Il premier scrive il libro dei sogni, non l’ha mica capito che i soldi ci saranno solo se ci sono progetti, opere da realizzare, iniziative economiche attendibili.
Magari uno può passare per acido e quindi la cosa migliore da farsi in questi casi è mettere subito su carta la frase acida, così ci si toglie il pensiero e si passa alle cose serie, qualora ve ne siano. E dunque l’altra sera, la visione, invero fuggevole perché avevo altro da fare e non potevo dedicare ore alla conferenza stampa e al narcisismo onanistico e autoreferenziale di Enrico Mentana, la visione dicevo di pochette Giuseppe Conte, premier-avvocatodelpopolo-difensore-dell’italico-onore, con una candida pochette nel taschino, stagliato sullo sfondo del porticato di Palazzo Chigi, in piedi col leggio davanti come Trump, mi ha fatto pensare ad altri, anzi, ad un altro.
Certo, anche l’occhio umido, l’atteggiamento allusivo e fascinosamente assertivo della sua avvenenza, il gestire ampio e pensoso, il dito picchiato sulle carte del leggio, mi faceva pensare ad altri, anche se Bestetti non veniva citato. Ma quando ha cominciato a elencare le ferrovie ad alta velocità, che velocemente attraversavano l’Italia in lungo e in largo, perfino da Messina a Palermo e da Trento a Taranto -benché nessuna da Cagliari ad Alghero forse per punire i sardi del loro rifiuto di accettare milanesi pieni di virus- per non parlare delle autostrade, delle strade, delle vie d’acqua, dei sentieri che si stendevano nella sua descrizione come i vasi capillari nell’intera penisola, mi ha fatto scattare, vivida, l’immagine di un altro tale, assiso ad una scrivania ‘antica’ allestita per lui da Bruno Vespa a mostrare la nuova Italia disegnata in una grande carta a colori alle sue spalle, che mentre lui parlava si colorava sempre di più, ma forse arrossiva visto come è andata a finire.
Forse è perché sono vecchio, ma la somiglianza era talmente verosimile e vivida, che ho spento subito, preoccupato per la mia sanità mentale: avevo le allucinazioni, credevo di vedere cose e di sentire parole, non era possibile. Poi ieri mattina sui giornali (a Palazzo Chigi non usano trascrivere le sbrodolate del ‘premier’, diversamente dal Quirinale, dove però si tratta sempre di poche righe) ho letto e trovato conferma. Non ero impazzito, avevo sentito davvero.
Quando poi ho visto, ho letto, che quello che a me era sembrato appunto un incubo era vero, che, cioè, ha parlato anche del ponte sullo stretto di Messina (per fare piacere a Renzi e Calenda, dicono i giornali … boh!) confesso, mi è venuto da piangere e ridere insieme.
Ha anche detto, con tono minaccioso ma affettuoso, che Carlo Bonomi aveva usato una «espressione infelice, la rimando al mittente»: ho visto, lì, lo statista, l’uomo di governo serenamente inflessibile, possessore, però diversamente dal suo sosia, di un linguaggio diplomatico, accattivante: insomma non si è parlato, credo, di mele da addentare dalla parte giusta.
Il discorso di un ‘premier’, del ‘premier’, si dovrebbe commentare con composta compunzione, con pensosa attenzione, con acribìa attenta e profonda, con ammirazione per la scarnificazione sagace dei problemi e quindi, per trarre ispirazione, stamane ho cercato qua e là sui giornali, ma tutti ‘sti commenti pensosi non li ho visti. Certo non potevo aspettarmeli sui giornali degli Agnelli, ma almeno sul Corrierone … mah, tanto peggio.
Io, francamente non so che dire.
Qualcuno ha scritto ‘libro dei sogni’, quali sogni? incubi. Parole, parole, parole che manco Mina, promesse, promesse, promesse … e poi l’immagine di questa Italia attraversata da treni ad altissima velocità per andare da qua a là, ma perché, a fare cosa e con quali soldi, questo è tutto rimasto nel taschino della pochette.
Ma poi, se ne è uscito con una cosa vagamente surreale.
