Arrivano le dimissioni ai vertici della giunta dell’associazione nazionale magistrati in seguito all’ultima pubblicazione delle intercettazioni del pm Luca Palamara.
Continua quindi a mietere vittime il trojan nel cellulare dell’ex presidente dell’Associazione nazionale magistrati Palamara, rinviato a processo a Perugia dopo la tempesta che ha travolto il Csm per il risiko delle nomine nelle procure decise in una sorta di mercato al di fuori dalle sedi istituzionali con il coinvolgimento della politica. Alla fine ad andare in frantumi è l’attuale dirigenza della magistratura associata da poco in sella dopo lo tsunami giudiziario.
I membri delle correnti Area e Unicost, con il presidente Luca Poniz e il segretario Giuliano Caputo, hanno lasciato l’organo direttivo dell’associazione magistrati in seguito alle nuove intercettazioni finite sui giornali. Le dimissioni giungono dopo dieci ore di riunione e lasciano il consiglio direttivo con la sola corrente di Autonomia e Indipendenza.
Il caso Palamara è tornato quindi alla ribalta mediatica in seguito a delle nuove pubblicazioni di intercettazioni di chat, risalenti al 2018, acquisite nell’inchiesta. Sebbene la situazione processuale di Palamara abbia visto un miglioramento, in seguito all’esclusione del capo di accusa di corruzione, le intercettazioni riportate dalla stampa hanno suscitato un vespaio per via di alcune espressioni riferite al leader leghista Matteo Salvini, relative al periodo in cui ricopriva la carica di ministro degli Interni.
Gli ultimi risvolti di questa deprecabile vicenda riguardono appunto i contatti del telefonino di Palamara, che il pm di Roma ora sospeso da funzioni e stipendio era solito conservare, che lo immortalano mentre parlando con un collega – il procuratore capo di Viterbo, Paolo Auriemma, estraneo all’inchiesta – dice che Salvini “va fermato“, proprio mentre l’ex ministro dell’Interno è sotto indagine in Sicilia per la questione dei porti chiusi alle Ong cariche di migranti.
“Mi dispiace dover dire che non vedo dove Salvini stia sbagliando – avrebbe però controbattuto Auriemma – quando illegittimamente si cerca di entrare in Italia. E il ministro dell’Interno interviene perché questo non avvenga”. “No, hai ragione. Ma ora bisogna attaccarlo”, avrebbe risposto Palamara.
Questi scambi, che non hanno alcuna rilevanza penale, hanno tuttavia scatenato una inevitabile e comprensibile bufera sulla magistratura accusata di essere politicizzata.
Insomma, inutile dire che lo scandalo che scuote il Consiglio superiore della magistratura indigna non poco. Mentre il ministro della Giustizia, il grillino Alfonso Bonafede, di recente graziato dai renziani sulla mozione di sfiducia al Senato, coglie l’occasione per distogliere l’attenzione e parla di riforma del Consiglio della magistratura da fare con urgenza, da più parti si sostiene che l’unica soluzione sarebbe quella di sciogliere la potente associazione delle toghe dove le varie correnti si spartiscono le nomine perpetuando il loro potere assoluto che loro chiamano “autonomia della magistratura”.
E in tutto questo vergognoso verminaio lascia davvero perplessi il silenzio del Quirinale. Intercettazioni e intrallazzi vari che chiamano in causa la stessa figura del capo dello Stato che del Csm è – a norma della Costituzione – il presidente. Ora Mattarella per quanto tempo ancora potrà fare finta di niente trovandosi adesso davanti alle prove esplicite del malcostume che caratterizza l’andazzo del massimo organismo istituzionale da lui stesso presieduto? Aspettiamo fiduciosi che dal Colle qualcuno batta un colpo.