La kermesse di Villa Pamphili voluta dal Presidente del Consiglio è democraticamente e istituzionalmente assai discutibile in quanto taglia fuori il Parlamento. Ma è soprattutto inutile. Tra gli invitati mancano le opposizioni e personaggi in grado di fornire consigli veramente utili per il futuro economico dell’Italia.
La scelta dei cosiddetti Stati Generali, voluti e organizzati da Giuseppe Conte, è infelice già nel nome. Gli Stati Generali a cui s’ispira il premier erano un’istituzione feudale che riuniva in consessi separati clero, nobili e rappresentanti di città e campagne, ma avevano un potere puramente consultivo e solitamente finivano con il dare ragione al sovrano grazie al voto congiunto di preti e nobili.
L’unica volta in cui, nel 1789, il “terzo stato” s’impuntò pretendendo la trasformazione degli Stati Generali in Assemblea Nazionale l’istituzione venne sciolta aprendo la strada a quella Rivoluzione che portò Luigi XVI alla ghigliottina. Dunque sia che s’ispiri agli Stati Generali garanti del potere del sovrano attraverso le elite di clero e nobiltà, sia che guardia gli Stati Generali precursori della Rivoluzione Giuseppe Conte rischia di non andare troppo lontano. Ma forse è proprio l’illusione d’essersi trasformato da“avvocato del popolo” – come si definì lui stesso all’inizio del primo mandato – in “sovrano illuminato” ad alterarne la visione politica inducendolo a organizzare la kermesse di villa Pamphili.
Una kermesse impropria istituzionalmente, democraticamente assai discutibile e sostanzialmente inutile dal punto di vista pratico. Il primo a non vederla di buon occhio è quel Presidente della Repubblica da cui dipende la sopravvivenza di Conte e del suo governo. Mattarella, nonostante l’ufficiale riserbo, fa trapelare il fastidio per un’iniziativa presa al di fuori di un Parlamento che rappresenta costituzionalmente l’unico guardiano e l’unico possibile ispiratore delle scelte di governo. Soprattutto se queste riguardano iniziative di stampo economico il cui requisito fondamentale è la copertura finanziaria. Esattamente l’incontrario di quanto avverrà negli Stati Generali di Villa Pamphili. Lì Conte sottoporrà i suoi piani per l’impiego dei fondi promessi, ma non ancora messi a disposizione dall’Unione Europea, ad una variegata platea in cui spicca innanzitutto l’assenza delle opposizioni.
Ovviamente Conte non mancherà di imputare quell’assenza a Giorgia Meloni, Matteo Salvini e Antonio Tajani colpevoli d’aver rifiutato il suo invito. Un invito in cui, oltre a mancare qualsiasi indicazione sugli argomenti da trattare,non si spiegava la necessità di discuterli in una sede esterna a quel Parlamento. Anche perché le Commissioni economiche di Senato e Camera sono, grazie all’esperienza delle pregresse leggi Finanziarie, le più titolate a giudicare la correttezza di un progetto economico.
Il paradosso più singolare della kermesse di Villa Pamphili sono però gli interventi in videoconferenza della presidente della Commissione Europea Ursula von derLeyen, di Kristalina Gheorghieva, direttrice del Fondo Monetario Internazionale e, quello assai in forse, della presidente della Bce Christine Lagarde. Con questi interventi Conte punta a conferire una patina d’internazionalità alla giornata di apertura degli Stati Generali. Il risultato rischia però di rivelarsi grottesco. E non solo perché l’Europa non ha ancora deciso se, e come, darci i soldi del Recovery Fund, ma soprattutto perché le tre invitate rappresentano la solita vecchia troika e sono quindi le tre parche pronte a filare le condizioni e i limiti imposti al nostro paese nell’utilizzo degli aiuti.
Al di là dell’opportunità politica di affidarsi a quel terzetto c’è da chiedersi quanto valgano il loro giudizio e i loro consigli. Christine Lagarde non è una economistaha difeso , ma un avvocato arrivato a guidare il Fondo Monetario Internazionale prima e la Bce poi senza essere mai passata per i vertici di un istituto bancario. La sua totale inadeguatezza emerse nel discorso di esordio alla Bce quando, nel pieno della pandemia, minacciò di cancellare tutte le pregresse politiche di Mario Draghi per il contenimento dello spread causando un crollo delle borse europee.
Ursula von der Leyen, un politico di medio livello abituata in Germania a eseguire gli ordini di Angela Merkel, ci ha messo mesi per capire la gravità della pandemia e non è riuscita, ad oggi a varare delle effettive politiche per la ripresa europea. Già dal primo giorno gli Stati Generali rischiano insomma di rivelarsi una semplice rimasticatura delle promesse e dei dubbi sull’Italia già ripetuti decine di volte dagli euroburocrati di Bruxelles. Il tutto senza nemmeno ascoltare la voce dell’unico vero esperto italiano ovvero quel Mario Draghi che dai vertici della Bce ha difeso gli interessi dell’Italia e contenuto gli egoismi della Germania. Ma ovviamente per lui nel giro tondo di villa Pamphili non c’era posto. Anche perché basta il suo nome a mettere di cattivo umore Giuseppe Conte e ricordargli che da Presidente del Consiglio non c’è mai da star sereni.
di Gian Micalessin