Il rischio di un’escalation dello scontro tra Usa e Iran e le altre tensioni in Medioriente, oltre alle possibili gravi ricadute, richiederebbero una politica estera in grado di assumere posizioni chiare nell’interesse nazionale con l’obiettivo di una visione globale dei problemi presenti nelle varie aree del pianeta.
Ma sarebbe pretendere l’impossibile: sappiamo bene in quali mani è oggi il ministero degli esteri guidato un tempo da personaggi del calibro di Andreotti, Craxi, D’Alema. Ora alla guida della Farnesina abbiamo il fenomeno Giggino Di Maio, vale a dire il vuoto pneumatico assoluto, quello che è stato piazzato lì senza sapere una parola di inglese e che prima di ricevere il miracolo dell’elezione in Parlamento vendeva bibite al San Paolo.
Nel mare di tanta incapacità e incompetenza è inevitabile dunque che si registri un’imbarazzante assenza del nostro Paese su questioni nevralgiche. Si ha addirittura l’impressione che la politica estera sia vissuta con distacco e purtroppo ridotta al terreno delle scelte di campo generiche, quasi mai in grado di andare oltre la semplice simpatia personale per l’uno o l’altro leader di tuirno. Il surriscaldato clima internazionale, reso ancora più incandescente dal recente attacco Usa con l’uccisione del generale iraniano Soleimani, dovrebbe imporre invece una attenzione ben diversa su determinate problematiche di politica internazionale perché tali temi risultano e risulteranno nel prossimo futuro cruciali da molteplici punti di vista.
Uccidendo il generale Qassem Soleimani Trump ha di fatto dichiarato guerra all’Iran rendendo irreversibile la crisi fra Washington e Teheran. L’Iran dichiara di rispondere e vendicare la morte del generale assassinato, mentre Trump minaccia di colpire decine di zone senza risparmiare addirittura alcuni siti culturali iraniani patrimonio dell’Unesco.
Possiamo quindi considerare che sta rapidamente prendendo corpo il rischio di un vasto conflitto regionale che potrebbe innescare nuovi venti di Guerra in grado di propagarsi su vasta scala.
L’uccisione del generale iraniano Soleimani, personaggio di notevole rilevanza nei dossier critici della regione dalla Siria all’Iraq, rende sempre più reale l’ipotesi di un conflitto vero e proprio fra Stati Uniti e Iran. Prevedere dove e come reagirà l’Iran è difficile, ma la risposta non si farà aspettare. Di sicuro si tratta di gente pericolosa che da sempre vive in regimi teocratici, realtà ben diverse dalla nostra, in cui il valore della vita umana non è certo paragonabile al valore che viene dato nel mondo occidentale.
Così mentre l’Unione Europea balbetta come al solito rimanendo senza un’unica voce forte e chiara in merito all’ accaduto – i burocrati di Bruxelles sono dei fuoriclasse solo quando si tratta di proteggere gli interessi di banche e di altri poteri forti – è davvero imbarazzante il silenzio da parte della politica italiana che si limita ad esprimere la solita e inutile litania della “grande preoccupazione”. Del resto un Giggino o un Giuseppi potrebbero mai indicare possibili linee politiche da seguire? Qualcuno nel palazzo sa che cosa rischia l’Italia con l’escalation fra Teheran e Washington?
Resta il fatto che l’uccisione di Soleimani è da considerarsi un’azione dai caratteri bellicosi dalle conseguenze inimmaginabili. Di fatto gli Stati Uniti hanno eliminato volutamente il generale di un esercito di un Paese con cui non sono in guerra. Inoltre il blitz ha comportato la morte di altre 5 persone, tra queste bisogna mettere in conto quella di Abu Mahdi al-Muhandis, ufficiale di una forza militare, l’Iraq, che con la cautela del caso potremmo considerare un alleato degli americani.
Da parecchi mesi autorevoli commentatori ed esperti sostenevano che sarebbe bastato poco, anche una scintilla, per provocare un serio e grave problema nel Golfo Persico capace di creare una contrapposizione armata. Bene, ora ci siamo e tutti siamo seduti su una polveriera. Trump è consapevole che l’Iran in qualche modo risponderà per la perdita di Soleimani che, come già detto, non era certo una figura secondaria all’interno della politica iraniana e del Medioriente.
Il clima teso ha quindi inevitabili ricadute sul versante degli equilibri internazionali. La politica estera appare perciò ancora più rilevante in un panorama mondiale in cui le grandi potenze sembrano sempre più intenzionate a caratterizzarsi proprio per il loro peso e la loro forza planetaria.
E dalla forza planetaria prendere atto della moscia reazione italiana incapace di assumere una vera posizione – con i singoli parvenu che purtroppo ci rappresentano buoni solo a scrivere un paio di righe sui social – è davvero desolante e umiliante per l’Italia intera. Tra tanta inettitudine della nostra classe politica non resta che registrare un grande imbarazzo perché, onestamente, Giuseppi e il resto della compagnia di buoni a nulla non sarebbero neppure all’altezza di gestire una bocciofila, figuriamoci se possono essere capaci di affrontare una situazione così grave e complicata.
In sostanza il nostro paese soffre sì per la lacuna di politica estera ma soffre soprattutto per la mancanza di uomini preparati, all’altezza del ruolo a cui sono chiamati. Una mancanza che dura da troppi anni. Un tempo l’Italia sapeva ritagliarsi un ruolo nel Mediterraneo e nel Medioriente. Adesso invece con Giggino siamo miseramente e definitivamente scomparsi dai radar.
Non dimentichiamo che l’Italia ha avuto storicamente con l’Iran dei rapporti politici ed economici molto importanti. Tuttavia negli ultimi anni questo non è stato più gestito come si doveva. E ora si raccolgono i risultati con la conseguenza di aver reso il nostro Paese ancora meno importante. In questo contesto appare evidente che non avere la capacità di assumere un minimo di peso nella trattative è non solo grave ma umiliante.