Le carceri e il Coronavirus: il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella risponde con una lettera al quotidiano ‘Il Gazzettino’ a un appello che i carcerati del Nord Est gli hanno rivolto. Nell’appello i detenuti delle carceri di Venezia, Padova e Vicenza dicono di meritarsi “per la maggior parte una pena, ma non la tortura” derivante dall’ulteriore limitazione della libertà personale conseguente dalle misure di contenimento del coronavirus. Il presidente Mattarella risponde: “La vostra lettera mi ha molto colpito perché è il segno di una sincera preoccupazione per la gravissima epidemia che sta interessando il nostro Paese ed esprime la vostra partecipazione ed il vostro coinvolgimento anche nelle vicende più drammatiche di tutta la collettività, di cui voi siete parte”.
Mattarella risponde anche all’appello dei detenuti, che si erano detti preoccupati per le loro condizioni di salute in cella e per le ulteriori limitazioni della libertà personale derivanti dalle misure di contenimento del coronavirus: “Ho ben presente la difficile situazione delle nostre carceri, sovraffollate e non sempre adeguate a garantire appieno i livelli di dignità umana e mi adopero, per quanto è nelle mie possibilità, per sollecitare il massimo impegno al fine di migliorare la condizione di tutti i detenuti e del personale della Polizia penitenziaria che lavora con impegno e sacrificio. Sono fiducioso che i tanti esempi di solidarietà umana che in questo periodo si stanno moltiplicando nel nostro Paese avranno anche l’effetto di far porre la giusta attenzione ai problemi che sottolineate”.
Il Partito Radicale denuncia il Ministro Alfonso Bonafede e il capo del Dipartimento Amministrazione Penitenziaria, Francesco Basentini per procurata epidemia. “Il Partito Radicale”, si legge in una nota, “ha inviato a tutte le procure della Repubblica una denuncia nei confronti del Ministro della Giustizia, Bonafede e del Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, Basentini. Il reato ipotizzato è quello di procurata epidemia colposa mediante omissione”. La denuncia è firmata dal segretario del Partito, Maurizio Turco, dal tesoriere, Irene Testa, da Rita Bernardini e Giuseppe Rossodivita, membri del Consiglio generale. In contrasto con il distanziamento sociale adottato per contenere l’epidemia, denunciano i Radicali, il DAP ha ordinato agli agenti penitenziari, di “continuare a prestare servizi (ndr. a contatto con i detenuti) anche nel caso in cui abbiano avuto contatti con persone contagiate o che si sospetti siano state contagiate”. Il ministro Bonafede invece, “con colpa, dovuta ad imperizia ed imprudenza ha scelto di proporre interventi del tutto inadeguati quanto al mondo penitenziario – gli unici adeguati allo stato sono rappresentati dal distanziamento sociale come la Comunità scientifica mondiale sta da settimane ripetendo, pur di non rinunciare all’identità politico/elettorale del suo partito di riferimento in materia di giustizia”.
Tra le tante cose che la drammatica emergenza di queste settimane fa emergere, vi è la “gravissima condizione di sovraffollamento delle carceri italiane“. Lo sottolinea la Giunta Esecutiva Centrale dell’Associazione Nazionale Magistrati. Quando finalmente, “speriamo presto, torneremo allo svolgimento ordinario delle nostre attività, avremo tutti il dovere di non dimenticare il carcere e le condizioni dei detenuti, predisponendoineludibili interventi strutturali che consentano di ripristinare condizioni dignitose all’interno degli Istituti Penitenziari e che rendano effettivo il precetto costituzionale della funzione rieducativa della pena“.In questo momento è “assolutamente necessario che siano adottati interventi urgenti e realmente incisivi che, senza abdicare alla fondamentale funzione dello Stato di garantire la sicurezza della collettività, tengano realmente conto del fatto che le carceri sono pericolosissimi luoghi di diffusione del contagio che espongono a rischio intere comunità, costituite dai detenuti e da tutti coloro che continuano a prestarvi servizio“.
Merita “apprezzamento il grande lavoro che stanno continuando a svolgere tutti gli operatori, istituzionali e non, che, anche in questi giorni, continuano ad operare nella complessa realtà del carcere. Questo sforzo, tuttavia, non basta. Il numero dei detenuti si è ridotto di circa mille unità, a fronte di un sovraffollamento stimato in oltre dodicimila persone rispetto ai posti effettivi“. I magistrati di sorveglianza hanno già evidenziato “l’inadeguatezza dell’intervento normativo del decreto legge 2020 n.18. La detenzione domiciliare prevista dall’art. 123, infatti, è istituto sovrapponibile – anche per limite di pena entro il quale è fruibile – all’esecuzione della pena presso il domicilio, stabilizzata nel nostro ordinamento già dal 2013“.
