Il parlamento iracheno ha approvato una legge che chiede al governo di annullare la richiesta di assistenza alla coalizione internazionale guidata dagli Stati Uniti. Ma se le truppe USA saranno costrette a lasciare l’Iraq ci saranno “sanzioni enormi” contro Baghdad, ha subito risposto il presidente americano Donald Trump.
In sostanza si tratta della prima risposta politica arrivata da Baghdad conseguente il blitz americano di venerdì scorso che ha ucciso il generale iraniano Qassem Soleimani. Il raid è avvenuto quando il numero uno della brigata Al Quds dei pasdaran, è uscito dal perimetro dell’aeroporto della capitale irachena.
Ma la decisione presa dal parlamento iracheno riguardo la ritirata delle truppe straniere dal paese manda su tutte le furie Donald Trump. Il presidente ha minacciato di varare sanzioni pesanti contro l’Iraq se i soldati americani saranno costretti a lasciare il territorio. “Abbiamo lì una base aerea straordinariamente costosa. Costruirla è costato miliardi di dollari, molto prima di me. Non ce ne andremo a meno che non ci rimborsino”, ha detto Trump ai giornalisti a bordo dell’Air Force One. Se l’Iraq chiedesse alle forze statunitensi di andarsene “vareremo contro di loro sanzioni come non le hanno mai viste prima, che in confronto quelle all’Iran sembreranno morbide”, ha aggiunto.
Il Parlamento iracheno ha esortato il governo a “porre fine alla presenza di truppe straniere” in Iraq, iniziando col “ritirare la sua richiesta di assistenza” alla comunità internazionale per combattere l’Isis. Durante la sessione straordinaria svoltasi alla presenza del premier dimissionario Adel Abdul-Mahdi, i deputati hanno approvato una risoluzione che “obbliga il governo a preservare la sovranità del Paese ritirando la sua richiesta di aiuto”, ha detto il capo del parlamento, Mohammed al-Halboussi.
La risoluzione chiede nello specifico di metter fine a un accordo secondo cui Washington invia truppe in Iraq per oltre quattro anni, come appoggio alla lotta contro il gruppo jihadista Stato islamico. Il testo è stato approvato dalla gran parte dei membri sciiti del Parlamento, che ricoprono la maggioranza dei seggi. Tuttavia altri deputati sunniti e curdi non si sono presentati in aula, apparentemente perché contrari alla revoca dell’accordo.