Un verminaio dove tutti sono coinvolti
Complice le votazioni per il referendum sulla riduzione dei parlamentari, e per la presidenza di alcune regioni, scivola tra l’indifferenza dei più, e il silenzio dei tanti, una questione importante: il caso Palamara. Questione che postuma una serie di interrogativi che si tende ad eludere, e sono questioni relative alla sconcertante gestione di questa vicenda da parte dell’Associazione Nazionale dei Magistrati e del Consiglio Superiore della Magistratura.
Vicenda che il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, nella sua veste di presidente del CSM, certamente segue con attenzione; delicata, insidiosa; deve necessariamente vedere un qualche suo intervento, anche se non mi azzardo certo a dire come, e quando.
Accade questo: Luca Palamara, un tempo potente e influente presidente dell’Associazione Nazionale dei Magistrati, viene espulso dal sindacato, perché colpevole di “gravi violazioni etiche”. Solo che sono gravi violazioni per ora presunte: la procura di Perugia, competente per i reati che possono aver commesso i magistrati romani, ancora non si è pronunciata; ancora aperta la pratica al CSM: Palamara chiede che siano ascoltati un certo numero di testimoni a sua difesa; la lista presentata viene falcidiata dal CSM, con motivazioni a dir poco pretestuose. Hanno fretta di chiudere; si può intuire la ragione di questa fretta, molto poco nobile; comunque, al momento, non hanno ancora emesso alcun verdetto.
Sabato scorso a Roma, l’assemblea dell’associazione dei magistrati. Palamara chiede di poter intervenire. Lo fanno parlare. Palamara non respinge le accuse, ma rilancia: parla di “imperante, straripante, generale, clima di sfrenato carrierismo”. Alla sua porta in tanti hanno bussato, e avuto. Snocciola nomi, situazioni, episodi…
Non nega i rimproverati rapporti con la politica emersi dalle intercettazioni telefoniche e ambientali. Ci sono stati, e c’erano prima di lui; alla luce del sole; tutti sapevano. Lui non ha inventato nulla. Ma come, la tanto fieramente rivendicata autonomia e indipendenza dei magistrati? Evidentemente, va a corrente alternata: quando la politica serve, eccome se ci si sporca dita, mani, braccia.
Palamara parla di ‘sistema’, ben oliato, conosciuto, praticato. In quanto alla professionalità, al ‘merito’, conferma una verità conosciuta: quando si tratta di scegliere chi collocare nei posti apicali della magistratura, la lottizzazione è ‘normale’: i beneficiati appartengono alle varie correnti che compongono l’ANM. Pazienza per chi non ne fa parte…
Accusato, ma anche accusatore, comprensibile che Palamara non ci stia a fare da capro espiatorio. Chiede che l’associazione magistrati sospenda il giudizio, in attesa almeno della pronuncia del CSM. Niente da fare: di tutta evidenza che la decisione è già presa: espulso alla quasi unanimità: su 113 votanti, un solo astenuto e uno solo a suo favore.
Un ‘sistema’. Palamara in questo ha ragione. Al di là delle individuali responsabilità, il nodo è questo: lo ‘sfrenato carrierismo’; le ‘correnti’ che spartiscono, lottizzano. Poi certo: come s’usa dire, non bisogna fare un fascio di tutte le erbe; va separato il grano dal loglio. Resta il fatto che l’affare Palamara è una pietra sollevata, sotto la quale si agita uno sconcertante e avvilente verminaio.
“Una vicenda”, dice l’attuale Presidente Luca Poniz, “che ha provocato conseguenze drammatiche, ed innescato una crisi profonda, oltre alla già percepibile, gravissima perdita di credibilità del nostro ruolo, con ciò che esso significa nel rapporto tra giustizia e cittadini”.
Il punto è perfettamente colto: la “gravissima perdita di credibilità” del ruolo del magistrato agli occhi dei cittadini. Recuperarla non sarà semplice, non sarà facile. E’ una questione di “sistema”. Non basta certo espellere, come si è fatto, Luca Palamara. Finora si sono adottati rimedi che sono perfino peggiori del male che intendono curare.
Una storia, ora, che dovrebbe scandalizzare: per primi il presidente del Consiglio, il ministro della Giustizia, il ministro delle Finanze. Chissà, forse qualcuno avrà un sussulto di dignità e farà qualcosa.
Questi i fatti: Napoli. Esce sul balcone di casa per richiamare il fratellino, sceso in cortile durante i festeggiamenti di Capodanno; muore colpito in pieno da un proiettile vagante. Si chiamava Nicola Sarpa, professione pizzaiolo, anni 24 anni. Lo uccidono nei primi minuti del 2009, undici anni fa. Il colpo è esploso da Emanuela Terracciano, figlia di Salvatore ‘o nirone, boss della camorra dei Quartieri Spagnoli.
Undici anni dopo per la famiglia di Nicola, costituitasi parte civile nel processo che ha condannato a circa 10 anni per omicidio volontario ma con dolo eventuale, l’atroce beffa: una cartella esattoriale con richiesta perentoria di 18.600,89 euro. Li esige l’Agenzia delle Entrate. La “colpa” della famiglia di Nicola è di essersi costituita parte civile nel processo contro Emanuela Tarracciano, condannata al risarcimento, ma risultata nullatenente.
Dunque, come dice il legale della famiglia Sarpa, “per la giustizia italiana a pagare spese e tasse processuali deve essere questa sfortunata famiglia della vittima innocente uccisa dalla criminalità“.
L’assassina, condannata in via definitiva dalla Cassazione ad otto anni di reclusione e al risarcimento dei danni, risulta nullatenente e non pagherà; ai familiari della vittima oltre al danno irreparabile della morte del figlio l’atroce beffa di dover pagare spese e tasse di registrazione con il pericolo di perdere ogni altro bene a seguito espropriazioni esattoriali.
Una VERGOGNA. Senza ‘se’, senza ‘ma’.
di Valter Vecellio