Premesso che il MES fa schifo, salvo a vederne il contratto definitivo (ma che è un segreto di Stato, lo deve scrivere la spectre?) e le condizioni, premesso ciò e quindi messa una mezza pietra sopra all’unica fonte di finanziamento subito disponibile (si diceva una volta, ‘pochi maledetti e subito’!), da quel grande statista e super diplomatico che è, ha detto papale papale che non abbiamo il becco di un quattrino (e tutti i miliardi stanziati che sono, favole per i bambini?) e quindi … vogliamo un anticipo sul fondo di ricostruzione europeo (il recovery fund), non ancora né deciso, né attuato.
Sì, avete letto bene e anche io credo di avere letto bene. Dunque cerchiamo di capirci e mettiamo in fila un po’ di cose.
La Commissione europea, sta discutendo di un piano estremamente complesso, che mobilita qualcosa come 2.400 miliardi di euri (insisto: euri) in un piano che si chiama ‘nuova generazione dell’UE’ (si può dire semplicemente così e non necessariamente ‘necst generecion iu’, come dicono i raffinati che ‘sanno’ l’inglese, Giggino in testa) e che, proprio l’altra sera Valdis Dombrovskis, ma già prima con una chiarezza cristallina la signora Ursula von der Leyen, hanno detto «finalizzato allo sviluppo e alla ripresa economica dell’Europa e della sua nuova generazione», i nostri figli insomma, dunque per realizzare programmi, cose, azioni integrate e coordinate. Bene, un piano del genere, prevede sì finanziamenti diretti, ‘a fondo perduto’ come dicono molti, ma appunto diretti a realizzazioni non ad essere … perduti. In altre parole, fuori dalla ironia, quello che ha detto con la sua solita antipatica schiettezza Dombrovskis è semplicemente che i soldi ci sono, anzi, ci saranno, perché per ora non c’è un euro che sia uno, ma solo se ci sono progetti, opere da realizzare, iniziative economiche attendibili. E, specialmente, se sono accompagnate da prove, non solo garanzie, che i governi che saranno finanziati usino bene quei soldi, cioè in maniera produttiva, per l’intera Europa. Lo capite che è qui che sta la rivoluzione copernicana? Non nei soldi, nelle finalità per cui si danno e si ricevono.
Ma lo hanno capito dalle parti di Palazzo Chigi e, a questo punto anche di via Nazionale, che queste ‘condizioni’ sono molto, ma molto più stringenti di qualunque troika?
Sono condizioni di onore. Lo capite o no? Onore. Vogliamo finalmente capirlo che l’UE è stanca di fare la carità (la solidarietà offerta dalla signora Merkel e rivendicata da pochette e Giggino) e vuole vedere se siamo capaci per una volta di fare le persone serie … forse illusi (spero di no) dal modo serio in cui ci siamo comportati durante l’epidemia. Già, ci siamo comportati, ma chi? I vertici, i responsabili, i partiti, gli scienziati? No, i ‘cittadini comuni’, i vertici e gli scienziati li abbiamo visti all’opera! Io temo che questo alla UE non lo abbiano colto bene.
E quindi, per evitare che pensino che vogliamo fare le persone serie, che ti fa pochette? Parla fumosamente di riforma fiscale e chiede un ‘anticipo’: un anticipo su cosa, visto che ancora non c’è nulla, salvo il MES e Sure?
E invece no: su quello si aspetta, la riforma fiscale a babbo morto, e intanto ‘dateci un po’ di grana, che io vado in cerca di menti brillanti’ … e subito Domenico De Masi si candida. E intanto che le cerca si fa il suo partito con Tabacci e magari Renzi e Berlusconi, era quello che ci mancava!
Ma si sa: io non capisco nulla di economia, e meno che mai di politica, specie internazionale. Per nostra e vostra fortuna ci sono lì, a Roma, turgidi e smaglianti, pochette-conte, Gualtieri con la sua chitarra e Giggino; ci pensano loro, anche meglio della Madonna di Lourdes, hanno pure cacciato Casapound.
Tranquilli, dunque, siamo in ottime mani.