Mentre ci laviamo le mani, è il momento di chiederci “in che mani siamo?” noi cittadini del mondo, di fronte a un nemico che non conosce confini. Nessun leader e nessuna entità sovranazionale è stata all’altezza della situazione. E non lo sono stati tanti guru della “governance” globale, di solito prodighi di previsioni e scenari futuribili.

La Cina ha tardato a informare il mondo, ha nascosto il problema a se stessa, ha punito o lasciato morire qualche medico coraggioso, prima di  organizzare la quarantena di un’intera regione.

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E mentre i cinesi si chiudevano in casa, nessun capo di stato o di governo è sembrato preoccuparsi più di tanto : nessun provvedimento d’emergenza è stato preso subito, come era logico e doveroso. Business as usual, prima l’economia, poi la salute. Ciò che stava accadendo in Cina, è stato vissuto come un rischio lontano, una carestia o una guerra che possono affliggere  angoli del mondo abituati alla sofferenza e alla tragedia, non il nostro mondo ricco e progredito. Cominciavano a preoccuparsi settori come l’automobile e la moda, ma per la dipendenza dal mercato cinese, non per la salute di clienti e impiegati. Si cominciava a provare la febbre in qualche aeroporto e a protestare se una crociera o un tour operator erano bloccati in un paradiso esotico. Niente altro.

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Anche l’OMS è sembrato che non avesse piena consapevolezza, ha tardato a lanciare l’allarme pandemia e a indicare un protocollo “cinese”. Le reazioni dei governi sono state conseguenti. Il potere, temuto quando si mostra arrogante o assoluto, ha dato segnali di stupidità e….impotenza.

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Donald Trump ha trattato il problema con sarcasmo, temendo ripercussioni sulla campagna elettorale. Incredibile, se non fosse vera, la reazione di Boris Johnson, “rassegnato” alla scomparsa di un certo numero di anziani, per la salvezza della nazione contaminata:  grottesca imitazione di Churchill, si sa, in guerra, si salvano uomini combattenti, donne e bambini. Per i vecchi, lasciamo fare al destino.

Parliamo dei rappresentanti delle più antiche democrazie del mondo, non dell’Iran, dove l’epidemia è trattata alla stregua del Grande Satana.

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Non è da meno la Francia presidenziale di Macron. Qui, il grottesco ha sfiorato la farsa. Domenica, spettacoli, tutto aperto, persino un raduno dei puffi e cortei per la giornata della donna. E ironia sull’Italia! Al giovedì, meglio essere più prudenti, non baciatevi più, evitare raduni oltre mille persone, ma andate a votare per le municipali, dice Macron in diretta Tv. Al lunedi, l’epidemia esiste. Le urne sono chiuse. Adesso è meglio chiudere anche case, uffici, fabbriche, “siamo in guerra”, dice Macron che però – a differenza di De Gaulle – non si è accorto che l’invasione è già avvenuta. L’ex ministro della sanità, madame Agnes Buzyn, dirottata a fare la capolista a Parigi, aveva lanciato l’allarme a gennaio, con l’intenzione di restare al suo posto e dare un contributo di provata competenza, ma nessuno le ha dato retta.

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Non sono da meno di Macron, in questa commedia manzoniana (“la peste è sostanza o accidente?”) lo spagnolo Sanchez, che decide di chiudere il Paese quando ancora si giocano partite di calcio e si tengono corride, e la cancelliera Angela Merkel, rigida quanto si parla di conti pubblici, ma in balia  dei Länder quando si tratta di prendere decisioni drastiche per la salute. Salvo ammettere, che probabilmente, il 60 per cento dei tedeschi potrebbe ammalarsi.

Infine l’Italia, che per la prima volta ha copiato l’originale dai cinesi. Lo ha fatto fra contraddizioni (il governatore Fontana con la mascherina in tv e il sindaco Sala che lanciava l’ hashtag #Milanononsiferma), ma alla fine lo ha fatto, prima Milano, poi tutto il Paese. Non è patriottismo. Lo ha confermato l’OMS, lo hanno detto i media internazionali, lo hanno ammesso leader stranieri, adesso pronti a seguire il “modello” tricolore. Può essere argomento di riflessione, il fatto che un potere debole, con una maggioranza fragile e uno Stato non certo efficiente, abbia dato la prova migliore. Forse è emerso il senso italiano della comunità, della bellezza da difendere ad ogni costo, un senso più decisivo di macrosistemi e poteri forti.

Resta la constatazione che, nel mondo globalizzato, in cui i governi avrebbero strumenti per coordinare politiche efficaci, ci si sia dimenticati per tanti giorni della salute. L’unico  che aveva visto giusto è Bill Gates, che anni fa aveva dichiarato che le epidemie sono la bomba atomica del futuro e che occorrono colossali investimenti in ricerca, sanità, sviluppo sostenibile. Ma anche lui è rimasto inascoltato.

di Massimo Nava