deve mutare rotta: in Europa e in Italia; e deve collocarsi al ‘centro’ dello schieramento politico, sostituendosi alla logora Forza Italia; un riposizionamento che –valuta– è l’unico modo per contenere e contrastare i Fratelli d’Italia, non meno sovranisti, ma dotati di una classe dirigente più smaliziata e capace, ereditata dalla vecchia Alleanza Nazionale.
Anche se meno appariscente, anche nella Lega è in corso un confronto/scontro che sarà interessante seguire; anche perché al di là della ‘sfilata’ a Catania, dove i leghisti si sono stretti attorno al loro capo, chiedendo di essere tutti processati, le vere insidie, sul piano giudiziario, non vengono da là. Piuttosto dalla procura di Milano, che qualche osso deve averlo addentato, e non mancherà di triturarlo.
L’ultima nota, ma è poco più che un dettaglio da registrare: l’evidente confusione e imbarazzo che regna tra i seguaci di Matteo Renzi. Aveva ragione Romano Prodi quando, con la perfidia di cui è capace un vecchio democristiano, aveva definito Italia viva uno yogurt scaduto. Renzi, al pari di Più Europa di Benedetto della Vedova ed Emma Bonino, ha fatto l’errore di contarsi alle ultime elezioni amministrative, e di rivelare come nello scacchiere politico conti quanto il due di coppe quando a briscola comanda bastoni. Già cominciano i primi fuggi-fuggi e ritorni al PD. A Renzi non resta che tornare a fare quello che ha sempre fatto: la rana che si gonfia. Lancia ultimatum: «Nuovo contratto per rafforzare il governo. Ci entri un big del PD. Tocca a Zingaretti o al limite a Orlando. Non è in discussione Conte, ma servono scelte su Mes, Ilva Autostrade, Recovery e legge elettorale». Psicanalisti e psicologi parlerebbero di ego ipertrofico.
Una considerazione finale, dedicata a chi sostiene che col voto non cambia mai nulla, e che è inutile: 1) M5S nel marasma. 2) la leadeship di Salvini dentro la Lega messa in discussione. 3) Italia viva di Renzi ai punti. 4) Azione di Carlo Calenda idem. 5) Più Europa, stesso discorso. Si potrà obiettare che si è sempre nell’ambito della politica politicante. Ma questo é. E comunque, si è votato solo per alcune Regioni…
di Valter Vecellio