L’ipotizzata utilizzazione dei braccialetti elettronici, “che potrebbero essere reperiti quando sarà ormai troppo tardi, si scontra con l’attuale disponibilità di numero del tutto insufficiente di dispositivi. Occorrono misure, che possano essere verificate agilmente dalla magistratura di sorveglianza – i cui uffici sono sottoposti a grande pressione lavorativa – e che allo stesso tempo garantiscano risultati effettivi in tempi brevi. Occorre pensare anche alla salute di tutti coloro che in carcere lavorano e che stanno continuando a rendere il proprio servizio con eccezionale dedizione e professionalità“.
Circa 600 detenuti albanesi, oltre il 10 per cento del totale, saranno trasferiti temporaneamente presso le loro abitazioni. Lo ha deciso il Governo, quale misura per prevenire una possibile diffusione del Coronavirus negli istituti penitenziari. Il ministro della Giustizia, Etilda Gjonaj, spiega che il provvedimento riguarda due categorie di detenuti: “Quelli a cui è rimasto da scontare fino a tre anni di pena, e quelli con oltre 60 anni di età con fino a cinque anni di pena residua, e che soffrono di patologie croniche. Tutti però non devono essere stati condannati per reati gravi“. In Albania, finora si sono registrati 123 casi di Coronavirus, di cui 47 negli ultimi tre giorni. Tra i contagiati oltre dieci medici e infermieri.
Prorogata di almeno 16 giorni la libertà vigilata per 85mila detenuti in Iran decisa nei giorni scorsi per prevenire la diffusione del coronavirus nelle carceri del Paese. Lo annuncia il presidente iraniano, Hassan Rohani, nel corso di una riunione della task force nazionale contro il coronavirus.Rohani precisa che la misura potrebbe essere ulteriormente prorogata fino alla fine del mese. Tra gli 85mila detenuti rilasciati provvisoriamente dall’Iran ci sono la cittadina britannica Nazanin Zaghari-Ratcliffe, che sconta una pena a cinque anni di carcere per spionaggio, ed il ricercatore francese Roland Marchal al quale è stato permesso tornare nel suo Paese.
La Turchia valuta una maxi–amnistia per ridurre i rischi di diffusione del coronavirus nelle sue carceri, che potrebbe portare alla liberazione di 100mila detenuti, circa un terzo del totale. Sono allo studio i dettagli della norma che potrebbe prevedere sconti di pena applicabili a circa metà dei detenuti totali, la maggior parte dei quali verrebbe così rilasciata.
Diversi stati americani hanno deciso il rilascio anticipato di alcune categorie di detenuti per contenere la diffusione del coronavirus.Sono persone che hanno commesso reati minori, che sono anziane o già malate. Gli stati coinvolti da queste misure sono, tra gli altri, California, New York, Ohio e Texas. Negli Stati Uniti ci sono più di 2,2 milioni di persone in carcere: la preoccupazione è che corrano un altissimo rischio di contagio, a causa del sovraffollamento delle strutture, degli spazi ristretti in cui si ritrovano, della mancanza di igiene (manca il sapone e le soluzioni idroalcoliche sono vietate perché contengono, appunto, alcol) e di un sistema sanitario non eccezionale. “Avranno il personale, le attrezzature e i servizi adeguati per curare le persone?”, si chiede Steve J. Martin, consulente per il complesso carcerario di Rikers Island a New York: “E se non ce li hanno, manderanno quelle persone in ospedale o dove potranno ottenere un’adeguata assistenza sanitaria?”. Daniel Vasquez, ex guardia delle carceri statali di San Quentin e Soledad in California, dice al WallStreet Journal che i detenuti sono a strettissimo contatto tra loro, “alcuni in doppia e tripla cella. Penso che sarà impossibile impedire che il virus si diffonda”.
Gli esperti sono preoccupati dal fatto che all’interno delle carceri si trovano persone ad alto rischio, di età pari o superiore ai 55 anni. Dai dati del 2016 risulta che nelle carceri statali e federali americane circa 164 mila persone appartengono a questa fascia di popolazione, un numero che è più che triplicato dal 1999. Per ora non sono stati segnalati focolai all’interno delle carceri, ma risultano già diversi casi di contagio, anche tra il personale delle prigioni di Pennsylvania, Michigan, New York e dello stato di Washington. Per prevenire la diffusione del virus, i Centri per il controllo e la prevenzione delle malattie suggeriscono di isolare gli individui sintomatici. Nelle carceri, però, può essere “praticamente impossibile”, dice Homer Venters, ex dirigente medico dei servizi sanitari correzionali di New York. In molti centri di detenzione sono già previste aree separate per vari tipi di detenuti: uomini e donne, detenuti migranti e persone con malattie mentali. E lo spazio a disposizione è molto ridotto.
di Valter Vecellio